mercoledì 29 febbraio 2012

La preghiera per l’unità e il grido di Gesù in croce


“Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l’istituzione della Chiesa... Proprio qui, nell’atto dell’ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù”.
È quanto Benedetto XVI ha spiegato nella catechesi qualche settimana fa. La Chiesa nasce dalla preghiera nella quale Gesù chiede al Padre l’unità? Per altri essa ha origine con l’evento stesso dell’Incarnazione, quando il Verbo eterno prende carne in Maria. Per altri la nascita della Chiesa va collocata nel conferimento dei poteri a Pietro e agli Apostoli, o nell’ultima cena, quando è istituita la Nuova Alleanza; oppure sulla Croce quando, dal fianco squarciato del Crocifisso, sgorgano sangue e acqua; oppure nella Risurrezione, lì dove essa appare come il corpo del Cristo glorificato. Per altri, infine, la Chiesa ha origine a Pentecoste, quando il Risorto invia il suo Spirito sui fedeli riuniti nel cenacolo con Maria.
Io ho sempre pensato che essa nascesse dal grido di Gesù in croce, grido del parto della nuova creazione. Leggendo le parole del papa mi sono reso conto, per la prima volta, che la preghiera sacerdotale e il grido dell’abbandono in certo senso coincidono. Da una parte la richiesta dell’unità, dall’altra la stessa richiesta d’unità, anche se espressa in modo del tutto diverso, originata dalla costatazione della mancanza di unità, dell’abbandono.
Siamo il frutto della preghiera di Gesù! Quanta gratitudine…

martedì 28 febbraio 2012

La vita, la morte, la vita


“Amo la vita perché con essa mi preparo alla morte, che è la Vera Risurrezione”.
Ho trovato questa frase straordinaria, scritta da Chiara Lubich durante la guerra, nel libro di Lucia Abignente, Memoria e presente, che leggo con passione in questi giorni.
Si vive per quell’Incontro!
Questa sera, guardando un breve video sulla sua vita: http://www.youtube.com/watch?v=XXqdnafdzrA , ritrovo l’eco delle parole di Chiara in quelle di Renata Borlone: “Voglio testimoniare che la morte è vita”.
Vale la pena spendere 11 minuti e 25 secondi del nostro prezioso tempo a guardare il video, presentazione della vita di Renata. Ringrazio Dario Ganarin che me l’ha segnalato, inviandomi anche una foto della celebrazione del XXII anniversario della morte-vita di Renata, avvenuta a Loppiano ieri, 27 febbraio 2012.

lunedì 27 febbraio 2012

Auguri Padre Marino


Gli auguri del superiore generale

9 gennaio

L’amore e la gioia per il ritorno di p. Marino si è concretizzato nel preparargli lo studio e pulire i vetri fino a notte tarda. Eppure quanto sentivo che non valeva niente se davvero in lui non ci facciamo discepoli di Cristo perdendo completamente, stolti al mondo e a noi stessi, crocifissi nella passione di morte di Cristo

10 gennaio

M’ero da poco messo a leggere la vita di p. Grandin e già stavo andando in visibilio, quando sento Raffaele che mi chiama per fare gli scaffali. Ho dovuto piantare subito il libro. Poi ci siamo messi a fare uno scaffale per il giradischi e per i dischi, che proprio non mi va, poi...
E mi veniva la voglia di dirgli che non era quello il tempo, che lo scaffale non è pratico, che non avrebbe fatto risaltare la stereofonia, che il cacciavite si sarebbe rovinato... come ho fatto tante volte.
Ma sentivo che la nostra unità, già tanto difficile perché siamo così diversi, si sarebbe ancora sgretolata. E allora è meglio perdere tempo, portare in casa qualcosa di inadatto, ricomprare un cacciavite... ma salvare l’amore e l’unità...
E tutto questo, prescindendo dal fatto che in sé non è niente, ho sentito come davvero l’amore supera ogni ostacolo, è paziente e longanime, tutto sopporta, tutto crede, tutto spera, tutto fa per rimanere amore.
E allora il verbo perdere tornava.
E il noviziato lo vedevo così, come un continuo perdersi, dimenticarsi, uscire da noi stessi, ma non per rimanere sterili, ma perché l’anima si affini, diventi spirituale, soprannaturale, per far posto a Dio, per stare davanti a lui libero, in adorazione d’amore.
E la Desolata come maestra.

13 gennaio

La giornata di ieri è stata piena di luce. Le nostre riunioni con i padri sono state occasione di una fusione e apertura d’anime.
Ognuno si è aperto all’altro e abbiamo potuto vedere il fondo di ciascuno. Ma quel buttarci fuori è stato come un buttare in Gesù presente in mezzo a noi, e veramente lo era, in maniera molto viva.

28 gennaio

Andando con p. Marino ad Albano e a Fiumicino, gli ho detto brevemente il mio stato d’animo. E lui è partito sicuro come se mi avesse visto dentro completamente.
E m’ha parlato di Gesù Abbandonato che è in noi. Sempre in noi, anche quando diciamo che è nell’altro. Siamo noi che riviviamo Gesù abbandonato facendo nostra la miseria dell’altro.

3 luglio

Quest’ultimo mese è stato un entrare maggiormente nella vocazione oblata, un raggiungere il suo cuore. È una grazia grande di Gesù e di Maria.
Era un po’ come S. Pietro a Cesarea: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
L’entusiasmo dei discepoli era il mio entusiasmo. All’inizio della missione del Cristo, si sono subito riuniti: Abbiamo trovato il Messia! I miracoli, le sue parole non facevano che infuocarli.
Anch’io così. Leggere il Fondatore, tradurre i suoi scritti. Tutti diceva grandezza, eroismo, entusiasmo.
Apostolato straordinario, santità, missioni difficili...
Ogni cosa, ogni elemento della vita cristiana prendeva il suo lineamento nuovo nella vocazione oblata.

Gennaio... ma di che anno? 1970!!! Sono pagine del mio diario di noviziato, a Marino.
E perché proprio oggi? Perché oggi abbiamo fatto festa al nostro Maestro di noviziato di allora, p. Marino, per celebrare insieme i suoi 60 anni di sacerdozio...

domenica 26 febbraio 2012

Quaranta giorni di deserto

Il monte delle tentazioni


Quaranta giorni. Come Noè nell’arca, come Mosè sul Sinai, come il cammino di Elia nel deserto. Si pensava che occorressero quaranta giorni perché il sangue di un uomo si ricambiasse. Per il “sangue” di un popolo occorrevano quarant’anni, come quelli passati dalle tribù di Israele nel deserto, o sotto il dominio dei Filistei.
Nel deserto non ci si può nascondere, non ci sono possibili alibi, si è a tu per tu con Dio; prove e difficoltà mettono a nudo, obbligano a dichiararci con lui o contro di lui.
È così che in quei quaranta giorni Gesù ritrovò l’armonia antica delle origini. Vinto il peccato, il deserto diventò il nuovo Eden prima del peccato, armonia con il creato, perfino con le bestie selvagge, e con Dio: angeli lo servono.

sabato 25 febbraio 2012

Mica male come inizio di quaresima!


“Fino a domenica prometto di non toccare strumenti digitali
e cercherò di convincere la mamma a stare un giorno senza fumare”
Così uno dei ragazzini della scuola dove p. Nino fa da cappellano.
La solenne promessa è stata pronunciata mercoledì delle ceneri,
e si presume che fino a domani, prima domenica di quaresima,
per il ragazzo niente play station o altre diavolerie del genere.
Mica male come inizio di quaresima!
Ma la cosa più interessante è che si preoccupa anche della mamma.
Che abbia letto per caso il messaggio scritto da Benedetto XVI per la quaresima?
Il papa commenta le parole della Lettera agli Ebrei:
«Prestiamo attenzione gli uni agli altri,
per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24),
chiedendo di superare l’indifferenza, il disinteresse,
che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto
per la «sfera privata».
Sicuramente il ragazzo non ha letto il messaggio,
ma sa che ci si deve prendere cura dell’altro,
anche della mamma:
ce l’ha scritto nel sangue.
Mica male come inizio di quaresima!

venerdì 24 febbraio 2012

La storia delle candeline


Come sul nastro di una catena di montaggio
scorrono le candeline.
Hai un solo facilissimo compito, accenderle, ad una a una,
a mano a mano che passano davanti,
e non sono neppure troppo veloci...
Basta un attimo di distrazione, guardi altrove,
e quando torni alla fila delle candeline t’accorgi che alcune
sono passate
senza che tu le abbia potute accendere.
Ti prende il panico e guardi a quelle trascorse,
irrimediabilmente
spente.
Più ti agiti e ti rammarichi e più vedi che la fila delle spente
continua ad allungarsi, e non puoi più far niente.
Allora guardi a quelle che stanno per arrivare:
sono tante,
non ce la farai mai ad accenderle tutte…
e intanto ti passano davanti e rimani
paralizzato
pensando a quante ne hai lasciate passare
senza accendere,
a quante stanno arrivando ancora
e non ce la farai ad accendere…
Nel frattempo, non sarà meglio iniziare ad accendere quella che passa
adesso?

L’antica storia delle candeline, me l’ha raccontata questa sera padre Santino.
Me l’aveva raccontata 45 anni fa,
e ho sempre bisogno che me la racconti ancora… 

giovedì 23 febbraio 2012

Renata Borlone: La grazia e l’impegno



“Non io dovevo diventare perfetta,
ma Dio in me sarebbe stato la mia perfezione,
la mia bellezza”:
Pura grazia, tutto è dono di Dio.

“Quanto avevo ricevuto per pura grazia
dovevo conquistarlo con la mia collaborazione
al lavoro di Dio”:
Piena disponibilità, corrispondenza al dono di Dio.

Questa è Renata Borlone.



Programma della giornata, 26 febbraio 2012

Santuario Maria Theotokos
12.00 S. Messa animata dalla corale: "Insieme" di Civitavecchia
Auditorium di Loppiano
15.30 "Renata: vivere per... essere sempre famiglia" - testimonianze
16.45 "La gioia di essere tutta di Dio" - autobiografia di Renata in parole
e musica a cura di Azioni Musicali (Loppiano)
17.30 Conclusione

mercoledì 22 febbraio 2012

La cattedra di pietro


Che sia venuto a Roma è certo. Le testimonianze della sua presenza sono lì nelle allusioni dei primi Padri e Scrittori. Quando e come rimane incerto. Sarà approdato sulle rive del Tevere e avrà abitato nella colonia dei suoi conterranei di cui parlava la lingua. Il greco e il latino li conosceva per sbrigare le piccole faccende personali, ma per narrare a lungo ciò che aveva visto e udito e che gli bruciava in cuore, non gli bastava, ed ormai sempre più numerosi i romani che volevano ascoltarlo. Per fortuna aveva con sé Marco come interprete. A forza di tradurlo Marco conosceva ormai a memoria fatti e parole; fu così che più tardi poté mettere per iscritto i racconti di Pietro, e nasce il più antico dei Vangeli.
Se Pietro insegnava avrà dovuto avere una cattedra, una di quelle sedie solenni sulle quali i maestri sedevano per impartire le lezioni. E la cattedra che aveva ad Antiochia, prima di venire a Roma? Ma ce l’aveva davvero una cattedra da maestro, lui semplice pescatore? È certo comunque che insegnava, anche se la sua era piuttosto una testimonianza appassionata e appassionante su quanto aveva vissuto assieme al Maestro. Lui sì che era un Maestro; l’unico, gli altri, Pietro compreso, soltanto un discepolo.
Eppure l’insegnamento è sempre associato alla cattedra. Eccoci oggi a celebrare la festa della “Cattedra di san Pietro”. Quale cattedra, quella di Antiochia è quella di Roma (di quella di Gerusalemme, dove pure ha insegnato, non ne è rimasta menzione della tradizione… avrà seduto per terra!). C’è stata un po’ di confusione lungo i secoli: il 18 gennaio e il 22 febbraio si sono scambiati più volte dato e luoghi e finalmente oggi si festeggia la cattedra di Roma!
Chi non l’ha mai vista la cattedra di san Pietro nella basilica di San Pietro a Roma? Nell’abside Bernini le ha edificato il più famoso dei monumenti. È chiusa sotto tonnellate di bronzo raffiguranti un grande trono sostenuto da due dei grandi dottori della Chiesa d’Occidente, Ambrogio e Agostino, e da due della Chiesa d’Oriente, Atanasio e Giovanni Crisostmo. Ma dentro c’è davvero la sedia di san Pietro? Ma nemmeno per sogno! Se l’aveva non hanno pensato di conservarla come reliquia, o sarà stata bruciata da uno dei tanti incendi, o rosicata dai tarli, o fracassata da una delle tante ondate di soldatesche. Allora cosa c’è dentro la “gloria del Bernini”, con tanto di Spirito Santo che, nella luce del finestrone d’alabastro, sempre suggerire a Pietro cosa dire? Un prezioso trono di Carlo il Calvo, divenuto cattedra papale. Quello che conta è il simbolo.
Benedetto XVI, che “siede” sulla “cattedra” di Pietro ne ha ricordato più volte il significato: “La cattedra, letteralmente, è il seggio fisso del vescovo, posto nella Chiesa madre di una diocesi, che per questo viene detta ‘cattedrale’, ed è il singolo dell’autorità del vescovo e, in particolare, del suo ‘magistero’, cioè dell’insegnamento evangelici che egli, in quanto successore degli apostoli, è chiamato a custodire e trasmettere alla comunità cristiana… Da quella sede guiderà, quale maestro e pastore, il cammino dei fedeli, nella fede, nella speranza, nella carità”.
Penso che anche oggi Pietro continui a insegnare quello che ha compreso e vissuto. Continua a insegnaci la sua fede in Gesù: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”; soprattutto il suo appassionato amore: "Tu lo sai che ti amo!"

martedì 21 febbraio 2012

Compimento



Il senso della mia vita?
La scopro giorno per giorno, vivendo la vita.
Mi sospingo sempre al di là di quella collina e dell’altra
e dell’altra ancora…
E sempre manca il tocco nuovo
che coglierò domani.

È questa l’inquietudine?
Anelito di totalità e di pienezza.

Coglierò mai il senso della mia vita?
Solo quando non ci sarà più un’altra collina ancora
a rubarmi l’orizzonte.
Solo quando non ci sarà più il domani con la sua novità.
Il senso è nell’attimo del suo compimento.

Ed è già l’eternità.

lunedì 20 febbraio 2012

Diffidare dalla faciloneria




“Puntare solo sulle cose difficili, eseguite alle perfezione, le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del tanto per fare. Puntare sulla precisione, tanto nel linguaggio quanto nelle cose che si fanno”.
Esigente, e non poco, questo Italo Calvino, nemico di ogni sciatteria.
Ne ha dato prova nella sua scrittura, tecnicamente perfetta (ci vuole anche l’anima, oltre l’estetica, ben inteso; e questa a volte mi sembra gli sia mancata…).
Un grande lezione quella di Calvino, per la vita sociale, per l’impegno culturale, per il cammino di santità.

domenica 19 febbraio 2012

San Remo e l’altra Italia

Leggo che il festival di San Remo è stato infarcito di parolacce, in mancanza di qualcosa di meglio, e che un conduttore RAI ha difeso dicendolo specchio di una Italia infarcita di parolacce. La mafia è la più grande impresa dell’Italia, perché allora, se San Remo vuole essere specchio dell’Italia, non lo affidiamo alla mafia? E se l’esenzione dalle tasse è uno sport nazionale perché non esigere da tutti quanti lavorano per il festival di evadere le tasse in modo che San Remo rispecchi l’Italia?
Per fortuna c’è un’altra Italia di cui il festival di San Remo non è specchio. Come quella che ho visto oggi al battesimo di Niccolò. Una intera famiglia e una intera comunità parrocchiale, giovane, guidata da un efficiente parroco di 97 anni, raccolte attorno ad un evento di grande valore: un bambino che entra a fare parte della Chiesa; ti pare poco? Una celebrazione semplice e bella, un coro di bambini contenti per il nuovo bambino nato, una festa senza parolacce e con tanti palloncini, con tanti dolci fatti in casa; un popolo che non ci sta con San Remo e che pure esiste e fa Italia

sabato 18 febbraio 2012

Galileo Galilei: alla ricerca della Verità


Uno dei chiostri dell'antico convento domenicano

Dov’era il 22 giugno 1633 Galileo quando, condannato dal Tribunale dell’Inquisizione, dovette procedere alla ritrattazione delle sue idee? Sono andato a vedere la sala dove si tenne la lettura della conclusione del processo. Mentre il processo si era svolto in Vaticano, quell’ultima sessione si tenne nella sala di fronte alla stanza del Maestro Generale dell’Ordine Domenicano, nel convegno di piazza della Minerva, sede dell’Inquisizione.
Oggi il grande convegno, incamerato con l’Unità d’Italia, è sede di due prestigiose biblioteche, quella del Senato e quella della Camera; une delle biblioteche legislative più grandi al mondo, con più di 2 milioni di volumi. Arduo riconoscere gli antichi locali, dopo che gli edifici sono stati trasformati in caserme, sede di più ministeri, con infinite ristrutturazioni. L’antico refettorio conserva il fascino dei secoli anche se sulle mensa è imbandito il cibo dei libri, che studenti universitari divorano in silenzio.
Alcune grandi sale conservano gli affreschi con l’apoteosi dei Domenicani, di san Domenico, di san Pietro domenicano, tutti schierati in difesa della Verità e intenti a combattere l’eresia.
Più sobria il supposto studio del Maestro generale e la sala adiacente dove si dice che avrebbe avuto luogo l’atto finale del processo a Galileo. Mi mostrano anche la cella nella quale Galileo si sarebbe appoggiato in quella giornata fatidica, prima di tornare nel suo appartamento in Vaticano.
In ogni sala e stanza libri e libri, studenti e studenti. Spero che siano, come allora, alla ricerca della Verità.
Mi sembra di riascoltare le accorate parole pronunciate da Giovanni Paolo II, il 10 novembre 1979, proprio su Galileo: “Ebbe molto da soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi della Chiesa”, e la sua richiesta di perdono, il 12 marzo 2000, “per l’uso della violenza che alcuni cristiani hanno fatto nel servizio della verità”.

venerdì 17 febbraio 2012

“Oblatio”, la nostra identità


Il breve di approvazione è esposto davanti
alla cappella della casa generalizia
17 febbraio 1826: Leone XII  approva la Regola degli Oblati; è nata una nuova Famiglia religiosa nella Chiesa.
17 febbraio 2012: nasce la nuova rivista degli Oblati.
“Oblatio”, una nuova rivista?

No, perché essa intende porsi in continuità con la prestigiosa rivista “Etudes Oblates”, nata nel 1942 in Canada e continuata, dal 1974, con il titolo “Vie Oblate Life”. I suoi 70 volumi costituiscono una straordinaria miniera di studi, sicuro punto di riferimento per conoscere la storia, il carisma, la spiritualità di sant’Eugenio de Mazenod e della Famiglia religiosa da lui fondata. In “Oblatio” converge anche il bollettino “Documentation OMI”, che dal 1968 veniva edito dal Servizio Informazioni della casa generalizia. La rivista si pone in continuità con il passato soprattutto assicurando l’approfondimento delle radici carismatiche degli Oblati, condizione indispensabile per una sempre più chiara identità e audace visée missionaria.

Nello stesso tempo “Oblatio” si presenta come una nuova rivista.
Nuova per la provenienza: essa non è più legata ad una Provincia dell’Istituto; parte dal suo Centro e vuole essere espressione di tutta la Congregazione.
Nuova per i contenuti: Continuerà ad approfondire storia e spiritualità; nello stesso tempo vuole essere attenta al vissuto attuale del carisma: lettura e discernimento dei segni dei tempi, valutazione critica della nostra missione, sensibilità agli appelli dello Spirito, apertura profetica al futuro.
Nuova per i collaboratori: in questi 70 anni gli studi e i contributi sono stati portati avanti principalmente da persone del mondo occidentale (Canada, Europa, Stati Uniti). Poiché la Congregazione si sta ormai sviluppando sempre di più in altri “mondi”, Asia, Africa, Sud America, ci aspettiamo di vedere nuove firme che, sulla spinta di nuovi interessi e domande, siano capaci di far emergere letture inedite del carisma e di donare a tutti le ricchezze della storia missionaria, di ieri e di oggi, nei più diversi Paesi.
Nuova per i destinatari: pur avendo come primi lettori i Missionari Oblati di Maria Immacolata, essa si rivolge a tutti i componenti della grande Famiglia legata al carisma mazenodiano, istituti e gruppi ad esso ispirati o nati direttamente per iniziativa di Oblati, laici associati, i collaboratori più vari nei diversi campi della missione, che vorremmo vedere anche tra gli autori dei contributi che la rivista pubblica.
Il breve di approvazione di Leone XII
Un titolo in una lingua antica, il latino, per una nuova rivista? Un’altra novità di “Oblatio” sta nel fatto che, accanto al francese e all’inglese, accoglie contributi nella terza lingua ufficiale della Congregazione, lo spagnolo. Come conciliare nel titolo le tre lingue? Andando alla loro comune radice – il latino, appunto – e scegliendo una parola capace di evocare immediatamente la realtà più profonda dell’essere Missionari Oblati di Maria Immacolata, quella che subito richiama l’appellativo più comune per indicare l’identità dei consacrati e dei laici ad essi legati: Oblati! L’oblazione unisce insieme vita e missione, al di là di ogni possibile dicotomia. Sotto una spinta misteriosa dello Spirito, e in risposta all’appello di Gesù che li chiama a seguirlo, gli Oblati si donano completamente a Dio, amato sopra ogni cosa, senza condizioni e senza ritorno, decisi, come ricorda il Fondatore, a “lavorare seriamente a diventare santi”. La loro oblazione si esprime in donazione altrettanto radicale alla Chiesa, alla gente, alla missione, in un amore pronto a “sacrificarsi… fino alla morte”. Così si diventa veramente corredentori di Cristo Salvatore: si è missionari perché si è Oblati.
La rivista, dopo l’editoriale (Prefatio) che, abitualmente, fa il punto sulla vita e la missione degli Oblati, si articola in quattro sezioni:
- Historia: raccoglie studi sulle origini e gli sviluppi dell’Istituto e sui diversi aspetti della sua spiritualità;
- Vita et Missio: guarda all’oggi del carisma oblato, a come è vissuto, alle sfide a cui è chiamato a rispondere;
- Famiglia Oblata: ospita contributi sulle molteplici esperienze degli istituti e del laicato in qualche modo collegati agli Oblati;
- Documenta: spalanca a tutti le ricchezze dei nostri archivi disseminati nel mondo intero, facendo conoscere testi inediti di particolare interesse, del passato e del presente, ed offre repertori bibliografici.
Nata a chiusura del 150° anniversario della morte di sant’Eugenio, “Oblatio” vuole essere uno strumento per assicurare la sempre più profonda comprensione e vitalità del suo carisma, a servizio della Chiesa e dei “poveri dai molteplici volti”.

giovedì 16 febbraio 2012

"La c'è la Provvidenza", disse Renzo

Abbiamo fatto fare vari lavori di manutenzione in casa, tinteggiato le pareti, ridipinte le porte, ricoperto il divano ormai consumato… Ogni volta abbiamo chiesto ai vari artigiani la fattura regolare; a loro sembrava strano e mostravano meraviglia.
In ultimo abbiamo dovuto affrontare una spesa abbastanza grossa per aggiustare il tetto. Questa volta è stato più difficile: la spesa era alta, il geometra ci sconsigliava di non "buttare soldi in tasse" e siamo stati tentati di fare come fanno i più. Per 15 giorni abbiamo lottato con la nostra coscienza. Alla fine siamo stati coerenti con il Vangelo che dice "date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” e con la nostra coscienza.
Dopo qualche giorno arriva un rimborso dell'imps che non sapevamo ci aspettasse. Sono poi cominciati ad arrivare vari pagamenti per consulenze fatte anni prima… Una sorpresa dietro l'altra che ci ha lasciati meravigliati.
E' straordinario, ma nello stesso tempo è ordinario per chi crede nella provvidenza.

Questa testimonianza mi è giunta in risposta al blog del 14 febbraio dal titolo Senegal: i montoni di Padre Danilo.

mercoledì 15 febbraio 2012

15 febbraio 1826, 2012: Abbandonarsi nelle mani di Dio ora come allora



Il palazzo del cardinal Pacca, davanti
alla chiesa, dove si tenne
la riunione dei cardinali

Come da tradizione anche quest’anno siamo andati nella grande chiesa di Santa Maria in Campitelli per la messa. Il 15 febbraio ricordiamo il lungo tempo di attesa che vi passò sant’Eugenio, aspettando che, nel palazzo di fronte, i cardinali dessero il loro parere sulle regole che aveva proposte al papa: il nuovo gruppo di missionari a cui aveva dato vita andava approvato o no?
Passò tutta la mattinata in chiesa, sperando invano che lo chiamassero. Poté così seguire, una dopo l’altra, a ben nove messe… Aveva una fiducia incrollabile. Aveva fatto tutta la sua parte perché la sua opera fosse approvata, e insieme confidava in Dio, come scriveva allora: «Bisogna ricordare le parole di S. Ignazio il quale dice che negli affari si deve agire come se la riuscita dipendesse da noi mettendo però tutta la fiducia in Dio, quasi che tutto il nostro arrabbattarci non dovesse portare a nulla. Ciononostante vi confesso che, dato quanto finora è avvenuto, conto unicamente sull’aiuto di Dio; se mi muovo personalmente è pro forma, per non dare l’impressione di tentare Dio».
«Vi confesso – scrive ancora – che mai come adesso nella mia vita avevo capito il valore dell’abbandono in Dio, mai come in questa occasione mi ero sentito invogliato a praticare questa virtù... fino a questo momento tutto è contrassegnato da una protezione speciale».



martedì 14 febbraio 2012

Senegal: Il bidone di benzina di padre Pippo.



Una mattina padre Pippo si accorge che è sparito un bidone di benzina.Mai un furto prima d’ora, perché il villaggio è composto da una sola etnia. Quando vivono insieme etnie diverse e i villaggi sono eterogenei allora sorgono i problemi, perché manca il controllo sociale. Ma nel villaggio di Djilas sono tutti della stessa etnia.
Un bidona di benzina è raro e forse chi lo ha preso pensa sia gasolio. La cosa è pericolosa perché se lo usano nella capanna come combustibile o per far luce si rischia un’esplosione, un incendio. Occorre avvisare tutti.
Il capo villaggio dà ordine al banditore di gridare ai quattro angoli del villaggio che è sparito un bidone con del liquido pericoloso: chi lo avesse preso dovrà svuotarlo in una buca.
Apriti cielo! Appena di sparge la voce uno ad uno tutti i capifamiglia si presentano alla missione come si fa quando muore qualcuno, per fare le condoglianze, per chiedere scusa… “Una cosa così grave non era mai accaduta. Voi venite tra di noi per aiutarci e qualcuno vi deruba. È inaudito”.
A notte il bidona riappare come era sparito. Il villaggio può tirare un sospiro di sollievo.

lunedì 13 febbraio 2012

Senegal: I montoni di padre Danilo.


La scuola di catecumenato stava volgendo al termine. Padre Danilo, come al solito, passa con la camionetta a prendere una famiglia per andare insieme all’ultimo incontro, prima del battesimo.
“Oggi non veniamo”, gli dicono.
“Perché proprio oggi, che abbiamo l’ultima catechesi? È un incontro troppo importante, non potete mancare”.
“Siamo troppo abbattuti. Non ce la sentiamo. Sono spariti i cinque montoni che avevamo pensato di vendere. È una perdita troppo grande, irreparabile. Abbiamo cercato ovunque, ma non li abbiamo più trovati”.
“Il Signore non abbandona mai i veri poveri. Venite”.
Tutta la famiglia sale sulla camionetta. Quaranta chilometri sulle piste sabbiose. A centro metri dal villaggio dove sono diretti e dove si sono dati appuntamenti tutti i catecumeni, uno dei bambini grida: “I nostri montoni!”. I cinque montoni sono proprio lì, a quaranta chilometri di distanza…
Il Signore non abbandona mai i veri poveri.

domenica 12 febbraio 2012

Dakar: la Chiesa che cresce


All’aeroporto di Bissau giungo con le regolari 2 ore di anticipo, come per ogni volo internazionale… ma sarebbero bastati pochi minuti prima. Siamo 25 passeggieri in tutto l’aeroporto. Nessun aereo in vista fin quando atterra quello proviene da Dakar per subito ripartire.
In volo, si apre la distesa della foresta solcata da bracci di mare che penetrano come fiumi sinuosi verso l’interno. Immagino i villaggi perduti, nascosti tra la vegetazione. Non un segno di città se non quando appare il fiume Zambia. E finalmente la grande Dakar, seconda città francofona dopo Parigi.
Questa volta sono ospite della comunità della storica Parcelles Assenies, la prima parrocchia degli Oblati, la più grande parrocchia di tutto il Senegal, ricca di mille opere, centro, gruppi, iniziative. Quando venni 25 anni fa si trovava all’estrema periferia, oggi è piena città. Giungendo in taxi mi sembra di essere in una zona terremotata: tutto è sconnesso, cadente, sottosopra, in stato caotico… insomma una città viva! La grande piazza centrale di Parcelles è un campo di battaglia sterrato, con cavalli e carrette, capre, montagnole di sassi e sabbia, posto di commercio… La sabbia, padrona assoluta della città…
È sabato sera e nella grande chiesa sta per iniziare la messa. Improvviso cambio di scena: in pochi attimi la chiesa si riempie come un uovo di persone vestite a festa, uomini, famiglie, giovani, qualche bambino… Le porte d’ingresso sono spalancate sul piazzale antistante dove altre centinaia di persone sono sedute, composte, sulle panche allineate. Il coro, una sessantina di elementi, anima con possanza. Sembra di essere in un altro mondo, pulito, ordinato, armonioso… Ogni domenica sono circa 7000 i cristiani che partecipano alla messa.
Al termine, è ormai buio pesto e faccio difficoltà a distinguere le facce nerissime, la scena di sempre: i bambini che vengono a farsi benedire, le persone che vogliono salutare…
Riparto dall’Africa con negli occhi e nel cuore la Chiesa che cresce.

sabato 11 febbraio 2012

Bissau: la città e i volontari


Lascio N’Dame, dopo aver celebrato la messa della Madonna di Lourdes nella bella chiesa, affrescata con scene locali, dove tutto converge verso Maria, Regina degli Apostoli.
Andiamo in centro città. Bissau, la capitale, si mostra in tutta la sua semplicità, colorata dal rosso della terra che, dalle strale, sale sui muri della case, uniformando in una tinta vivace.
Prima tappa alla curia dove ci accoglie una signora pugliese che presta stabilmente il suo servizio di volontariato nell’amministrazione, assieme al nostro p. Giancarlo. Incontriamo il vicario generale e un bel gruppo di ragazze milanesi venute per una quindicina di giorni come volontarie. In questi anni i volontari milanesi hanno ricostruito l’orfanotrofio distrutto dalla guerra; l’hanno completando installando i pannelli solari. Un paio di ragazze, chirurghe, prestano danno una mano nell’ospedale, in aiuto all’unico medico chirurgo. Gli uomini stanno mettendo la ringhiera attorno alla cattedrale. Mi rendo conto di questo sia efficace, in luoghi così poveri, il nostro sconosciuto volontariato cristiano.
Ci rechiamo al porto, affollato da gente che compra il pesce. L’antico forte portoghese fa la guardia alle barche affossate nella melma della bassa marea. L’unico edificio di una certa consistenza è il parlamento, costruito dai cinesi, che hanno portato lì ingegneri e manodopera. Per il resto tante vecchie case coloniali che conservano un lontano ricordo di tempi passati, edifici ministeriali molto molto modesti, casupole, capanne, tante strade sterrate, bancherelle e mercatini improvvisati ad ogni angolo, tutta una vita febbrile da sottoproletariato. Alberi e orti rendono vivibile una città povera e polverosa, che ha il suo fascino nella bellezza della gente.
Sosta alla comunità oblata nel quartiere di Antula e partenza dall’aeroporto per Dakar.

venerdì 10 febbraio 2012

Guinea Bissau: la rete del pescatore



Un’altra ora libera in mattinata, un altro salto nel bosco fino alla risaia. La grande distesa è arida in attesa delle piogge. Il sole, terminata la tempesta di sabbia, è tornato a splendere e fa sentire tutto il suo calore rovente. Giungo fino alla lingua di mare che entra per chilometri nella terra ferma, quasi fosse un fiume. Un pescatore mi mostra la sua piccolissima rete, appena un metro di diametro, e i molti pesci pescati. Al villaggio trovo un gruppo di uomini seduti all’ombra della tettoia di una capanna. Qualcuno di loro mi parla di padre Celso, lo aspettano… In mezzo al cortile la capanna degli spiriti. Se alle porte della capitale i villaggi sono così rudimentali, cosa sarà all’interno del Paese.
Per quattro cento anni l’unico interesse che ha spinto i portoghesi fin qui è stato fare razzia di uomini e donne per la tratta degli schiavi. Poi hanno iniziato a sfruttare la natura. Ma sempre senza alcun interesse per la gente, quasi non avessero un’anima. Sono dovuti arrivare i missionari del PIME e i Francescani nel 1900 perché si iniziasse a portare la vita del Vangelo. L’opera di evangelizzazione è appena agli inizi. Villaggi interi chiedono il cristianesimo, ma non ci sono abbastanza missionari. Sembra impossibile… I nostri si sono buttati a capofitto ma non bastano per rispondere alla domanda. Continua ad essere vero, come al tempo di Gesù, che la messe è molta e gli operai ancora troppo pochi… Al pescatore sul braccio di mare è bastata una rete piccola piccola per raccogliere tanti pesci. Chissà di quali reti si servirà il Signore per raccogliere i suoi figli…
Terminano intanto i miei cinque giorni di ritiro. Mi pare che tutti gli Oblati siano rimasti molto contenti. Deo gratias!

giovedì 9 febbraio 2012

Guinea Bissau: il villaggio di N’Dame


Sr. Ausiliadora prepara la marmellata di pompelmo


È tornato a farsi vedere il sole, anche se pallido. Da tre giorni è velato dietro un cielo grigio, una cupola di polvere. Anche la foschia che si vede all’orizzonte non è nebbia ma semplicemente sabbia sospesa nell’aria, quella che penetra dappertutto, e che senti anche tra i denti…
Al primo albeggiare mi sveglia l’intenso brusio delle api che ogni giorno prendono d’assalto l’albero accanto alla finestra, fiorito all’inverisimile con fiori che richiamano quelli del tiglio. Dopo le api si svegliano, ad uno ad uno, gli uccelli più doversi e inizia la sinfonia mattutina, diretta da un invisibile maestro d’orchestra.
Quando esco sr. Ausiliadora è già all’opera nell’orto, tra alberi da frutta e verdure; inizia a preparare le sue famose marmellate, poi va a dirigere la cucina.
In un momento d’intervallo, per la prima volta in cinque giorni, trovo il tempo per uscire dall’ampio recinto che raccoglie gli edifici del centro di ritiro, e mi inoltro nel bosco attiguo, estesa coltivazione di alberi di cashew piantata dai portoghesi. Là dentro, nascoste tra gli alberi, a pochi passi dalla casa, le capanne sparse del villaggio di N’Dame. La gente saluta in creolo, i bambini, come sempre e come ovunque mi si incollano e mi seguono ad ogni passo. Per la prima volta entro in una casa, costruita, come tutte, con mattoni di terra e coperta dall’ampio tetto di paglia. Entro soltanto perché unica via per accedere al cortile, interamente recintato da una palizzata di arbusti e spine. Il papà è seduto accanto alla soglia, all’ombra, a riposare. La mamma si ammazza, col grande bastone di legno, a brillare il riso. La nonna accudisce il piccolo fuoco. La vita si svolge all’aria aperta, la casa serve soltanto per dormire e per riporre le poche cose, forse anche per ripararsi durante la stagione delle piogge.
Arrivo alla scuola del villaggio nel momento della ricreazione. Le bambine sono in crocchio a preparare le danze per il carnevale, i ragazzi dietro a un pallone piccolo piccolo. Un bambino gioca col gioco più antico del mondo dal tempo dell’invenzione della ruota: fa correre il cerchione di bicicletta correndogli dietro all’impazzata.
Sembra difficile credere che ci siano posti dove la vita scorre ancora come secoli fa, ma forse nel mondo sono i più…
Anch’io questa sera vado a letto a lume di candela…