mercoledì 30 novembre 2011

Santi insieme. Appuntamento per sabato

V convegno sulla vita consacrata, promosso a seguito della Laurea honoris causa conferita a Chiara Lubich il 25 ottobre 2004 dall'ITVC (Istituto di Teologia della Vita Consacrata) "Claretianum".
Il convegno si svolgerà il 3 dicembre presso l'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana (via Urbano VIII 16).
E' organizzato dalle consacrate e dai consacrati di Roma aderenti all'Opera di Maria (Movimento dei Focolari), in collaborazione con il "Claretianum".

Programma
9.00 Introduzione
9.30 La spiritualità di comunione via di santità (p. Fabio Ciardi omi)
10.10 Testimonianze - Intervallo
11.00 I frutti della santità: Chiara Luce Badano
11.20 Chiara Lubich: una santità di popolo (video)
11.40 Testimonianze
12.10 Dialogo
12.30 Indicazioni conclusive

Gli Atti saranno pubblicati sul numero 6/2011 di "Unità e Carismi".

martedì 29 novembre 2011

Letture pericolose


I libri sono contagiosi e per subirne il contagio bisogna leggerli con passione e, diciamo pure, con una recettiva ingenuità…
Tra le letture più rischiose ci sono quelle il cui contagio suggerisce, impone di cambiare vita, di fuggire dal mondo o di trasformare radicalmente la società. Chi è stato, chi è cristiano o marxista sa bene di che parlo: il Nuovo Testamento e le opere di Marx ed Engels non perdonano chi resta quello che era dopo averle lette. Non sono solo libri, sono tribunali che giudicano ognuno e tutti stabilendo leggi e mete metafisiche, storiche, morali, utopiche.

Nell’anno della Parola mi sono piaciute queste righe di Alfonso Berardelli nell’articolo di prima pagina del Sole 24 ore di domenica scorsa: Tutti i pericoli della lettura. Leggere bene mette a repentaglio la nostra identità e i nostri pensieri. Non dovremmo mai uscire indenni non dico dal Capitale, ma almeno dal Nuovo Testamento.

lunedì 28 novembre 2011

Anniversario di 22 martiri Oblati spagnoli

Oggi è l’anniversario di 22 martiri Oblati spagnoli.
Il 22 luglio1936, alle tre del pomeriggio, miliziani, armati di fucili e pistole, assaltarono la casa di formazione e arrestarono i 38 Oblati presenti, studenti di teologia e superiori, rinchiudendoli in un locale ristretto sotto stretta vigilanza con la minaccia delle armi. Fu la prima prigione. Il giorno 24 le prime esecuzioni. Senza interrogatorio, nessuna accusa, senza alcun tribunale, senza difesa, chiamaronosette religiosi e li separarono dal resto. I primi condannati furono:
- Juan Antonio PÉREZ MAYO, sacerdote, professore, 29 anni.
- Manuel GUTIÉRREZ MARTÍN, studente suddiacono, 23.
- Cecilio VEGA DOMINGUEZ, studente, suddiacono, 23
- Juan Pedro COTILLO FERNÁNDEZ, studente, 22
- Pascual, ALÁEZ MEDINA, studente, 19
- Francisco POLVORINOS GÓMEZ, studente, 26
- Justo GONZÁLEZ LORENTE, studente, 21
Il resto dei religiosi fu liberato il 25 luglio e iniziarono vita clandestina. Nel mese di ottobre furono arrestati di nuovo e portati in carcere. Soffrirono un lento martirio di fame, freddo terrore e minacce. Regnava tra di loro la carità e un clima di preghiera silenziosa. il 7 novembre fu fucilato il padre José VEGA RIAÑO, sacerdote e formatore, di 32 anni e il fratello studente  Serviliano RIAÑO HERRERO, di 30.
Venti giorni dopo venne il turno per gli altri tredici. Né giudizio, né difesa, né spiegazioni; solo la proclamazione dei loro nomi da potenti altoparlanti:
- Francisco ESTEBAN LACAL, superiore Provinciale, 48 anni.
- Vicente BLANCO GUADILLA, superiore locale, 54 anni.
- Gregorio ESCOBAR GARCÍA, sacerdote fresco ordinato, 24 anni.
- Juan José CABALLERO RODRÍGUEZ, studente, suddiacono, 24 anni
- Publio RODRÍGUEZ MOSLARES, studente, 24 anni.
- Justo GIL PARDO, studente, diacono, 26 anni.
- Angel Francisco BOCOS HERNÁNDEZ, fr. coadiutore, 53 anni.
- Marcelino SÁNCHEZ FERNÁNDEZ, fr. coadiutore, 26 anni.
- José GUERRA ANDRÉS, studente, 22 anni.
- Daniel GÓMEZ LUCAS, studente, 20 anni.
- Justo FERNÁNDEZ GONZÁLEZ, studente, 18 anni.
- Clemente RODRÍGUEZ TEJERINA, studente, 18 anni.
- Eleuterio PRADO VILLARROEL, fr. coadiutore, 21 anni.
Uno di loro chiese alle milizie che gli permettessero di dire addio a tutti i suoi compagni e dar loro l’assoluzione, grazia che gli fu concessa. Una volta che ebbe terminato, pronunziò ad alta voce queste parole: “Sappiamo che ci uccidete perché siamo cattolici e religiosi. Lo siamo. Tanto io come i miei compagni vi perdoniamo di cuore. Viva Cristo Re!”.
Il neo sacerdote Gregorio Escobar aveva scritto alla sua famiglia: “Sempre mi hanno commosso fino al più profondo dell’animo i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento  un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire tutti a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morir per Cristo!”

I martiri saranno beatificati il 17 dicembre 2011.

domenica 27 novembre 2011

Avvento: nell'attesa della Sua venuta

Vieni, vieni presto, Signore Gesù,
tieni desta la nostra attesa.
Ogni passo, ogni voce
ci faccia sobbalzare il cuore:
può essere il tuo passo, la tua voce.
Tieni desta la nostra attesa.

Donaci il gusto del lavoro assiduo,
aiutaci a calarci fino in fondo nelle realtà umane
per immettervi il germe della tua salvezza
e portare a compimento l’opera
che ci hai affidato da compiere.

Lontano, tu sei vicino,
assente, tu sei presente.
Segui il nostro cammino,
lavora con noi
ed apri a te il nostro cuore.

sabato 26 novembre 2011

Eterotopia e i luoghi del Risorto

Anche oggi la società ha bisogno di monasteri, di centri di spiritualità, di comunità carismatiche, oasi di contemplazione e scuole di preghiera e d’umanità, di educazione alla fede e di accompagnamento spirituale, bozzetti di umanità realizzata secondo una relazionalità che ha come modello la stessa vita della Trinità. Ha bisogno di chi sappia ridare autentici e attualizzati valori fondanti all’economia, alla politica, al vivere sociale. Ha bisogno della testimonianza viva della fraternità, che sappia amalgamare in nuova unità culture e popoli.
Piuttosto che i luoghi dell’utopia, che rimandano a un mondo meraviglioso ma non esistente, occorre creare quelli dell’eterotopia (un luogo – topos – differente – heteros – da quello che abitualmente conosciamo e abitiamo), che lasciano intravedere ciò che la redenzione ha operato e come può essere una società animata dal Vangelo. Dobbiamo poter creare gli “spazi del Risorto” che diano visibilità al cielo sulla terra, un “paradiso terrestre” che non sarà più quello dell’Eden, ma della nuova umanità dove regna la comunione di cuori e di beni come nella prima comunità cristiana di Gerusalemme.
Penso a luoghi di pellegrinaggio come Lourdes, Medjugorje, solo per ricordare i più noti, spesso retti o animati da religiosi e religiose, dove ogni giorno si operano conversioni. Penso a monasteri come Bose, luoghi di accoglienza e di dialogo, aperti anche a persone non credenti, che ritrovano il senso della vita. Penso alle cittadelle del Movimento dei Focolari, una ventina in tutto il mondo, in particolare alla prima, Loppiano, con i suoi 900 abitanti provenienti da 70 nazioni dei cinque continenti, di ogni vocazione, che lavorano, studiano, come in ogni città, dando però un particolare significato a ogni azione quotidiana, racchiuso nel comandamento dell’amore reciproco: essa costituisce una testimonianza evangelica per le 40 mila persone che la visitano ogni anno. Questi luoghi del Risorto sono forse gli strumenti oggi più adeguati per una nuova evangelizzazione.
La nuova evangelizzazione richiede dunque nuovi evangelizzatori, così come richiede nuovi strumenti di evangelizzazione. Ma soprattutto mi sembra che essa domandi la capacità di creare questi luoghi del Risorto che dicano Vangelo con la vita e con strutture umane evangelizzate. Luoghi dove si possa invitare chiunque: “Venite e vedete”. Luoghi che proclamano non un messaggio consolatorio o intimista, ma la piena rilevanza umana e sociale della buona novella. Nella cultura contemporanea il Vangelo più che predicato va fatto vedere nei suoi frutti sociali, mostrando la sua capacità di trasformazione del lavoro, dell’economia, della sanità, della scuola, dello spettacolo, delle arti, fino a plasmare persone realizzate, tessere rapporti autentici, creare strutture umane vivibili e sostenibili.

Questo ho proposto, tra l’altro, nell’intensa giornata di studio che si è svolta all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sul tema della nuova evangelizzazione.

venerdì 25 novembre 2011

Il castello esteriore



A distanza di cinque anni dalla scomparsa di P. Jesús Castellano vengono raccolti gli scritti da lui dedicati alla spiritualità di Chiara Lubich e del movimento dei Focolari. Fabio Ciardi, che ne ha curato la scelta con amore e speciale empatia, ci ridona in questo modo una immagine del nostro confratello che forse a molti di noi è meno nota. Nell’ampia Introduzione, soprattutto attraverso una serie di citazioni dal carteggio inedito tra P. Jesús e Chiara, si ricostruisce la storia di un rapporto spirituale che ha sostenuto e stimolato il cammino non solo dello studioso di spiritualità, ma anche del religioso e sacerdote carmelitano scalzo, figlio di Teresa e di Giovanni della Croce. Per P. Jesús l’incontro con Chiara e con le sue intuizioni fu una scoperta emozionante, quasi un modo di sperimentare in vivo l’azione dello Spirito, che aveva imparato a conoscere soprattutto nelle ricerche su Teresa di Gesù. Da un lato, ne riconosceva la continuità con la grande tradizione spirituale della Chiesa, dall’altro ne intuiva la novità, la forma adeguata al nostro tempo, alle esigenze e alle domande specifiche del cristiano di oggi. Il tema dell’unità, a lui molto caro fin dalla giovinezza; la centralità del Crocifisso; la spiritualità di comunione; l’ispirazione mariana sono temi centrali del carisma di Chiara Lubich, che hanno parlato in modo particolare al cuore e alla mente di P. Castellano. In essi riscopriva con lieta sorpresa elementi essenziali del carisma teresiano, attualizzati e come arricchiti da un accento nuovo, quello della comunità. (Prima parte)
Così padre Saverio Cannistrà, superiore generale dei Carmelitani presenta il libro di Jesús Castellano Cervera, Il castello esteriore. Il “nuovo” nella spiritualità di Chiara Lubich, appena pubblicato da Città Nuova.

giovedì 24 novembre 2011

Incontri Romani e un comune anelito

“Poiché nessuno basta a ricevere tutti i carismi spirituali, (...) nella vita comunitaria il carisma proprio di ciascuno diviene comune a tutti quelli che vivono con lui. (...) Nella convivenza con molti altri, si fruisce del proprio dono, lo si moltiplica col farne parte e si gode del frutto dei doni altrui come del proprio”.
Queste parole di san Basilio mi sono venute in mente questa sera andando a visitare il Centro di Incontri Romani. Tra le mie tante aspirazione c’è anche quella di fare da guida a Roma… D’ora in poi questo impossibile desiderio lo attualizzo nella comunione con le focolarine di Incontri Romani. Loro fanno quello che io non posso fare e io lo faccio in loro.
Mi hanno raccontato degli inizi, che risalgono a quando nel ’65 Paolo VI, durante una udienza, espresse a Chiara Lubich il desiderio di far sorgere a Roma un centro aperto ai paesi dell’Est Europa, per far scoprire, a credenti e non, il volto autentico della Roma cristiana, con la testimonianza della propria vita, avendo in cuore l’Ideale dell’unità e della fratellanza universale. Bastava testimoniare il comandamento nuovo, l’“amatevi a vicenda…”.
Il papa non faceva che portare alla luce un desiderio che Chiara aveva già in cuore da quando, nel 1948, era arrivata a Roma: accogliere i pellegrini. “E’ una nostra vocazione…” diceva.
Si iniziò spontaneamente con singole persone. Queste, colpite dalle bellezze di Roma, ma anche dall’amore e dall’accoglienza, ritornate nei loro Paesi: Yugoslavia, Ungheria, Polonia, ecc. inviavano altri amici o conoscenti e, proprio per l’amore che è diffusivo di per sé, sono arrivati ben presto i primi gruppi organizzati da agenzie comuniste. Col crollo del muro di Berlino nel 1989 si è verificato un immediato aumento di visitatori da tutta l’Europa orientale. Il Centro si è sviluppato tanto in questi anni ed è aperto a turisti e pellegrini. A volte sono anche gruppi di movimenti, ecumenici o di altre religioni.
Nel 1987 Chiara, visitando Incontri Romani, lasciò una Parola del Vangelo come guida: “Io sono la luce del mondo”, commentando: “E’ Gesù in mezzo a voi che dice così. Da qui la luce va lontana….”.

mercoledì 23 novembre 2011

Santa Cecilia e l'aureola sbilenca di Pasquale I

Siamo a Trastevere, il quartiere popolare sempre pieno di vita, eppure la chiesa di santa Cecilia è appartata e silenziosa, in una piazza poco frequentata dai turisti. Il portico spazioso, con giardino e fontana, è un angolo di pace. Il campanile romano, massiccio e insieme armonioso, si alza solenne da dietro la basilica. Ieri sera, festa della santa, festa sentita dai Romani, la basilica era gremita. La Cappella Sistina cantava melodie degne della patrona della musica.
Qui Cecilia aveva aperto la casa del marito, della famiglia patrizia dei Valerii, alla comunità cristiana come si usavano fare prima del riconoscimento della Chiesa, nel 313. Papa Urbano, dopo il martirio, la fece seppellire nelle catacombe di San Callisto, vicino alla cappella dei papi. Fu un altro papa, Pasquale, all’inizio dell’800, a ritrovarne il corpo incorrotto e a trasportarlo nella basilica che fece costruire in suo onore. Ancora incorrotto lo trovarono nel 1599. Grido di sorpresa all’apertura della tomba. Coricata sul fianco, come un’addormentata, era rivestita di un abito bianco borchiato d’oro, macchiata di sangue. Tre profonde piaghe alla gola le hanno quasi staccato la testa. Lo scultore Maderno è chiamato in tutta fretta, per riprodurre l’immagine: è il suo capolavoro di marmo, sotto l’altare maggiore.
Aveva sedici anni quando nel 176 i suoi genitori la diedero in sposa a Caio Valerio. Pagano, lei lo converte, lui rispetta il suo voto di verginità. Una storia incredibile, d’altri tempi, che ancora fa sognare.
Nella chiesa, a destra, si apre l’andito che conduce al calidario, l’antico bagno della sua bella casa dove quando sentenziarono la sua morte perché cristiana Cecilia fu lasciata per tre giorni esposta ai vapori. Non avendola uccisa il vapore caldo, il boia deve decapitarla. La colpisce tre volte al collo (di più non si poteva, secondo la legge romana), senza riuscire a staccarlo. Cecilia rimane per tre giorni in agonia, in un bagno di sangue.
Dall’abside, su in alto, immortalata in un mosaico del IX secolo, ci benedice, assieme al Redentore, ad altri martiri (tutti con l’aureola) e con Pasquale I, che ha l’onore di aver recuperato il suo corpo nelle catacombe e di aver costruito la basilica… ma che, al posto di una aureola rotonda, deve contentarsi di una quadrata, simbolo di imperfezione… meglio di niente! Comunque il papa è sempre in buona compagnia, con la sua Cecilia, Agata e Valeriano, Pietro e Paolo. Mi accontenterei anch’io di un’aureola un sbilenca: santa Cecilia, pensaci tu. 

lunedì 21 novembre 2011

Interpretare la Scrittura con la vita: l'ermeneutica dei santi

Chi vive il Vangelo arriva, come l’apostolo Paolo, ad avere «il pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 16). Acquista la capacità di leggere le realtà della storia, le esigenze della società con il suo sguardo di Cristo. Sa quindi essere creativo ed operativo nella storia.
Poiché la Parola vissuta ha la potenza stessa di Dio, i santi che l’hanno vissuta hanno mostrato, con le opere, ciò di cui essa è capace. Per capire cosa contiene un seme occorre seminarlo e vederlo crescere. Per capire cosa contiene la Parola di Dio e di cosa è capace, occorre accoglierla con cuore puro, metterla in pratica. È così che i santi, proprio vivendo la Sacra Scrittura, hanno costruito monasteri, ospedali, scuole, centri di preghiera e di meditazione, hanno ispirato politica ed economia…
Ma hanno sperimentato anche la libertà, la gioia, il coraggio della coerenza evangelica. L’amore, fatto di perdono, compassione, condivisione, disposto a giungere fino al dono della vita, diventa il loro tratto caratteristico. Hanno compreso il senso profondo della nostra vita: sanno perché vivono. Hanno acquistato una fiducia nuova in Dio Padre, un rapporto di autentica e sincera figliolanza con lui e, insieme, sanno infondere fiducia e acquistano un atteggiamento di amore concreto e di servizio fattivo verso i loro fratelli. Sono uomini e donne di pace e costruttori di pace e di unità.

È la conclusione di una conferenza che ho appena terminato di preparare per il prossimo viaggio in India. Avrà come titolo Interpretare la Scrittura con la vita: l'ermeneutica dei santi. Incontrerò tanti amici, degli autentici “santi”, come quelli della foto, incontrati tempo fa a Mumbai…

domenica 20 novembre 2011

Le stelle di Rabi’a al-Adawwiyya

In cielo brillano le stelle, / si chiudono gli occhi degli innamorati. / Ogni donna innamorata è sola col suo amato. / E io sono sola, qui, con te, Mio Signore!
Così pregava Rabi’a al-Adawwiyya, la famosa mistica mussulmana del secolo VIII, che un giorno fu vista correre per una strada di Bassora, portando una torcia accesa in una mano e nell'altra un secchio d'acqua; voleva incendiare il Paradiso e spegnere l'Inferno, perché si amasse Dio senza sperare ricompense o temere castighi.
La sua poesia mi è tornata alla mente quando ho sentito la notizia che sulla terra il numero delle persone non sposate ha superato quello delle sposate. Indice che l’età media della popolazione si abbassa sempre più o che ci si sposa sempre meno? Quest’ultimo dato è incontestabile e le motivazioni sono molteplici e complesse: problemi economici, incertezze sul futuro, timore di un rapporto stabile, disaffezione alla famiglia… La poesia di Rabi’a mi suggerisce una ulteriore ingenua motivazione: non c’è più modo né tempo di guardare le stelle che brillano in cielo. Chissà com’era stellato il cielo di Persia in quel VIII secolo; come quello, penso, che ho scrutato poco tempo fa nella pampa argentina: una Via lattea talmente luminosa da sembrarmi una nube splendente di luce; nella notte fredda, guardando il cielo, mi si è riscaldato il cuore.
La luminescenza della città non consente più di scorgere le stelle. E se anche si vedessero non ci sarebbe più il tempo per contemplarle: più potente la luce del computer mentre internet fagocita i pochi momenti liberi. Gli occhi degli innamorati non si chiudono più dopo aver contemplato le stelle, ma arrossati e stanchi dopo ore di TV e dopo aver navigato su mari telematici; non c’è più voglia né tempo per fare l’amore.
Lo stesso può accadere anche a donne e uomini – monaci e religiosi – che avevano deciso di dedicare a Dio tutta la loro vita. Chissà se veramente possono ripetere quanto soleva dire Rabi’a: «L’amore di Dio ha riempito il mio cuore a tal punto che non c’è rimasto posto per amare o desiderare un altro». Senza essersi riempiti gli occhi con un cielo di stelle non sperimentano la gioia di poter dire:  E io sono sola, qui, con te, Mio Signore!
Accanto ai programmi del nuovo governo, incentrati sull’economia e il lavoro – ne abbiamo estremo bisogno – occorrerà programmare uno stile di vita più contemplativo, pena l’impoverimento morale della società, senza più famiglie, senza più testimoni dell’Assoluto
.

sabato 19 novembre 2011

Così nasce la comunità cristiana

Erano un pugno di uomini timorosi, ma il vento dello Spirito li spinse ad uscire di casa e si trovarono di fronte a migliaia di persone accorse per vedere cosa stesse succedendo. Pietro prese il coraggio a due mani ed iniziò a parlare, narrando quanto era avvenuto a Gesù di Nazareth. «Coloro che accolsero la sua parola – ci dicono gli Atti degli Apostoli – furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone». Grazie alla Parola annunciata ed accolta era nata la Chiesa! Da allora essa nasce e rinasce sempre allo stesso modo: il Vangelo passa di bocca in bocca, si trasmette di generazione in generazione e trova chi ne rimane incantato e decide di aderirvi, di viverlo, divenendone a sua volta trasmettitore.
Grazie all’annuncio e all’accoglienza della Parola, la Chiesa continua a crescere nel tempo e nello spazio (cf. 1 Tess 1, 5-10), al punto che gli Atti non dicono che essa cresceva, ma che «la Parola di Dio cresceva» (6, 7), si moltiplicava (12, 24), si rafforzava (19, 20): Parola e comunità ecclesiale si identificano. A sua volta Paolo asserisce che la Parola di Dio cammina (2 Ts 3, 1), compie una corsa, non è in catene (2 Tm 2, 9) e «in tutto il mondo sta portando frutto e progredendo» (Col 1, 6); anche per lui parlare del Vangelo è la stessa cosa che parlare della Chiesa, Vangelo vissuto.
La primitiva comunità cristiana di Gerusalemme si caratterizzò per l’ascolto della Parola trasmessa dagli apostoli. Da quel primo tratto distintivo ne scaturì subito un secondo, la comunione fraterna: era un cuore solo e un’anima sola; era diventati una famiglia. “Chi è la mia famiglia?”, aveva domandato Gesù a quanti gli erano attorno: “Chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica” (cf. Lc 8, 21). Così nasce la comunità cristiana.
La parola di Dio ci penetra nelle vene e crea tra noi un legame di sangue, proprio come in una famiglia umana, più che in una famiglia umana! La Parola ci chiama a raccolta e ci fa popolo, ci guida in una medesima direzione e ci orienta verso la meta finale. Una sola Parola, un solo Vangelo ci inibita. Un solo pensiero, una sola fede, un solo volere ci unifica. Non si può essere cristiani altrimenti.
Di qui la chiamata a con–versione, a volgersi insieme verso la Parola di Dio che, seminata in noi, ha la capacità di crescere nonostante le avversità e la stessa incuria dell’agricoltore (cf. Mc 4, 14. 26-29), fino a germogliare nella spiga della comunione ecclesiale.

venerdì 18 novembre 2011

Dai nostri in Colombia



Misioneros Oblatos de María Inmaculada
Prenoviciado Nuestra Señora del Carmen
Bogotá - Colombia,

Ci sono ancora giovani che si fanno Oblati!
Perché non vai a visitarli?

giovedì 17 novembre 2011

Elisabetta santa in 24 anni



Ogni giorno un santo… e a volte non ci si fa caso. Ma oggi mi ha impressionato rendermi conto che Elisabetta d’Ungheria – principessa, madre di tre figli, opere di misericordia, un ospedale, servizio ad ammalati e poveri… – è morta che aveva appena 24 anni. Amava pazzamente il marito: “Se io amo tanto una creatura mortale – ripeteva –, quanto più dovrei amare il Signore, immortale e padrone di tutti!”. Un amore di cui la fedelissima amica Isentrude dava questa testimonianza: “Si amavano di un amore meraviglioso e s’incoraggiavano dolcemente, l’un con l’altra, nel lodare e servire Dio”.

Quando il marito morì, improvvisamente (“Morto! – esclamò –.  E con lui è morto ogni mio bene al mondo”), Elisabetta seguì l’esempio di san Francesco morto da appena un anno, costruì l’ospedale e passò gli ultimi quattro anni della vita a servire gli ammalati. Le sono bastati 24 anni per farsi santa e altri quattro per essere proclamata tale, ispiratrice e modello di tutte quelle donne che, pur restando nel mondo, volevano dedicarsi alla contemplazione e al servizio dei poveri e da lei presero il nome di elisabettine.


mercoledì 16 novembre 2011

La storia di Dio e la mia

Uscendo dalla sala, sabato, mi è venuto spontaneo ringraziare il Signore per la libertà e la creatività che continuamente ci dona. Mi sono sentita consolata dalla libertà di Dio che nonostante le mie resistenze, mi supera e mi stupisce. Un libertà che si concretizza nei diversi percorsi che ciascuno percorre e che, mi pare, il Signore accompagna in modo più o meno evidente.
Ascoltare esperienze diverse, vissute da prospettive differenti, ma unificate dallo stesso desiderio profondo di senso pieno, di ricerca dell’uomo e quindi credo di Dio, arricchisce chi vive questa ricerca, qualsiasi sentiero si percorra. … (Luisa)

Ero stato invitato all’incontro di 12 novembre senza sapere altro che il titolo del libro di P. Ciardi “la storia di Dio e mia” e per giorni mi sono domandato che cosa volesse dire. Sapevo che la storia di Dio era la storia della salvezza che la Bibbia aveva registrato, sapevo raccontare la mia storia magari ispirata dalla parola della Bibbia, ma che c’entrava il parallelismo tra la storia di Dio e la mia? E invece stasera ho capito che il senso era la  Bibbia come madre della storia di tutti noi e grembo della mia storia. …
Sono un ‘essere che cerca’, che cerca l’altro per mantenere la coscienza di sé, per trovare una risposta al suo esserci. (Pino Palocci)

Tu forse non ci credi, ma la prima ora di oggi l’ho spesa a leggere il tuo “La storia di Dio…” è straordinariamente interessante… (Romano)

martedì 15 novembre 2011

Mai che ti sia stato indifferente



“Io, pur peccatore, amo il Signore e amo la Chiesa. Tutto il resto, se non rientra nell’indotto che almeno marginalmente porta al Signore e alla Chiesa, appena mi sfiora”.
“… sono sempre il solito ignavo e tiepido pretucolo. Non dirmi: ora basta! Dammi, Signore, la possibilità di continuare anche se, in tutta sincerità, mi verrebbe da chiederti… di farmi ricominciare da capo!”
"Mai una volta... che io ti sia stato indifferente". (e ti par poco?)

Parola di Don Romano che festeggia 50 anni di sacerdozio! In mezzo al suo coro, alla sua gente… Auguri!

lunedì 14 novembre 2011

Padre Liuzzo e l’Idea missionaria





Il 14 novembre 2003 muore p. Gaetano Liuzzo. Per ricordarlo leggiamo una delle sue pagine
rivolte a un giovane al quale ha appena parlato delle missioni degli Oblati:

Mio giovane amico, guardiamoci ora fraternamente negli occhi: quali le tue impressioni dopo la rapida crociera missionaria fra le nevi polari e negli altri campi di apostolato appena intravisti delle zone equatoriali, tropicali e temperate dell’Africa, Asia e America Latina; e attraverso i capisaldi rivelatori dello spirito oblato? Non ti hanno forse lanciato uno sguardo magnetico e affascinante?… Scrutalo questo sguardo con franchezza e lealtà. Ti chiede simpatia costante, amore ardente e appassionata cooperazione spirituale, e materiale? Diventa dunque un caldo e convinto assertore dell’‘Idea Missionaria’, e più ancora vivi sempre e dovunque con altissima coscienza missionaria; in altre parole, veramente cattolica e conquistatrice…
E se quello sguardo fascinatore ti chiede qualcosa di più, di meglio? Oh allora, te ne supplico, non sfuggire, non lo respingere: ma sii di Cristo Redentore, di Maria co-redentrice, delle anime che anelano alla santità e da te attendono la salvezza feconda e trascinatrice che ti invita… Prega, rifletti, e… avanti sotto il bianco vessillo della Regina del tuo cuore, Maria Immacolata…; mentre andrai deliziosamente ripetendo col santo del Nord-Est, monsignor Grandin: “Nella notte io porto la luce; tra i ghiacciai io porto l’amore; nella morte io porto la vita”.

domenica 13 novembre 2011

Il volto femminile degli Oblati

Il primo gruppo a Firenze, agosto 1951
“Vogliamo essere come gli Oblati”. Così si espressero alcune giovani, e p. Liuzzo vi vide un segno del Cielo. Egli avvertì in quel desiderio una conferma a quanto avvertiva in cuore: intraprendere una corsa verso Cristo “entusiasmata dallo stesso ideale dell’Oblato… Così diventerete tutti… Oblati in veste secolare”. In quelle giovani vibrava una piena sin­tonia con il suo ideale di reale coinvolgimento del laicato nella vita e nella missione oblata. L’occasione per concretizzare quell’ispirazione fu un ritiro che tenne a Firenze, dal 18 al 22 agosto 1951, con un bel gruppo di queste giovani. Già il primo giorno il desiderio di alcune di loro si fece espli­cita domanda, scritta su un foglietto: “Padre, come fare per diventare perfettamente sorelle degli Oblati e vivere più strettamente la loro spiritualità?”. “Risposi – racconta padre Gaetano– : ‘diventare in pieno oblate in veste secolare. Anzi diventare ‘Sorelle’ degli OMI”.
Al termine del ritiro, il 22 agosto 1951, festa del Cuore Immacolato di Maria, nella basilica della SS. Annunziata, davanti alla celebre immagine del Duecento, ricordando e continuando il “Sì” di Maria, diciotto delle trentasei giovani formulano la loro consacrazione
22 agosto 1951 e Firenze, scriverà Padre Gaetano molti anni più tardi, “sono la data e il luogo ‘teologico’ della nascita dell’Istituto con un proprio carisma che è la prima irradiazione in Italia del carisma oblato tra i laici. Nasceva il ‘piccolo incendio’ ed era incendio ‘mariano’. Gloria a Dio che lo ha ispirato e voluto. La storia mostrerà che era un progetto profetico, ispirato da Dio”.

Ieri e oggi, a Vermicino, si è celebrato il sessantesimo anniversario della nascita delle COMI, le Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata. Il sogno di p. Gaetano Liuzzo di un istituto che fosse “ramo del grande albero degli Oblati”, il loro “volto femminile”, è una realtà ormai consolidata nella Chiesa. La storia ha mostrato che era un progetto profetico, ispirato da Dio.

sabato 12 novembre 2011

La Bibbia di nonno Amberto


Nonno Amberto era stato trascinato a combattere una guerra infame in Albania. Sarebbe dovuta essere una marcia trionfale, una guerra lampo, come sono tutte le guerre nelle menti esaltate dei generali. Ma quando il capitano invitò i soldati a zappare la terra e a coltivare gli orti fu subito chiaro che le cose si sarebbero messe per le lunghe. Alto, bella presenza, serio, il nonno pareva nato per essere ufficiale. Infatti fu chiamato al comando per promuoverlo di grado, ma quando si seppe che non sapeva né leggere né scrivere non se ne fece nulla. «Peccato!», dissero.
La guerra finì, come finiscono prima o poi tutte le guerre, senza concludere nulla. Amberto tornò a casa e ricominciò il lavoro dei campi. A sera, dopo cena, prendeva sulle ginocchia la bambina più piccola.
«Ti racconto la storia di Giuseppe ebreo», le diceva, e cominciava il racconto del figlio di Giacobbe, a cui il padre aveva fatto cucire una tunica dalle lunghe maniche. Era il figlio della vecchiaia, Giuseppe, il prediletto, un sognatore. L’invidia e la gelosia dei fratelli arrivarono al punto  di farlo vendere schiavo. Ed ecco Giuseppe in Egitto, con le tristi e felici avventure: la sfacciata e perfida moglie di Potifarre, il carcere, l’ascesa a gran visir, il drammatico incontro con i fratelli... Una storia a lieto fine. Una storia, come ha scritto Alighiero Chiusano, che «mette il silenziatore a tutte le più belle favole di bambini smarriti e di orchi sanguinari, di genitori in angustia e di sogni che si avverano, di sovrani che di punto in bianco ti cambiano da schiavi in viceré e di fratelli malvagi che alla fine vengono giustamente puniti, magari col perdono... Ma questa fiaba è così irresistibile anche perché solo fiaba non è. La vicenda di Giuseppe e del mondo che gli sta intorno è anche romanzo: grande grandissimo, moderno modernissimo romanzo. Romanzo avventuroso... romanzo erotico... romanzo psicologico... romanzo storico... un romanzo così bello che molti grandi “creativi” non hanno resistito alla tentazione di riproporlo... Metastasio, Hofmannsthal (con musica di Richard Strauss), il lituano Rajnis, Thomas Mann». E mia mamma ascoltava, incantata... Non sapeva leggere né scrivere, nonno Amberto. Dove avrà imparato la storia narrata dal primo libro della Bibbia? Ho poi saputo che erano tanti i nonni che nell’Italia del primo Novecento narravano la storia di Giuseppe ebreo. Passava di bocca in bocca, come un poema epico. Una Bibbia orale, così come sulle pareti delle chiese romaniche e sulle vetrate delle chiese gotiche si disegnava la “Bibbia dei poveri”, perché tutti potessero conoscere le gesta di Dio, dei suoi profeti, del Figlio suo.

È l’incipit del libro “La storia di Dio e la mia. La Bibbia fonte d’ispirazione per l’uomo”, oggi presentato a Ciampino. Un momento di dialogo e di festa.
Non è stato un commento al libro o una intervista all’autore. Il libro è stato il punto di partenza per una comprensione biblica più profonda e per una condivisione intensa. Il libro ha svolto la sua missione di far pensare; esso comincia quando lo si chiude e il lettore continua a percorrere da solo la strada che gli è stata aperta dinanzi.

venerdì 11 novembre 2011

Il mantello di san Martino





San Martino: fondatore del primo monastero in Occidente, prima ancora di san Benedetto; difensore della purezza della fede contro l’Arianesimo; vescovo di Tours; evangelizzatore della Francia; protettore dei poveri e dei contadini contro lo spietato fisco romano; promotore del la giustizia tra deboli e potenti… Perché di tutto questo si conosce quasi niente, mentre tutti sappiamo dell’episodio del mantello?
Ungherese, figlio di un ufficiale dell’esercito romano, egli stesso si arruola nella cavalleria imperiale, prestando servizio in Gallia. È qui che,giovane soldato, non ancora battezzato, con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. 
Perché nella memoria dei secoli futuri è rimasto soltanto questo episodio? Perché forse qui è il segreto di tutta la sua vita futura: saper riconoscere Gesù nell’altro. Il resto sarà tutta una logica conseguenza…

giovedì 10 novembre 2011

La nuova evangelizzazione e gli Oblati


Giovanni Paolo II, “Incontrandomi l’undici gennaio scorso [1996], mi disse di aver preso S. Eugenio come suo patrono e di aver posto la sua reliquia nella sua cappella privata. Vedeva in lui, infatti, un modello e un protettore per l’evangelizzazione dei tempi moderni” (Marcello Zago, “Information OMI”, Maggio 1996).
Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mandando i suoi auguri per il nostro convegno in Polonia, tra l’altro ha scritto: “S. Eugenio de Mazenod si fece, nel suo tempo, ‘nuovo evangelizzatore’ e la sua figura interpella ancora oggi, in maniera chiara ed efficace, anche voi Oblati di Maria Immacolata per essere, in prima persona, ‘nuovi evangelizzatori’, vivendo in pieno la fedeltà al vostro carisma. Povertà, castità e obbedienza diventino mezzo per rendere credibile la via del Vangelo come strada possibile per essere percorsa. In quanto religiosi, mi permetto di affidare e raccomandare, in particolar modo a voi, la rinnovata promozione del sacramento della riconciliazione. In un’epoca che sembra aver scordato il perdono e, anzi, pare suscitare sempre più violenza, rancore e vendetta, si avverte la forte necessità di testimoni di perdono e di segni forti di misericordia. La confessione diventi luogo privilegiato per l’incontro con il Signore, luogo in cui tante persone, in particolare i giovani, sperimentano, in prima persona, l’amore compassionevole del Padre”.

mercoledì 9 novembre 2011

Nella notte stellata di Baghdad



In cielo brillano le stelle,
si chiudono gli occhi degli innamorati.
Ogni donna innamorata è sola col suo amato.
E io sono sola, qui, con te, Mio Signore!

Così pregava Rabi’a al-Adawwiyya, mistica mussulmana del secolo VIII. «L’amore di Dio – soleva dire – ha riempito il mio cuore a tal punto che non c’è restato posto per amare o detestare un altro»...

lunedì 7 novembre 2011

Koinonia compie 20 anni

La comunità religiosa nella storia della Chiesa e della società è stata fermento di rinnovamento, di dinamismo interiore, di creatività e di risposta alle istanze che di tempo in tempo sono emerse nel cuore della storia. Il movimento monastico nel suo nascere si è rivelato un pressante ed esistenziale invito a tutta la Chiesa per una ripresa del radicalismo evangelico ed ha avuto innegabili influssi sociali, di contestazione verso l’Impero. Le abbazie benedettine con le numerose riforme sono state indubbiamente, lungo tutto il Medioevo, punto di riferimento obbligato per la rinascita civile e religiosa. Lo stesso è avvenuto con il movimento mendicante, che ha galvanizzato le masse attorno agli ideali evangelici. In forma forse meno appariscente, ma ugualmente incisiva, si può dire altrettanto anche di altri movimenti successivi, quali la Devotio moderna, gli ordini nati nel periodo della Riforma e della Controriforma, le Congregazioni del Settecento e dell’Ottocento. L’intera storia della vita consacrata può essere letta come il susseguirsi degli interventi dello Spirito che guida incessantemente la sua Chiesa nella maggiore comprensione della Parola di Dio e nella sua attuazione. Attraverso i Fondatori – strumenti dello Spirito – la Parola di Dio torna a parlare in ogni tempo e a rispondere alle esigenze dell’uomo
È l’incipit del mio Koinonia. Sono passati 20 anni da quanto l’ho pubblicato. Il libro ha avuto tre edizioni e ulteriore ristampe digitali, compresa l’ultima, che arriverà in libreria il 9 novembre. Penso porterà ancora frutti….
Per gli studenti del Claretianum, vedi lezione di martedì 8 novembre: clicca qui

domenica 6 novembre 2011

Una parola più grande del mare


Avevo 25 anni. Quell’estate – era il luglio del 1974 – avevo saputo che ci sarebbe stato un grande congresso internazionale di giovani a Rocca di Papa. Non facevo parte di quel gruppo, ma vi andai ugualmente e, fra tanti, nessuno si accorse della mia presenza.
Ricordo la sospensione che suscitarono le prime parole che Chiara Lubich rivolse a questi giovani e ragazze di tante parti del mondo lì radunati. “Debbo dirvi una parola – così cominciò – che trent’anni fa ha dato vita ad una rivoluzione”. In quei primi anni Settanta il desiderio di cambiare il mondo, più ancora di rivoluzionarlo, era vivissimo tra i giovani. Quale sarà questa parola? mi domandai io e forse se lo domandarono anche gli altri che con me ascoltavano.
Ma prima di pronunciare questa parola Chiara andò avanti facendo crescere la sospensione e l’attesa. “È una parola più grande del mare – ci disse testualmente – che deve allontanarsi all’infinito, come quando si butta un sasso nell’acqua e si formano cerchi sempre più ampi. È una parola che Gesù vuol dire oggi, in questo secolo, agli uomini; ed egli desidera che tutti, dal primo all’ultimo, noi siamo canali, eco di essa”.
Eravamo lì, in un silenzio attento, aspettando la rivelazione di questa parola. Quando finalmente la pronunciò sentii come un tonfo al cuore; era come mi si spalancasse davanti l’infinito.
“Questa parola – ci disse Chiara – è Lui stesso: Dio”.
Dio. Era una parola che avevo sentito tantissime volte. Avevo da poco tempo fatto i miei voti perpetui, donandomi a Dio totalmente e per sempre. Eppure in quel momento mi sembro di sentirla per la prima volta e ne rimasi incantato.
“Se ci venisse chiesto – proseguì Chiara: qual è il vostro ideale? Noi dovremmo rispondere: Dio”.
In quel momento Dio era veramente il mio ideale, l’ideale di tutti quei giovani in mezzo ai quali mi trovavo.
Questo episodio  di tanti anni fa mi è tornato in mente leggendo Benedetto XVI, che esprime le attese della Chiesa di oggi: “Credo che oggi (…) il nostro grande compito sia in primo luogo quello di rimettere di nuovo in luce la priorità di Dio. La cosa importante, oggi, è che si veda di nuovo che Dio c’è…”.

sabato 5 novembre 2011

Una comunità di 10.000 membri

Al Campo Verano mi è stato caro ricordare le parole di sant’Eugenio quando morì p. Arnoux, uno dei suoi giovani Oblati: “In paradiso sono già quattro: una gran bella comunità. Sono le prime pietre, le pietre basilari dell'edificio che si innalza nella Gerusalemme celeste; stanno dinanzi a Dio col segno distintivo della nostra Società: i voti comuni a tutti i membri, la pratica delle medesime virtù. Siamo legati ad essi coi vincoli di una particolare carità, sono ancora fratelli nostri e noi siamo i loro fratelli; ma essi abitano la casa madre, la capitale; le loro preghiere, l'amore che serbano per noi un giorno ci porteranno ad abitare con essi nel luogo del nostro riposo. Ardisco di credere che la nostra comunità di lassù deve trovarsi ben collocata vicino alla nostra Patrona; li vedo accanto a Maria Immacolata e perciò vicino a Nostro Signore Gesù Cristo che essi hanno seguito sulla terra e che contemplano gioiosamente; riceveremo la nostra parte di questa pienezza se ci rendiamo degni di loro con la fedeltà costante a quella Regola che li ha aiutati a giungere là dove sono. La loro morte santa è, a mio credere, una sanzione altissima delle nostre Regole che così ottengono un nuovo sigillo dell'approvazione divina: la porta del cielo è al termine della strada sulla quale camminiamo. C'è da andare in estasi riflettendo su questo…”.
Allora la comunità del cielo era composta da quattro oblati, oggi da più di diecimila.
Il 15 dicembre 1838 nel diario, annota: “... perché non benedire altamente il Signore per la grande misericordia che esercita verso di noi concedendo ai nostri il privilegio di morire da predestinati?”. Quindi chiama per nome gli ultimi partiti: “Pons, Suzanne, Marcou, Arnoux, Dumolard e tutti gli altri nostri fratelli, rispondete dall’alto del cielo! La vostra vocazione alla Congregazione degli Oblati di Maria non fu per voi il segno della vostra predestinazione? O mio Dio, che sia così di tutti coloro che militeranno sino alla fine sotto questo vessillo…”
Al termine della sua vita, dopo aver ricevuto la notizia della morte di p. Gerin, scrive ancora: “In questo modo la nostra piccola famiglia militante alimenta la nostra già numerosa comunità del cielo! Che questi cari fratelli, che Dio chiama a sé, non ci perdano di vista una volta arrivati al culmine della felicità; abbiamo un grande bisogno di assistenza e di moltiplicarci per il lavoro che si presenta da ogni parte. Dal canto nostro, non li dimentichiamo quando ci lasciano. Nel timore che qualche ostacolo si opponga alla loro entrata in cielo, li accompagniamo, senza dubbio, con il nostro dolore, ma soprattutto con i suffragi” (Diario, 22 dicembre 1860).

venerdì 4 novembre 2011

San Carlo Borromeo e san Carlo de Mazenod

Sant'Eugenio in un dipinto un po' originale,
nella chiesa di  Obra, Polonia
“Tutte le vostre cose si facciano nella carità, così potremo superare tutte le difficoltà che innumerevoli dobbiamo sperimentare giorno per giorno; e così avremo le forze per generare Cristo in noi e negli altri”. Sono parole che san Carlo Borromeo pronunciò nell’ultimo sinodo diocesano.
Ogni anno san Carlo Eugenio de Mazenod ricordava il suo santo patrono: tutti nella famiglia, da generazioni, portavano il suo nome, anche la sorella Carlotta! Nel 1825 l’aveva dato perfino ai suoi Oblati chiamando “Oblati di san Carlo”. Ma per fortuna lo sapeva soltanto lui e pochi altri. Appena un anno più tardi scriveva che aveva fatto un torto a Maria a non chiamarsi subito “Oblati di Maria Immacolata”, con buona pace di san Carlo Borromeo.
All’inizio lo attirava l’idea che san Carlo aveva messo insieme un gruppo di sacerdoti per le missioni e la direzione dei seminari, come gli piacevano l’Oratorio di san Filippo Neri e i Padri della Missione di san Vincenzo de Paoli. Lo affascinava quel vivere insieme di sacerdoti, legati soltanto dall’amore e tutti donati per l’annuncio del Vangelo… Sì, “Tutte le vostre cose si facciano nella carità… e così avremo le forze per generare Cristo in noi e negli altri”.

giovedì 3 novembre 2011

Gli Oblati nel Campo Verano

Come tradizione, il 3 novembre si celebra la Messa per tutti gli Oblati defunti. Quest'anno, essendo "romano", ho avuto la gioia di presiederla io, nella nostra cappella al Campo Verano.


Sono 63 gli Oblati sepolti nel Campo Verano a Roma. Un cimitero monumentale, quello del Verano, vicino alla tomba e alla basilica di san Lorenzo. Un cimitero che accoglie le spoglie di persone illustri nel campo della cultura come Gioacchino Belli, Ernesto Bonaiuti, Grazie Deledda, Eduardo e Peppino De Filippo, Emilio Cecchi, Natalia Ginzburg, Giuseppe Ungaretti; dello spettacolo come Marcello Mastroiani e Raimondi Vianello; politici come Alcide De Gasperi, Giuseppe Saragat, Palmiro Togliatti, Nilde Iotti, Ugo La Malfa, Pietro Nenni; della Chiesa come la famiglia Pacelli, Van Thuán…
Anche alcuni dei nostri Oblati sono famosi, nel nostro mondo: mons. Allard, iniziatore della missione in Sud Africa, padre Baffie, che ha scritto un bellissimo libro su sant’Eugenio, il vescovo Dontenwill, superiore generale negli anni Venti, padre Anselmo Trèves, un santo particolarmente amante della Madonna, sulla quale ha scritto tantissimo, i Padre Dindinger, Perbal e Seumois, grandi professori di missiologia all’Urbaniana, italiani come Gaetano Drago, Carlo Irbicella, Luigi Rossetti, Angelo Mitri…
Qui vi sono anche Oblati più umili e meno noti, a cominciare dal primo che vi fu sepolto nel 1868, di cui non si è più trovata neppure la tomba: Fratel Francesco Gandolfi, nato in Corsica nel 1855. Nella comunità di Roma era il factotum, raccontava il superiore di allora: “era solo e dovendo fare tutti i servizi di casa, sapeva farsi in quattro per sopperire ad ogni necessità, senza tralasciare nessuno dei esercizi religiosi”. Aveva poco più di quarant’anni quando cominciò ad avvertire scrupoli mai provati, fino ad una vera e propria infermità mentale. Morì di tisi.
L'altare della Cappella degli Oblati
L’ultimo è padre David Adam, nato a Londra nel 1922 e vissuto quasi tutta la vita in Sud Africa. Durante la guerra fu fatto prigioniero e inviato in un campo di concentramento vicino a Torino. Riuscì a fuggire e dopo giorni e giorni di cammino tra campagne e montagne, aiutato dalla gente, riuscì a raggiungere la sua unità militare. Tornato in Sud Africa divenne Oblato. Nel 1987 fu chiamato a Roma per l’informatizzazione degli uffici. Morì all’Ospedale Gemelli il 14 aprile 2002.

Alcuni noti, altri meno noti… a chi? A noi. Ma chissà come Dio vede le cose. Quando mi trovo in mezzo alle folle, quando viaggio in metro, quando sono in una chiesa gremita, guardo le persone sconosciute e anonime e penso che ognuna di loro non è tale davanti a Dio, ma a lui conosciutissima e da lui amata e pensata; egli ne ha premura. Ci ha voluti uno per uno e gli siamo preziosi e cari come unici.
Ognuno di noi – ognuno dei miliardi e miliardi di essere umani che sono passati, che sono e che passeranno – è una parola che il Padre ha pronunciato nel generare il Figlio suo e gli siamo figli nel suo Figlio: tutti un unico figlio nel suo unico Figlio.
A lui tutti torniamo e quando lo vedremo faccia a faccia dovremmo pronunciare, realizzata, la parola da egli pronunciata quando ci ha pensati e creati. “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55, 10-11). Ognuno di noi è una di quelle parole, chiamata a portare frutto…

martedì 1 novembre 2011

La santità possibile

Il cancello del cimitero
Una volta mi dispiaceva che la celebrazione dei santi e dei morti fosse contigua. La seconda pareva intristire la prima e la prima; con la visita ai cimiteri, pareva fosse soltanto la vigilia della seconda.
Cimitero degli Oblati a Obra, Polonia
Ora che ho tanti amici e persone care nell’altra vita ho capito la saggezza della Chiesa. Anch’io, come il curato d’Ars, posso ripetere: “Nel nostro cimitero riposano molti santi”, persone che hanno vissuto le beatitudini con semplicità e spesso nel nascondimento, senza alcuna notorietà se non quella di essere stati notati da te. La canonizzazione raggiunge soltanto poche migliaia di persone, il paradiso lo raggiunge “una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”.
A volte si insidia il dubbio: sarà fatta per me la santità? Troppo difficile, impossibile, un lusso per pochi eletti… Il nemico della santità è la mediocrità. Ci accontentiamo di essere buoni e tutto finisce lì. La corsa iniziale rallenta, si insinuano i compromessi, i propositi si insabbiano, ci adagiamo sullo stato quo. Il nemico della santità è la rassegnazione.
La moltitudine immensa che ci aspetta, testimonia che anche noi possiamo giungere là dove loro sono.