domenica 31 luglio 2022

Tra le braccia di sant'Antonio

Il mio soggiorno padovano è terminato ma non il fascino di sant’Antonio rimane ancora. I due giorni trascorsi a Camposampiero sono stati densissimi, ho avuto comunque un attimo per visitare velocemente i due santuari antoniani, a pochi metri l’uno dall’altro. Quanto basta per intuire l’esperienza del Santo.

Poco prima di morire si era ritirato in preghiera in questo bosco che il signore del luogo, il conte Tiso, aveva affidato ai francescani, nei pressi del suo castello.

Nel bosco, Antonio aveva nota un maestoso noce e gli venne l’idea di farsi costruire tra i rami dell’albero una specie di celletta. Tiso gliela allestì. Il Santo passò così in quel rifugio le sue giornate di contemplazione, rientrando nell’eremo solo la notte. È qui che si erge uno dei due santuari.

L’altro è sorto attorno alla stanzetta dell’eremo. Il conte, dall’uscio socchiuso, vide sprigionarsi un intenso splendore. Temendo un incendio, spinse la porta e rimase immobile davanti alla scena prodigiosa: Antonio stringeva fra le braccia Gesù Bambino.

Nel viale che congiunge o due santuari grandi gruppi di statue rievocano momenti della vita del Santo. C’è anche l’accoglienza tra le braccia di Gesù Bambino. Ma qui la scena pone in azione Maria: è lei che porge il Bambino a sant’Antonio.

Mi viene da pensare alla presentazione di Gesù al tempio, quando Simeone prende tra le sue braccia Gesù Bambino. C’è momento più bello di quanto una mamma ti mette tra le braccia il suo neonato? È un gesto di fiducia e insieme il modo più intenso per sentire tuo il bambino, per entrare in intimità con lui che avverti vivo: lo vedi muoversi, respirare… Scopri la bellezza della vita. Per questo Simeone può morire in pace, perché sperimenta la pienezza della vita, che lo supera e lo avvolge. È lui che abbraccia il bambino o è il bambino che abbraccia lui?

Poter stringere Gesù tra le proprie braccia! È sempre stato così forte questo desiderio che tante donne mistiche l’hanno sperimentato. Un’esperienza quasi sempre al femminile. Ma nulla vieta che Maria metta il braccio anche a un uomo il suo bambino, come l’ha messo in braccio a Giuseppe, a Simeone, ad Antonio… E perché non possiamo desiderarlo e forse sperimentarlo anche noi? Potrebbe essere anche una preghiera da rivolgere a Maria… Lasciando che sia lui ad abbracciarci.



sabato 30 luglio 2022

Donaci il possesso di te


Abbiamo bisogno del pane quotidiano, del vestito e di tutto quanto occorre per il nostro vivere. Dobbiamo lavorare per il nostro sostentamento. Gesù non condanna il possesso dei beni: ci sono necessari nel cammino della vita. Ciò che condanna è la cupidigia, la bramosia del possesso, il potere, l’arroganza, il senso di superiorità legati alla ricchezza, il far dipendere la vita dall’avere. Sono ricco, quindi sono al sicuro, autosufficiente, non ho bisogno di nessuno, forse neppure di Dio.

Questa è la stoltezza: arricchire “per sé”, dimenticando che i beni sono un mezzo e non un fine. È come perdere di vista la meta del viaggio. Non è un viaggio, la nostra vita? Siamo ospiti e pellegrini su questa terra, senza possedere qui un’abitazione permanente. Se dimentichiamo dove stiamo andando, le tappe del viaggio prendono il posto della meta, facciamo incetta di beni, ci abbarbichiamo nelle vanità, in ciò che passa come fosse eterno, con l’illusione che l’accumulo sazi la vita.

Sorella nostra morte corporale ci fa la verità e ci aiuta a diventare saggi insegnandoci a valutare i beni della terra per quello che sono: un sostegno per il viaggio verso il cielo. Tutto si relativizza e prende il giusto posto. E il primo posto lo prende il Regno di Dio: Cercate prima di tutto il suo Regno e il resto vi sarà dato in sovrappiù. È questo l’arricchire “per Dio”: far tesoro delle parole del Vangelo, cercare lui, tendere verso di lui.

Come ha fatto Gesù che dall’eternità vive rivolto verso il Padre, per lui, compiendo la sua volontà: ha in cuore il suo progetto e vive per attuarlo. Ha percorso il cammino sulla terra interamente proiettato verso di lui.

Cosa sarebbe il nostro vivere senza la morte? Un girovagare incerto, senza scopo, senza progetto, senza meta: fumo e vanità. La nostra società non vuol sentirne parlare, cerca di esorcizzarla, di nasconderla, di dimenticarla, e con ciò perde il senso della vita. Invece è lì, sorella, amica, a sussurrarci che il nostro cammino, a volte difficoltoso, angusto, si spalancherà su un orizzonte sconfinato: la città celeste, la nostra patria, i cieli nuovi e la terra nuova, il Paradiso, Dio e con lui Maria e gli angeli e i santi e tutti quelli che abbiamo amato...

Perché parliamo così poco del cielo? Ancora un poco, un poco soltanto, e saremo lì, per l’incontro con l’Amore. Pensiamo alle cose di lassù, cerchiamo le cose di lassù e sapremo usarli bene anche quelle di quaggiù, che Dio ci dona per il nostro viaggio.

 

venerdì 29 luglio 2022

Carismi al centro?

 


Camposampiero. Per la prima volta mi trovo nei due santuari che raccolgono la memoria di sant’Antonio da Padova: quello nel quale gli è apparso Gesù bambino che ha preso in braccio e quello nel quale vi era il noce con sopra la capanna che lo ha visto abitare gli ultimi tempi della sua vita.

Sono qui con la Segreteria del Movimento Carismi per l’Unità, alla quale, tra l’altro, indirizzo una parola, seguendo il tema che mi è stato affidato, dal titolo “Carismi al centro”. Riporto il testo del mio intervento:

“Carismi al centro”: espressione difficile, che potrebbe prestarsi a qualche equivoco. Al centro di cosa? Della nostra vita di persone chiamate a partecipare ad un carisma? delle nostre comunità? della Chiesa? (In Ripartire da Cristo si legge in proposito: «i carismi dei fondatori e delle fondatrici, essendo stati suscitati dallo Spirito per il bene di tutti, devono essere di nuovo ricollocati al centro stesso della Chiesa» (n. 31).

Il contesto del nostro incontro individua facilmente il “centro” a cui si fa riferimento: al centro dei rapporti tra laici e consacrati partecipi del medesimo carisma. È proprio il comune carisma che fa da collante tra le molteplici espressioni della Famiglia carismatica.

Prima di inoltrarci in questo tema, occorre una premessa, ovvia ma che deve essere sempre richiamata: al centro sempre e ovunque sta Cristo. Lo ha ripetuto tante volte papa Francesco. Possiamo ascoltare ad esempio quello che disse ai membri di Comunione e Liberazione, incontrati in massa in Piazza San Pietro a 60 anni dall’inizio del Movimento fondato da don Luigi Giussani:

Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati! (7 marzo 2015)

Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium aveva ricordato il compito a cui sono chiamati i carismi all’interno della Chiesa, vedendoli convergere pienamente verso il centro stesso Chiesa, che è naturalmente Cristo Signore, per offrire la propria spinta evangelizzatrice. I carismi

non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice.

Per questo, come leggiamo sempre in Evangelium gaudium, «È nella comunione […] che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo» (n. 130). Una comunione che vogliamo vivere ad ampio raggio, tra tutte le componenti ecclesiali e in particolare – per quanto ci riguarda in questo momento – tra le Famiglie carismatiche.

La Famiglia carismatica

Come sappiamo l’invito a ravvivare la Famiglia carismatica è emerso in modo particolare in occasione dell’Anno della vita consacrata. Una delle attese di papa Francesco riguardava innanzitutto la comunione tra i diversi Istituti:

Mi aspetto – leggiamo nella Lettera d’indizione – che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità».

La Lettera prosegue con una nuova richiesta, molto più ampia. Il Papa domanda la condivisione tra l’insieme delle vocazioni, maschili e femminili, religiosi, secolari e laicali, legate all’uno o all’altro Istituto, condividendo lo stesso carisma. Questo insieme di realtà il Papa le chiama, forse per la prima volta, “Famiglia carismatica”. Il testo inizia riferendosi ai laici, ma subito si estende alle molteplici espressioni con cui è vissuto un medesimo carisma:

Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica.

La Lettera si sofferma in modo particolare sui laici, senza tuttavia dimenticare gli altri gruppi – la “famiglia”:

Incoraggio anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la “famiglia”, per crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostenervi reciprocamente.

Gli incontri che Papa Francesco ha avuto successivamente con le Famiglie carismatiche è stata l’occasione per mettere nuovamente in luce questa realtà e per incoraggiare il cammino intrapreso in questa direzione. Ricordo solo quello con i Camilliani, dove tra l’altro il Papa indica nel “carisma al centro” la peculiarità della Famiglia carismatica:

Dal carisma suscitato inizialmente in San Camillo, si sono via via costituite varie realtà ecclesiali che formano oggi un’unica costellazione, cioè una “famiglia carismatica” composta di religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione, nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per l’utilità comune e in vista dell’attuazione della medesima missione. (…) Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a coltivare sempre tra voi la comunione, in quello stile sinodale che ho proposto a tutta la Chiesa, in ascolto gli uni gli altri e tutte e tutti in ascolto dello Spirito Santo, per valorizzare l’apporto che ogni singola realtà offre all’unica Famiglia, così da esprimere più compiutamente le molteplici potenzialità che il carisma racchiude. Siate sempre più consapevoli che “è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo”. (18 marzo 2019)


Il carisma bene comune

Abitualmente si pensa che il carisma sia una realtà di cui religiosi e religiose sono detentori, perché generalmente all’inizio esso si attualizza in una comunità di consacrati.

Il rapporto religiosi-laici è pensato su un modello che richiama quello tolemaico della terra al centro con il sole e altri pianeti che gli ruotano attorno. Al centro, nel nostro caso, ci sono le persone consacrate – spesso del primo “ramo”, abitualmente maschile –, detentrici del carisma, attorno alle quali ruotano, a cerchi concentrici e a distanze più o meno ravvicinate, prima le persone che intendono condividere il carisma, la spiritualità, la missione dell’Istituto, poi quelle che collaborano con l’aiuto e la preghiera, infine quelle che sono beneficiarie del carisma e che rimangono legate affettivamente in segno di gratitudine.

Forse occorre adottare il sistema copernicano, con il sole al centro e i pianeti che gli ruotano attorno. Al centro, nel nostro caso, si colloca il carisma e attorno, a cerchi concentrici, ruotano le differenti vocazioni illuminate dal carisma. L’“astro” più vicino al sole può essere l’Istituto di persone consacrate che per primo lo ha ricevuto e lo ha incarnato, poi altre persone che partecipano in forma diversa alla sua vita.

L’Istituto di persone consacrate che vive del carisma non ne è detentore esclusivo, lo accoglie sempre come dono: ed esso trascende l’Istituto e può essere colto e attuato in maniera diversa da altri soggetti. Basti pensare a quante istituzioni è stato capace di dar vita il carisma di san Francesco, e ancora sorgono nuove espressioni che ad esso si rifanno: ruotano tutte attorno al suo carisma, non attorno agli antichi Ordini francescani. Il carisma rimane un dono di cui non ci si può appropriare e che sempre sorpassa i destinatari.

Chi rende partecipi i laici del carisma? Lo Spirito che, come lo ha donato alle persone consacrate, lo dona anche ai laici. È lo Spirito che chiama a condividere una esperienza particolare di vita evangelica. Lo stesso, analogamente, può dirsi quando sorgono altre aggregazioni, spesso di vita consacrata, che si ispirano allo stesso fondatore.

Da parte dei consacrati occorrerà, come hanno fatto i fondatori e le fondatrici, testimoniare una esperienza di vita, mostrare la ricchezza, la bellezza, l’efficacia del carisma e con questo attirare e suscitare il desiderio di condividere la medesima esperienza. Da qui la sintonia, la consonanza vocazionale e carismatica dei laici con l’esperienza suscitata nel fondatore-fondatrice e testimoniata dalle persone consacrate che per prime li hanno seguiti. Un carisma vissuto per anni o secoli nella forma della consacrazione, può essere vissuto nel modo laicale, in seno alla famiglia, nell’ambito del lavoro, della politica e rivelare così nuove dimensioni nascoste del carisma.

Se in altri tempi sono stati soprattutto i religiosi e le religiose a creare, nutrire spiritualmente e dirigere forme aggregative di laici, oggi può succedere che siano i laici a coinvolgere i religiosi e le religiose e ad aiutarli anche nel loro cammino spirituale e pastorale, come affermava parecchi fa l’Esortazione postsinodale Christifideles laici: «... gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale» (n. 63). La comunione e la reciprocità nella Chiesa non sono mai a senso unico.

Non è anche questo un modo di vivere la sinodalità? Come riconosce la Commissione teologica internazionale nel denso documento intitolato La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, la grande sfida della Chiesa oggi è «intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di “un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine delle decisioni” (EG 102)» (n. 104). La partecipazione alla vita della Chiesa – e anche delle Famiglie religiose – dei fedeli laici è essenziale, perché questi «sono l’immensa maggioranza del Popolo di Dio, e si ha molto da imparare dalla loro partecipazione alle diverse espressioni della vita e della missione delle comunità ecclesiali, della pietà popolare e della pastorale d’insieme, così come dalla loro specifica competenza nei vari ambiti della vita culturale e sociale» (n. 73).

Un carisma al centro dei carismi?

Potremmo adesso chiederci: perché ci troviamo qui, rappresentanti dei carismi più vari? cos’è che ci lega tra di noi? Indubbiamente il carisma dell’unità dato alla Chiesa attraverso Chiara Lubich. Questo vuol dire che al “centro” c’è il carisma dell’unità?

Penso valga la pena rileggere una pagina del Paradiso ’49 nella quale Chiara ha una particolare comprensione di Maria. È un testo noto perché riguarda proprio gli inizi, un’esperienza del 18 luglio, anche se il testo è stato scritto diversi anni dopo:

il Verbo di Dio mostrò Maria S.S. Mai anima umana la vide così grande. Era più grande di Dio: fatta da Dio più grande di Sé. Fino allora Maria m’era stata raffigurata come la luna, più grande delle stelle, che mi rappresentavano i santi, meno del sole che rappresentava Dio. Ora La vedevo come il cielo azzurro che conteneva e sole e luna e stelle. Tutto era in lei. (cpv 53-55)

Si dice qui – commenta Chiara – che Maria, “il cielo azzurro”, conteneva e sole e luna e stelle. Conteneva dunque anche la luna, cioè persino se stessa. Ella, infatti, quale madre di Dio, contiene il Figlio di Dio, i santi ed anche se stessa. (nota 63)

Il giorno successivo all’evento, il 19 luglio, aveva scritto in una lettera a Foco:

e m’appariva impossibile che Ella fosse grande, tanto più grande del suo Figlio che contiene in Sé. È veramente Regina del Cielo e della terra! (…) Fuori il cielo era d'un azzurro mai visto ... Allora compresi: il cielo contiene il sole! Maria contiene Iddio! Iddio L’amò tanto da farla Madre sua ed il suo Amore Lo rimpicciolì di fronte a Lei! (cpv 65, 67)

Il disegno del carisma dell’unità mi sembra analogo a quello di Maria, non sta al “centro”, ma attorno, quasi un cielo, un abbraccio che tutto contiene.

Come non ricordare quanto scrive Chiara, sempre nel Paradiso ’49, sulla missione che vede affidare da Dio alla sua Opera:

Noi dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come Si amano le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega, perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito. (cpv 1089-1090)

Nessuna interferenza, nessuna volontà di porsi al centro, ma un umile servizio – tipicamente “mariano” – perché ogni carisma sia autenticamente sé stesso, ponendolo in comunione con gli altri.

Ecco Maria che attraverso la sua Opera concorre anch’essa oggi, con la sua spiritualità, a far sì che queste aiuole [gli Istituti espressione di un carisma] siano sempre più fiorenti agli occhi di Dio e del mondo. (30 aprile 1982[1])


Al “centro” Gesù in mezzo

Al “centro” allora, tra di noi, ci sarà Gesù in mezzo. E sarà il vero centro di ogni Famiglia carismatica e del più grande movimento di “Carismi per l’unità” e delle Famiglie carismatiche ogni volta che si incontrano tra di loro. Perché questo è il “centro” della Chiesa, Gesù che vive tra quanti sono uniti nel suo nome (Mt 18, 20), egli che ha promesso, come garanzia di autenticità del suo popolo, di essere sempre presente, fino alla fine del mondo (Mt 28, 20).

Per Chiara tutti i punti della sua spiritualità convergono verso il dodicesimo, la presenza di Gesù tra noi. La loro sequenza è variato negli anni fino a quando, il 20 ottobre 2000, ella intuisce l’ordine definitivo da dare ad essi, ponendo a conclusione “Gesù in mezzo”: «Stanotte – scrive nel Diario –, ad un risveglio, ho avuto la netta impressione d’aver ricevuto una rivelazione (tale e quale)  quando con l’inanellarsi dei punti della spiritualità sono arrivata a capire come aver Gesù tra noi e l’ho visto come un nostro brevetto per aver il quale sono occorse una serie di rivelazioni, una dopo l’altra (= i vari punti della spiritualità)». «Tutta la nostra spiritualità – scriverà ancora Chiara ormai verso la fine della vita –, tutti i suoi punti: Dio Amore, la volontà di Dio, Gesù abbandonato…, è per arrivare a generare Gesù in mezzo a noi»[2].

Gesù in mezzo: non una formula, una virtù, il divino, ma una persona! «Gesù in mezzo… è Gesù! […] Noi con i nostri occhi non lo vediamo, ma lui ci sente e scruta ogni nostro pensiero, ogni palpito del nostro cuore, ogni adesione della nostra anima. Lui c’è!»[3].

Può essere anche in mezzo a persone che esprimono carismi diversi. Come non ricordare in proposito quando Chiara scrisse ricordando la Mariapoli del 1959, che vide una presenza straordinaria di religiosi e religiosi

tutti affratellati da un unico spirito: vivere il Corpo mistico. Maria santissima, certamente presente spiritualmente nella sua città, sembrava coprire col suo manto tutta questa varietà di divise che dicevano, anche all’esterno il particolare ideale che ciascuno perseguiva. Attraverso quest’Opera sembrava voler servire il suo Figlio Gesù in molte aiuole della Chiesa, perché tutti si potessero sentire, oltre che del loro particolare ordine, della Chiesa una.

Quando Gesù aveva detto “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, non aveva escluso certo di sottintendere anche: “Dove un francescano e un benedettino, o un carmelitano e un passionista, o un gesuita e un domenicano… sono uniti nel mio nome, lì sono io...”.

E se era veramente Gesù fra loro, il risultato sarebbe stato che l’incontro con Lui avrebbe fatto il france­scano miglior francescano, e il domenicano miglior domenicano.

E così la Chiesa poteva risplendere, anche per l’Opera di Maria, più bella e degna Sposa di Cristo, nella sua varietà e nella sua altissima unità»[4].

Non è proprio questo lo scopo per il quale sono stati seminati i carismi lungo la storia? Non è questo il senso ultimo delle nostre Famiglie carismatiche e del Movimento Carismi per l’unità? Rendere la Chiesa sempre più bella e atta a compiere la sua missione.



[1] Il sacerdote oggi, il religioso oggi, p. 11.

[2] A focolarini/ne della Spagna, Risposte alle domande, Madrid, 5 dicembre 2002.

[3] Alla città di Loppiano, Risposte alle domande, 27 novembre 1975.

[4] Scritti spirituali/3, p. 65.

giovedì 28 luglio 2022

Discese dal cielo


Il ciclo di affreschi, appena restaurati, di Duccio de’ Menabuoi (siamo nel 1300) porta a riflettere sulle parole del Prologo del Vangelo di Giovanni: “E il Verbo di Dio si fece carne”. Che differenza tra questi affreschi e le icone bizantine!

Conosco Padova abbastanza bene, ma non ero mai entrato nel Battistero. Lo stesso incanto di quanto entri nella Cappella Brancacci a Firenze o nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Ti si apre davanti la Sacra Scrittura e puoi leggerla in tutta la sua bellezza. Non a casa è dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

Ma qui, più che altrove, appare tutto il realismo dell’incarnazione. I luoghi in cui si svolgono le scene bibliche sono quelli della Padova del 1300 , le persone sono in gran parte ritratti di contemporanei, lavori e utensili sono quelli del tempo. Quasi a dire che davvero il Verbo si è fatto carne in mezzo a noi, e continua a rendersi presente nelle nostre città, nelle nostre piazze, tra la nostra gente, uno di noi, uno con noi. Oppure le nostre città e la nostra gente è già in paradiso… In affetti la cupola del Battistero raccoglie tutto il paradiso attorno a Gesù, con Maria quasi un fermaglio che raccorda i fili delle corone di angeli e santi. In ogni legame tra cielo e terra è ormai inscindibile.





mercoledì 27 luglio 2022

Il prezioso e il vile



"Se saprai distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile…"
Parola del Signore rivolta a Geremia che la Liturgia oggi ha posto nelle nostre mani. Un invito a un discernimento profondo: valutare ciò che è prezioso e ciò che è vile. È poi seguita, nella liturgia, la lettura del Vangelo dove appare un tesoro e una perla preziosa per avere i quali si vende tutto ciò che è vile – di scarso valore, nel significato della parola latina.
Rendersi conto di ciò che ha valore e di ciò che non vale, di ciò che resta e di ciò che passa è dono della Sapienza.
Ed è dono dello Spirito di fortezza decidersi per ciò che vale, per il tesoro. Anche se per acquistarlo occorre vendere il resto, che forse vale poco ma a cui siamo attaccati.
Se possediamo ciò che resta restiamo, se possediamo ciò che è vano spariamo nel nulla.


martedì 26 luglio 2022

Di generazione in generazione



Anche oggi la nostra casa è stata invasa da ragazzi e giovani, provenienti dalla Germania, con la patente di chierichetti.

Nella festa dei nonni - Gioacchino e Anna - ci volevano i nipoti!

Così la vita avanza, di generazione in generazione.

La vita è sempre più forte.




lunedì 25 luglio 2022

Una casa per giovani

Oggi la nostra casa in via Aurelia è stata invasa da un gruppo di giovani che hanno passato la mattinata in meditazione tra i tre poli della cappella: l’altare dei voti, la statua dell’Immacolata, la reliquia con il cuore di sant’Eugenio. Una presenza che ha “rinfrescato” la nostra comunità.

Per loro ho preparato un opuscolo, una sorta di “guida” della nostra cappella. Ecco l’inizio:

Un po’ zingari, un po’ profughi, o semplicemente missionari, gli Oblati hanno dovuto spostare la loro casa generale da Aix-en-Provence a Marsiglia, a Parigi, a Liegi, a Roma. Qui, nel 1902, essa trovò la prima destinazione a due passi dal Colosseo, in quella che oggi è via Vittorino da Feltre. Nel 1949-1950 fu costruita l’attuale sede, in via Aurelia 290, a due passi da san Pietro.


La prima pietra fu benedetta il 21 maggio 1949 da Léo Deschâtelets, Superiore Generale. Era una pietra che p. Edmond Servel economo generale, e p. Gaetano Drago superiore della casa, erano andati a prendere dalla chiesa della Missione ad Aix. Il p. Servel scrive: «21 maggio 1949. Stamattina grande cerimonia nel cantiere di Villa Pacelli. Tutti gli Oblati di Roma: casa generalizia, scolasticato, via dei Prefetti, hanno convenuto di incontrarsi in via Aurelia per assistere alla posa della prima pietra della nuova costruzione.

Per stabilire un legame concreto tra il nuovo edificio e la prima casa della Congregazione, ci siamo recati ad Aix per prendere una pietra staccata dalla facciata della Chiesa della Missione, per farne la pietra fondamentale della nuova casa generalizia.

Certamente l’aspetto non è brillante come il marmo in cui sarà incastonata. Ma costituirà un ricordo costante della povertà che esisteva alle nostre origini, alimentando costantemente l’ideale che deve animarci».

La pietra fu murata in cappella, nel primo pilastro a destra. Vi è inscritta una piccola croce, il nome di Maria e la data: “DIE XXI MAJI AD MCMIL”.

Una lapide posta a sinistra dell’entrata della cappella, ricorda che la benedizione inaugurale della casa avvenne il 30 ottobre 1950: «Nell’Anno Santo 1950, sotto il pontificato di Papa Pio XII, il T.R.P. Léo Deschâtelets, Superiore Generale, alla presenza di numerosi Vescovi, Superiori provinciali e numerosi Oblati giunti a Roma da tutto il mondo in occasione della proclamazione del dogma dell’Assunzione della Vergine Maria, nostra dolce Madre, circondato da un drappello di figli, con cuori grati a Dio, ha benedetto e inaugurato il 30 ottobre».

  

sabato 23 luglio 2022

Riconoscimento a Paolo Siniscalco

 

Il professore Paolo Siniscalco un mese fa ha ricevuto dal Capo dello Stato un grande riconoscimento per il suo lavoro di studioso: il premio nazione dell’Accademia dei Lincei, meritato!

Ieri ho avuto l’onore di presiedere la liturgia del suo funerale: ho potuto così offrirgli un altro riconoscimento, molto più importante di quello che ha ricevuto all’Accademia dei Lincei: il riconoscimento del suo essere stato un cristiano autentico e un generoso Volontario di Dio.

Lo attende un terzo e ancora molto più importante riconoscimento: quello di Gesù davanti al Padre. È promessa: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerà davanti al Padre mio”. Paolo l’ha riconosciuto davanti agli uomini con il suo insegnamento e i suoi innumerevoli scritti. Ora sicuramente Gesù gli offre il suo riconoscimento davanti al Padre, quello che noi tutti bramiamo.

Insegnaci a pregare

 

Tutti i popoli, tutte le religioni hanno cercato e trovato una via per entrare in comunione con Dio. La grandezza di una civiltà si misura dal suo modo di pregare e dalle sue preghiere. Ogni grande maestro ha insegnato a pregare.

Anche Gesù pregava. Basterebbe questo per convincerci del valore e della grandezza della preghiera: il Figlio di Dio pregava! Si alzava presto al mattino, passava le notti in preghiera, si ritirava in solitudine...

I discepoli non lo sentivano pregare, ma lo vedevano pregare. Erano incantati dal suo silenzio, dal suo raccoglimento, dalla luce che brillava sul suo volto. Avrebbero voluto penetrare nel suo mondo, così diverso da quello nel quale vivevano e nel quale lo vedevano tornare deciso, luminoso, sicuro. Il mondo nel quale si inoltrava durante la preghiera dava uno spessore nuovo al suo e loro mondo quotidiano. Quale era il suo segreto?

«Signore, insegnaci a pregare». Glielo chiediamo con loro perché non sappiamo pregare. È un’arte la preghiera. Egli che la conosce ce la sveli, ce ne renda partecipi, introduca anche noi nel suo mondo di cielo.

C’è una porta d’entrata: l’immensa fiducia in Dio dal quale sappiamo di essere amati. Se chiediamo, egli dona; se cerchiamo, si fa trovare; se bussiamo, ci apre. È un padre pieno di affetto. Mi aspetta sempre, mi è sempre vicino, mi accoglie sempre. Posso andare sempre da lui, senza mai spazientirlo.

Una volta entrato, ci basta chiamarlo per nome: Padre. Così Gesù si rivolgeva e si rivolgi a lui. «Padre», ed è in lui e vive per lui, per il suo mondo, il suo regno e ne fa suoi gli interessi. Allo stesso modo possiamo rivolgerci noi a lui, spinti da quello Spirito che gli chiediamo. Possiamo dire «Padre» solo se egli mette questa parola sulle nostre labbra. Possiamo dire «Padre» solo se Gesù ci fa pregare con sé, facendoci figli veri come lo è lui.

Dopo averlo chiamato per nome, eccoci con lui. Pregare è entrare nella casa paterna, in casa nostra, e stare lì, per condividere i sogni, le necessità, le difficoltà.

C’è poi una porta d’uscita: lo sguardo nuovo su quanti ci stanno attorno. Se abbiamo fatto l’esperienza della paternità di Dio, riconosciamo gli altri nostri fratelli e sorelle. Gesù ci ha insegnato a pregare con i verbi al plurale: donaci il pane, perdona i nostri peccati, non ci indurre in tentazione. Anche quando sono solo in casa con il Padre, a tu per tu nella più profonda intimità, sono sempre in unità con tutti gli uomini e le donne del mondo e prego con loro e per loro, anche per quelli che non sanno di avere un padre, di essere figlie e figli di Dio.

venerdì 22 luglio 2022

Il rosso della Maddalena

Sul blog di ieri, o meglio, dell’ultima riga del post, là dove parlo del vestito durato della Maddalena, mi è giunto un commento. 

http://fabiociardi.blogspot.com/2022/07/chi-cerchi-la-vita-nuova-di-maria.html

Mi si ricorda, innanzitutto, che Savoldo ha dipinto almeno 4 versioni di questo quadro, dove veste la Maddalena ora d’oro ora d’argento. Ma il commento è su un particolare che non avevo assolutamente notato, presente in tutte le versioni: sotto il mantello, d’oro o d’argento che sia, appare, appena accennata, la manica del vestito: è rosso! Rosso come nei dipinti di Giotto, di Masaccio…

Di qui la domanda che mi viene rivolta, riprendendo il tema del mio post: “Dal mantello spunta la manica rossa... segno della vecchia umanità della quale ci libereremo definitivamente solo in Paradiso?!” 

Bella domanda, che lascio in sospeso…

mercoledì 20 luglio 2022

Chi cerchi? La vita nuova di Maria Maddalena

 

“Chi cerchi?”. Maria di Magdala non si dà pace, ha perso il suo Signore. Come la sposa del Cantico dei cantici si mette alla ricerca, imperterrita. Giotto, Masaccio e tutta la successiva iconografia la ritraggono sempre vestita di un rosso acceso, a simboleggiare la passione che l’avvampa. Un amore intenso, il suo, profondamente umano, da autentica innamorata.

“Chi cerchi?”. Maria cerca il cadavere della persona che ha amato, che ha conosciuto, che l’ha accolta tra i suoi discepoli, liberata da sette demoni. Rimane ancorata al suo passato e non vuole staccarsene.

“Chi cerchi?”. Gesù lo sa che lo sta cercando, che gli vuole bene veramente. Per questo le va incontro, si fa vicino, si interessa al suo pianto. Proprio perché la sa sincera vuole liberarla dal suo passato, pur bello, e aprirla alla realtà nuova che egli ha inaugurato con la sua risurrezione. Quel Gesù di prima che Maria ha conosciuto non c’è più. Il cadavere che lei vorrebbe riportare nella tomba per portargli fiori e aromi non c’è più.

“Chi cerchi?”. Non ti accorgi che stai cercando la persona sbagliata nella direzione sbagliata? Io ormai salvo al Padre mio e al Dio mio, sono in un’altra direzione, non verso la tomba chiusa scavata nella roccia, ma verso il cielo aperto e infinito. Do a te il Padre mio e il Dio mio, che d’ora in poi è anche Padre vostro e Dio vostro. È quella la nuova direzione da prendere. Non puoi tornare indietro alla tomba, ma devi aprirti verso il cielo.

“Chi cerchi?”. Non sono più la persona che vuoi tenere per te. Mi troverai altrove: Va dai miei fratelli! Io sono là, in loro. Non stare più piegata sul tuo dolore a piangere il passato.

“Chi cerchi?”. Non sono più la persona che vuoi tenere per te. Mi troverai altrove: Va dai miei fratelli! Io sono là, in loro. Non stare più piegata sul tuo dolore a piangere il passato. Inizia una ricerca nuova, che ti apre su nuovi orizzonti e ti proietta in avanti. Piuttosto che continuare a tenermi qui legato a te, statica, spicca il volo e viene con me verso il Padre e fatti apostola degli apostoli.

È questo che avrà voluto dire Giovanni Gerolamo Savoldo che cambia in oro il vestito rosso di Maria?




Restare o andare?

I primi a voler restare furono Pietro, Giacomo e Giovanni, che Gesù s’era portato con sé sul monte della trasfigurazione. Avrebbero voluto fare tre capanne perché gli altri tre, Gesù, Mosè e Elia si fermassero con loro. Non avrebbero più voluto discendere.

C’è poi Maria di Magdala che avvinghia il Risorto e non vuole più lasciarlo andare via.

Lo stesso per i due di Emmaus: “Resta con noi, Signore…”. Non voglio che vada oltre.

Gli apostoli, dopo che hanno visto salire Gesù al cielo, restano incantati e non si muovono dal loro posto.

Ma per tutti arriva il tempo di andare.

Pietro, Giacomo e Giovanni devono discendere dal monte, per affrontare la passione.

Maria deve mollare la presa obbedendo al suo Signore – “Non mi trattenere…” – che la invia a dare l’annuncio ai suoi discepoli.

I due di Emmaus, proprio nel momento in cui lo riconoscono, lo vedono sparire e corrono a condividere l’esperienza con gli altri.

Gli apostoli a Pentecoste sono apostrofati dagli angeli: “Che state a guardare in cielo… andate”, e andarono in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura.

È legge evangelica: non ci si può arrestare a contemplare: “contemplari et contemplata alliis tradere”; più è profonda l’unione con Dio più forte è il richiamo all’annuncio. E viceversa: non c’è missione senza contemplazione. È il binomio sempre dinamico e fecondo di consacrazione e missione. 

martedì 19 luglio 2022

Una nuvola piccola piccola per apa Pafnunzio

Gli era dolce il pensiero della morte. Sapeva che il Figlio dell’uomo sarebbe venuto sulle nubi del cielo e l’attendeva. Specialmente a sera, quando il bagliore del sole si stemprava prima di sparire all’orizzonte, guardava il cielo, quasi sempre senza nubi, e attendeva. Gioiva al pensiero di essere rapito sulle nubi per andare incontro al Signore e stare con lui per sempre. Ma al momento le nubi non apparivano. Eppure erano importanti. Gesù diceva che sarebbe venuto sulle nubi, e l’apostolo Paolo che sarebbe salito sulle nubi. L’incontro sarebbe avvenuto lassù… Una nuvoletta sarebbe dovuta apparire comunque, prima o poi.

Ogni tanto rispuntava, come un tarlo nascosto, il timore che Gesù, nell’atto di radunare tutti gli uomini attorno a sé, l’avrebbe scartato, senza degnarlo d’uno sguardo. Perché avrebbe dovuto prenderlo in considerazione? Non era come i grandi padri del deserto di cui si tramandavano gesta eroiche e parole di sapienza. Pur nel deserto, era sempre rimasto un povero peccatore, neppure uno di quei grandi peccatori che perché tali sono capaci di grandi conversioni, semplicemente un piccolo povero insignificante peccatore. Il Signore sarebbe sceso sulle nubi del cielo e sarebbe risalito con tutti i redenti lasciandolo giù, senza prenderlo in considerazione.

Quella sera, dopo aver scrutato invano il cielo terso in attesa della nuvola che non arrivava, appena si rimise seduto sulla soglia della cella, l’occhio gli si posò sul libro della Scrittura che gli era aperto davanti e lesse – gli parve per la prima volta – “… la venuta del Signore nostro Gesù Cristo con tutti i suoi santi”. Se l’era sempre immaginato da solo sulla nube. Invece veniva in un cielo pieno di nubi luminose, dorare, come le aveva viste in qualche alba radiosa. Gesù sarebbe venuto con tutti i suoi santi. In quel momento apa Pafnunzio non vide i beati apostoli Pietro e Paolo, i gloriosi martiri, la schiera delle vergini… Vide venirgli incontro i tanti fratelli monaci che aveva conosciuto nella sua lunga vita e che erano partiti prima di lui. Vide venirgli incontro i genitori, gli zii, gli amici che già lo avevano preceduto. Li vedeva distintamente, uno per uno, li riconosceva, erano tornati, gli stavano attorno, poteva chiamarli per nome. Gli avevano voluto bene e parlavano al Signore della gloria. Sentiva che gli dicevano: “Lo conosciamo, Signore. È vero che non è degno di salire incontro a te sulle nubi, ma è perché è debole, è fragile. Noi lo conosciamo”. Da solo non avrebbe sostenuto la sua venuta, ma c’erano i suoi amici…

Apa Pafnunzio si addormentò nella pace e nella gioia, attendendo la venuta del Signore con tutti i suoi santi. In sogno vide anche la sua nuvola, piccola piccola, ma gli consentiva di salire incontro al Signore per restare per sempre con lui e con tutti i suoi santi.


lunedì 18 luglio 2022

Itinerario spirituale


Ecco un altro dei miei appunti d’un tempo, 13 novembre 1983, intitolato “Itinerario spirituale”. Poche parole schematiche che mi hanno guidato…

Santità = unione piena con Dio, come meta dell’itinerario spirituale.
Itinerario come adeguamento al nostro vero dover essere: l’uomo è tale perché in rapporto con Dio, il “tu” di Dio.
Santità come rapporto dialogico di amicizia con Lui: “Se qualcuno mi apre, verrò a lui e cenerò con lui”. Noi tempio di Dio, dello Spirito.

La prima tappa è la scelta di Dio.

I - Dio sceglie

- Sceglie da tutta l’eternità.
“Dio ci ha scelto prima della creazione del mondo… nella carità” (Ef 1, 4).
“Prima che ti formassi nel grembo materno, ti conoscevo” (Ger 1, 4).
“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1).
“Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia” (Gal 9, 15).

- Dio però pianifica la sua scelta eterna in un momento di amore particolare.
In un momento determinato si manifesta, illumina, parla, muove, trae a sé, si fa percepibile in un modo particolarmente intenso.

II – Nasce allora la scelta di Dio da parte nostra. Dio si mostra, si rivela a noi in modo nuovo, tale da suscitare la nostra risposta d’amore, che ci spinge a sceglierlo in modo nuovo.

III – Come è avvenuto in Maria?

L’annunciazione.
Maria era da sempre immacolata: “Piena di grazia”, cioè piena dell’amore di Dio e scelta fin dall’inizio…
Eppure nell’annunciazione avviene qualcosa di nuovo, di particolare: Maria percepisce in modo nuovo l’azione di Dio, accoglie l’amore e in lei inizia la vita fisica di Gesù.
Cosa è avvenuto?
Annunciazione in greco si dice “euanghelismós” = evangelizzazione di Maria. Maria è stata evangelizzata dall’angelo in quanto a lei è stata portata la buona notizia di salvezza, ma soprattutto le è stato portato il Verbo stesso, l’Evangelo: in lei “Il Verbo si è fatto carne”.

IV – Lo stesso avviene in noi

L’amore di Dio si rivela a noi (attraverso le mediazioni le più varie = angelo).
Ci accorgiamo che Dio ci ama e prendiamo coscienza che siamo per lui.
Se gli diciamo di sì = scelta di Dio.

Cristo viene a vivere in noi in una dimensione nuova: è come se Gesù si incarnasse in noi e allora la gioia, la pace, la luce…
Siamo davvero all’inizio del cammino spirituale, che coincide con le parole di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo”.
Conversione = appunto, scelta di Dio Amore; mettere lui al primo posto, conta solo lui.

Allora Cristo nasce o rinasce in noi in maniera cosciente. È una illuminazione di tutta la vita, un fascio di luce che permette di valutare meglio il senso del passato, e apre una via nuova e regale, la via della volontà di Dio, alla vita futura.

domenica 17 luglio 2022

Un pane integrale


 

Siamo fatti per il Soprannaturale. Questa nostra pianta è fatta per portare frutti in Cielo. Siamo stati fatti per Iddio. Questa è la nostra vocazione. Ogni fibra del nostro essere deve bruciarsi, e passare nel divino.

La nostra trasformazione deve essere integrale. Non è l’anima che è chiamata a divinizzarsi, non la mente, non il cuore, non la volontà, ma tutt’intera la nostra persona. Gesù ha incontrato e attirato a sé le persone nell’interezza del loro essere. Il rapporto che Gesù aveva con Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo, la Maddalena era un rapporto che li prendeva dentro completamente: parlava al loro cuore, alla loro mente, muoveva la loro volontà, toccava la loro sensibilità psicologica, aveva un contato fisico con loro: mangiava con loro, lavava loro i piedi, si lasciava bagnare i piedi dalle lacrime, si lasciava baciare, abbracciare. Tutta la nostra persona con le sue componenti soprannaturali, fisiche, psicologiche… tutto è uscito dalle sue mani e tutto intero deve tornare a lui, purificato, sublimato: io credo la resurrezione della carne.

È per questo che il Verbo si è fatto carne, per assumere e introdurre la nostra carne nella divinità. Nella Trinità c’è la nostra carne, la nostra corporeità: il Cristo Risorto! Per questo Gesù è voluto rimanere in mezzo a noi come carne e sangue. Non rimane solo nella sua Parola, perché non si pensi che nutre solo la mente. Rimane nel corpo e nel sangue per dirci che nutre di sé tutto l’arco della nostra vita, tutte le componenti della nostra persona.

Cristo ci prende interamente, a cominciare dal corpo e interamente ci converte, cioè dirige gradatamente verso di sé tutto di noi, l’affetto, l’intelligenza, la volontà, le doti, le capacità. Inonda questa nostra debolezza con la potenza della vita. Pane di vita. Naturalmente pane “integrale”.

Siamo ben consci della nostra debolezza… ma ecco il pane di vita…

Mi capita per caso di rileggere questo appunto che ho scritto nel lontano 14 maggio 1984.

sabato 16 luglio 2022

Di una cosa sola c'è bisogno

Quante cose belle sa fare Marta. Proprio una gran signora: fa gli onori di casa, cucina, prepara la tavola... Pratica l’ospitalità in grande stile, come si conviene in Oriente e a un ospite di riguardo, unico, come è Gesù. Fa tante cose per lui, al punto che si lascia prendere da esse piuttosto che da lui. Si preoccupa delle troppe cose da fare per lui e non si preoccupa di lui. Come i pagani, aveva spiegato, che si assillano del mangiare, del vestire e si dimenticano che hanno un Padre nei cieli che si prende cura di loro.

Come è facile anche per noi impegnarci a parlare di Gesù, a lavorare per lui, a dedicarci alle tante opere buone, da non aver poi il tempo di stare con lui, di parlare con lui, soprattutto di ascoltarlo. Lavoriamo per l’ospite e lo lasciamo solo. Ci si disperde nelle tante cose che dobbiamo fare per lui e ci dimentichiamo di lui.

Maria invece non lo dimentica. A una donna non era consentito farsi discepola di un rabbi e neppure di stare con gli uomini, nella stanza loro riservata. Ma con Gesù ogni convenzione sociale è superata. La ricerca di lui, l’amore per lui, il desiderio di lui le fa bruciare ogni ostacolo. Si è messa nella posizione giusta, ai suoi piedi, intenta ad ascoltarlo, modello perfetto del discepolo che pende dalla bocca del maestro e vive per il maestro.

Marta presa dalle molte cose, Maria presa da una sola: da Gesù. È quest’ultima a praticare la vera ospitalità, lei che lo accoglie come vuole essere accolto. Per lui è più importante dare che ricevere. Cerca persone aperte, disponibili, pronte a farsi suoi discepoli, che sappiano accogliere le sue parole, che sappiano stare con lui, gratuitamente.

«Di una cosa sola c’è bisogno». Già, per che cosa mi sto tanto da fare? Faccio la cosa giusta? È sempre al primo posto, sempre davanti a me? Do spazio alla sua parola perché mi penetri, mi inabiti e sia essa a operare in me?

Meglio fare di meno e stare un po’ più con Gesù, assimilare la sua parola, dargli il tempo perché possa accoglierlo, ascoltarlo, fargli posto. A lui come a ogni altra persona.

Si può anche fare tanto, ma senza distrazioni, avendolo costantemente presente, accanto, lavorando non soltanto per lui, ma soprattutto con lui.