mercoledì 28 febbraio 2018

Il guardare di Dio è amare


Josè Damián ha letto il mio blog su “Guardami quando ti parlo”
http://fabiociardi.blogspot.it/2018/02/guardami-quando-ti-parlo.html
e gli è venuto in mente quanto scrive più volte san Giovanni della Croce nel Cantico:
“Il guardare di Dio è amare”

E santa Teresa, nel Cammino di perfezione (prima redazione, El Escorial):
“Perché non contemplare il tuo volto, Signore, quando sei vicino a noi? Ci sembra che gli uomini non ci ascoltino se vediamo che essi non ci guardano. E perché chiudiamo gli occhi per non vedere che tu ci guardi? Come faremo allora a capire se hai udito ciò che abbiamo detto?”.

Anche a me ha fatto ricordare qualcosa, che ho scritto un libro intitolato:
Sotto lo sguardo di Dio

martedì 27 febbraio 2018

Il Verbo sposa l'Anima - Viaggiando il Paradiso / 3



Quel 16 luglio 1949, dopo aver chiesto a Gesù Eucaristia di “patteggiare unità” sul suo nulla d’amore e sul nulla d’amore di Igino Giordani, Chiara Lubich si trovò nel seno del Padre, con «la netta impressione d’esser immersa nel sole: vedeva sole dovunque: sotto, sopra, in giro ed attendeva nuove illuminazioni per abituare l'occhio suo a scorgere tutti quanti vi abitavano». Gli apparve «come una voragine immensa, cosmica. Ed era tutto oro e fiamme sopra, sotto, a destra e a sinistra». Era una realtà infinita, eppure non si sentiva persa, aveva l’impressione d’essere a casa.
Il giorno successivo, 17 luglio, comprese la bellezza del Verbo, espressione del Padre dentro di Sé. Quando uscì dalla chiesa il sole era appena tramontato e i suoi raggi saettavano da dietro una montagna. Ecco il Verbo, esclamò, è lo splendore del Padre!
Mentre il Cielo le si rivelava accadde un evento inatteso: «Il Verbo sposò in mistiche nozze l’Anima». Era un’esperienza provata da altre donne prima di lei: Geltrude di Helfta, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Caterina de’ Ricci, Maria Maddalena de’ Pazzi. Esse raccontano di angeli e santi che vengono a fare da testimoni alle nozze dello Sposo che mette l’anello al dito della sposa.
«Per te come è avvenuto?», chiesi a Chiara un giorno mentre stava leggendo gli scritti di quel periodo. «Il Verbo sposò in mistiche nozze l’Anima», mi rispose ripetendo quanto aveva appena letto negli scarni appunti. Tutto qui? Tutto qui. Essenziale e lapidaria come Teresa d’Avila quando, narrando la sua esperienza simile, scriveva: «Soltanto questo si può dire: che l’anima, o meglio il suo spirito, diviene una cosa sola con Dio». Anche Chiara era divenuta una cosa sola col Verbo suo Sposo.

Un’esperienza simile a quelle di altre mistiche, ma con una particolarità di rilievo: il Verbo sposa l’Anima, con la A maiuscola. Chiara vive un’esperienza ecclesiale, si sente espressione di tutto un gruppo, avverte di essere Chiesa. «Il Verbo – scrive in maniera esplicita – sposò l’Anima in veste di Chiesa». È il ritorno all’idea biblica di Dio che sposa il suo popolo, di Cristo che sposa la Chiesa. La grande tradizione l’aveva ben compreso. «Dio – scrive ad esempio san Bernardo – ha fatto e patito tante cose non per un’anima sola, ma per raccoglierne molte in una sola Chiesa, per formarne un’unica sposa» (Sermone LXVIII sul Cantico dei Cantici).
Mentre le mistiche nozze nella storia della spiritualità cristiana sono spesso avvertite come un’esperienza individuale, in Chiara esse sono un’esperienza di tutto il gruppo di anime fuse in unità, fatte Chiesa. Nell’unica Anima sposata, le singole anime possono poi dirsi, anche personalmente, sposate. È il battesimo portato alla sua piena espressione, dove l’immagine sponsale dice la piena trasformazione in Cristo.

Nei giorni successivi a quel 17 luglio Chiara prese gradatamente coscienza che, grazie a questa profonda unione, lo Sposo rendeva partecipe la sposa della propria eredità. La “dote” che egli portava in dono era nientemeno che “tutto il Paradiso”.
Iniziò così per Chiara il “viaggio di nozze”. Per mesi lo Sposo fece conoscere alla sposa ciò che ormai le apparteneva, le fece conoscere il Paradiso attraverso i suoi stessi occhi. La sposa, così ella scrive, «ama, vede, desidera ciò che ama, vede, desidera lo sposo». «Sposo mio dolcissimo – la sentiamo esclamare –, troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante, dopo le Mistiche Nozze..., mi mostri i tuoi possessi che sono miei». Sembra di ascoltare il grido di Giovanni della Croce: «Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli Angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me. Che cosa chiedi dunque e che cosa cerchi, anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto per te» (Orazione dell’anima innamorata).

Ma anche la sposa deve portare al suo Sposo una dote. Poiché quelle di Chiara sono “mistiche nozze” in dimensione ecclesiale, la dote non sarà qualcosa di personale o di intimistico (le proprie facoltà o la propria santità). Lo Sposo esige come dote nientemeno che l’intera creazione. Solo un soggetto collettivo può portare in dote (essere espressione di) tutta la creazione.
Un’esperienza così altamente mistica richiede l’immersione nella realtà materiale: è l’invito a entrare nel mondo del lavoro, della politica, della vita sociale e familiare per assumerla pienamente nella sua quotidianità. Tutto il contrario di un’evasione spiritualista.
È così che negli ultimi anni di vita abbiamo sentito Chiara Lubich far proprie le parole di Jacques Leclercq, espressione del suo più profondo desiderio di sposa: «Verrò verso di te, mio Dio… Verrò verso di te con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia». (Continua / 3)

Gustare il Paradiso '49

«Solo ora, dopo che le nostre anime… sono Chiesa…, possono dire, sia in unità con le altre, sia individualmente…, di essere spose di Cristo».

Anche il grande teologo Congar scriveva che «Tutte [le persone cristiane] sono spose, ma esse sono viste e volute tali da Dio in quanto membra della Sposa che è la Chiesa». Soltanto nell’unità – un cuore solo, un’anima sola – si può giungere a quella pienezza d’unione con Dio che unicamente la Chiesa può possedere e dare.


lunedì 26 febbraio 2018

Roma sotto la neve, un sogno


Monte Mario dalla mia stanza
San Pietro dalla mia stanza


Like ha 37 anni. Oggi per la prima volta ha visto la neve!
(In Zambia non nevica mai...)
E' stato l'avverarsi di un sogno: così soffice, così bianca...
Lo stesso per Olivier (non nevica neppure in Madagascar): la neve di oggi era per festeggiare il suo 33^ compleanno.
Per un giorno Roma sotto la neve è proprio un sogno!

domenica 25 febbraio 2018

Alla RAI



Il libro “Parole di Vita” mi ha portato in varie trasmissioni RAI.
Le prime ad andare in onda saranno:

- Rai Uno, 26 febbraio dopo il TG della notte,
- Rai Storia, domenica 4 marzo, alle 12.00,
- Rai Italia (internazionale):
New York: 4 marzo ore 11.15
Sidney: 5 marzo ore 17.00
Johannesburg: 4 marzo ore 18.15.

sabato 24 febbraio 2018

Trasfigurazione


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime... Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 2-10).

È la seconda volta che ti sentiamo proclamare Figlio di Dio.
La prima fu al momento del battesimo, quando il Padre, rivolgendosi direttamente a te, ti dichiarò il suo infinito amore: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiaci­mento».
Oggi il Padre ti proclama ancora Figlio suo, ma rivolgendosi a noi, per svelarci la tua vera identità.

Erano passati appena sei giorni, come annota Marco, da quando avevi sconvolto i tuoi discepoli annunciando loro il tuo prossimo soffrire e la tua uccisione. Lo sentiranno ripetere per altre due volte, ancora dopo la Trasfigu­razione. Ogni volta, assieme alla passione e morte, annunci anche la risurrezione. Non per questo dobbiamo credere che soltanto dopo la risurrezione sei Figlio di Dio e Signore. Lo sei già dal principio, da sempre. Prima ancora del giorno di Pasqua tu sei splendente di gloria, nel volto, nelle vesti… Sei il Signore della gloria proprio nel momento in cui cammini verso la croce.

Abitualmente ti nascondi tra la folla, come uno dei tanti. Facen­doti uomo hai spento la luce della tua divinità e nascosto la tua gloria. Lungo le nostre strade i tuoi piedi si impolverano, patisci freddo e fame, ti stanchi… I tre discepoli che oggi ti vedono trasfigurato e splendente, presto ti vedranno prostrato a terra nel podere del Getsemani, oppresso dalla paura e dall’angoscia. Eppure tu sei sempre lo stesso. Il giorno di Pasqua rivelerai ciò che tu sei già, fin da ora. Nella croce c’è già, nascosta ma real­mente presente, la gloria. Il Trasfigurato, il Crocifisso, il Risorto è sempre la stessa persona, lo stesso Dio.

Non sarà così anche per noi? Separiamo gioie e dolori, momenti di luce e di tenebre, croce e risurrezione. Camminiamo portando la nostra croce di ogni giorno, nella fatica. Viviamo la vita come un tempo di prova, in attesa della risurrezione futura. La gioia, la luce, la vita vera ce la figuriamo in un aldilà. Ma tu, non sei già presente a noi proprio nella nostra croce di ogni giorno? Tu, il Risorto, non sei già vivo in ogni nostra morte? Forse non lo ve­diamo, non lo sentiamo, ma tu ci sei, Figlio di Dio.

Anche nel giorno della Trasfigurazione la tua splendida luce fu presto nascosta da una nube che ti privò di ogni manifestazio­ne di gloria. Anche i tre “improvvisamente” videro sparire l’in­canto. Non mostravi più quello straordinario volto divino, non più vesti bianchissime. Il volto era abbronzato come sempre, le vesti impolverate, Mosè ed Elia scomparsi, il Padre taceva. Vedevano il Gesù ordinario. Ancora più difficile ravvisare in te il Figlio di Dio quella drammatica notte nella quale ti sentirono dire che eri triste da morire. Soltanto più tardi potranno com­prendere la verità: non ci sono due Gesù.

Non possiamo aspettare il “lieto fine” per vivere. Tu sei fin da ora nel nostro patire quotidiano, nelle croci di cui la vita è dis­seminata. Non dobbiamo aspettare un poi, che sia passata la prova, per incontrarti. Anche se una nube appanna la tua figura e la nasconde, so che tu ci sei e mi vivi. In ogni croce c’è già la risurrezione, ci sei tu, il Risorto.
Allora anch’io arriverò alla terza proclamazione della tua filia­zione divina attestata nel Vangelo di Marco e, con il centurio­ne ai piedi della croce, proprio guardandoti morire, nella tua e nella mia vita, potrò dirti con fede: «Tu sei veramente il Figlio di Dio».


venerdì 23 febbraio 2018

50 anni fa Lionello Berti




Mario Borzaga, Alessandro Staccioli, Lionello Berti
a Firenze poco prima della partenza per il Laos

Il 24 febbraio del 1968 un piccolo gruppo di famiglie Hmong del Phu Kassat si preparò a partire per Sayaboury, dove cercavano rifugio dai guerriglieri che imperversano sulle montagne. Monsignor Berti aiutò a lavare e preparare i bambini e decise di accompagnarli per verificare la loro sistemazione. Inspiegabilmente, a pochi minuti dalla meta, l’aereo su cui viaggiano si inabissa nel Mekong. Dopo undici giorni davanti agli occhi stupefatti dei compagni di missione, dal fiume, emerse il corpo, miracolosamente intatto, del giovane vescovo.

Toscano, nativo di Reggello nel Valdarno, Lionello Berti era partito per il Laos con altri cinque missionari alla fine di ottobre 1957. Con lui il beato Mario Borzaga e l’attuale vescovo Alessandro Staccioli.

Nel 1962, a soli 37 anni venne, consacrato vescovo e nominato vicario di Luang-Prabang. Un fardello molto pesante che il giovane pastore affrontò fiducioso nell'aiuto di Maria come scriverà nel suo stemma: «Il Regno di Cristo per Maria Immacolata». Non esistevano chiese in muratura e immediatamente iniziò i lavori di costruzione della cattedrale, del seminario e delle scuole. Con le chiese in muratura iniziò la costruzione della Chiesa di pietre vive…

Tra i tanti aneddoti, eccone uno raccontato da padre Mario Borzaga sul viaggio di ritorno dal ritiro di dicembre 1958, sulla strada tra Vientiane e Louang Prabang:
«Allora al volante era Padre Berti. Dopo 200 km la jeep nel bel mezzo delle montagne e delle foreste non volle più saperne di andare avanti, inutile riuscì ogni tentativo di riaccendere il motore. Padre Berti, che tra il resto ad un certo punto svenne per la stanchezza, decise di restare sul posto ad attendere qualche macchina soccorritrice, mentre Padre Bertrais, Padre Marchiol e Padre Borzaga si proposero di proseguire il viaggio a piedi, tre bersaglieri dunque si misero risolutamente in marcia e il primo giorno avanzarono di trenta chilometri; il secondo giorno, forzando l'andatura, fecero sessanta chilometri di strada sempre animati dalla speranza di trovare qualche camion per proseguire il viaggio, ma la strada era più solitaria di un deserto e la marcia massacrante. 
Ad un certo punto si buttarono sul ciglio della strada sfiniti: guardavano mestamente il sole tramontare lontano. Proprio in quel momento ecco arrivare la jeep guidata da un tanto di sorridente Padre Berti. “Padre?... il motore? Come ha fatto?” – “Beh, che volete?... io... essi… la Madonna”».

giovedì 22 febbraio 2018

Far circolare l'Amore



Prosegue l’incontro dei religiosi, a cui si sono aggiunte le religiose rendendo il gruppo, 180 persone, ancora più ricco di carismi e internazionale.

Il senso di questi incontri? 
Scriveva Chiara Lubich ancora nel 1950: 
«Noi dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito Santo».


mercoledì 21 febbraio 2018

“Resurrezione di Roma”



Continua l’incontro dei religiosi a Castelgandolfo. Oggi, tra le varie perle, la presentazione del testo Risurrezione di Roma, sul quale la Scuola Abbà ha scritto uno dei suoi libri più belli.
Anna Maria e Hubertus ci hanno fatto ripercorrere le cinque tappe del testo a cui si ispirano i cinque capitoli del libro:
1.    L’impatto con una Roma, nella quale l’Ideale dell’unità sembra un’utopia.
2.    Il passaggio su un altro piano, quasi un trasferirsi nella Trinità, in Dio, nel Cielo,
3.    per poi uscire nuovamente e andare incontro a tutti, con sguardo nuovo
4.    per stabilire rapporti con tutti, anzi suscita cellule con Gesù in mezzo dalle quali esce un fiume infuocato che fa circolare i beni materiali e spirituali
5.    che tutto si rivoluziona, portando una nuova cultura che dà un’anima nuova a tutte le cose.

Particolarmente ispirato il terzo passaggio, quando si torna incontro alla città interiormente rinnovati, con occhi nuovi, con un cuore nuovo.
Non si trova un’altra realtà, ma la stessa realtà, solo che adesso la si vede diversamente: con l’occhio di Gesù, con uno sguardo che potremmo chiamare “generativo”, con l’occhio dell’amore che tutto crede: non vede semplicemente quello che sono le persone, ma quello che possono essere: le loro reali potenzialità.

Quando guardiamo il mondo e le persone attraverso la “pupilla” di Gesù Abbandonato, le immagini si “capovolgono”, come avviene proprio nella pupilla, e vediamo le persone e la realtà in una luce nuova: dove vediamo il vuoto, il male, il negativo, vediamo Gesù Abbandonato e quindi vediamo Dio, vediamo il Risorto, e perciò: un pieno nel vuoto, un bene nel male.

Cosa significa allora vedere Gesù negli altri?
Non portarlo dall’esterno, ma farlo venir fuori, perché c’è. Gesù – dice il Concilio Vaticano II – si è unito a ogni essere umano (GS 22). Gesù Abbandonato ha raggiunto tutti, vive nel profondo di ogni persona, magari coperto, “sotterrato”.
Si tratta di risuscitarlo: di farlo venir fuori con lo sguardo dell’amore, lo sguardo attraverso Gesù Abbandonato.

Troviamo queste idee anche in Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium n. 71: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. […] Questa presenza – osserva il Papa – non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata».

Qual è allora la prima cosa da fare: avere questo sguardo, vedere in tutti candidati all’unità, vedere tutto il bene che già c’è, anche nelle altre realtà ecclesiali e sociali, e farlo venir fuori!


martedì 20 febbraio 2018

La bellezza di Maria Parola



L’idea di Maria tutta vestita della Parola non è completamente nuova. Andrea di Creta (+ c. 740), per esempio, scrive di lei come il «libro vivente in cui la parola spirituale è stata silenziosamente inscritta dalla viva penna dello Spirito». Un teologo medievale, Ruperto di Deutz, afferma che la Parola di Dio è raccolta in Maria, «nel cui grembo Dio ha convogliato tutto l’insieme delle Scritture, ogni sua parola». Dall’epoca patristica in poi era anche comune ritenere che Maria conoscesse molto bene le Scritture. Questa idea in seguito si è manifestata nell’arte, dove la Vergine nelle Annunciazioni è spesso mostrata mentre legge una pergamena o un libro, di solito la Bibbia aperta alla profezia di Isaia 7, 14, in cui si preannunzia una vergine che dà alla luce un figlio. Il rapporto tra Maria e la Parola nasce comunque dalla sua maternità: è la madre del Verbo, della Parola di Dio.

Maria sembra essere Parola di Dio prima ancora che il Verbo venga ad abitare in lei fisicamente e non soltanto perché ella conoscesse le Scritture.
Il Padre la rende Parola di Dio perché possa accogliere la Parola di Dio, il Verbo che in lei deve farsi carne. La fa Verbo come il Figlio. Ogni persona è una “parola” pronunciata da Dio da tutta l’eternità. Anche creando Maria Dio l’ha creata come una sua parola, una parola che, grazie anche al suo essere l’Immacolata, la Tutta santa, si è compiuta perfettamente: Maria è Parola di Dio dal primo istante della sua esistenza. «Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio - si legge in proposito nell’enciclica Deus Caritas est -, Maria può diventare madre della Parola incarnata» (n. 41).


Se il Verbo è lo splendore del Padre, la sua bellezza, anche Maria, fatta Verbo, riflette lo stesso splendore, la stessa bellezza. Fu l’esperienza di Chiara Lubich: «Compresi come Ella fosse soltanto Parola di Dio e La vidi bella oltre ogni dire: tutta vestita della Parola di Dio che è la Bellezza del Padre».
La bellezza di Maria consiste nell’essere stata da Dio interamente rive­stita della Parola ed è questo che attira Dio a lei, perché in lei si rispecchia il Verbo che è la bellezza del Padre. Solo una creatura che fosse interamen­te Parola, e quindi completamente in conformità con il disegno originale di Dio sulla creazione, poteva contenere la Parola.

Ancora una volta eccomi a Castelgandolfo a parlare di Maria, questa volta ai religiosi.
Di lei non si darà mai abbastanza:“Tutte le generazioni mi chiameranno beata”.





lunedì 19 febbraio 2018

Un messaggio vestito di bellezza





L’auditorium dell’Università del Sacro Cuore era gremita, oltre 300 persone.

Uno spettacolo di due ore, in un ascolto attento, nel più assoluto silenzio (avevamo invitato a non applaudire se non alla fine). Il tempo è volato.
Tra danza, musica, canto, recitazione, si è disegnato un quadro pieno di luce, che ha mostrato la bellezza della Parola di Dio vissuta.
Forse si apre una strada nuova nella comunicazione de messaggio evangelico.

Tra i molti commenti arrivati:

- Armonia, bellezza, profondità.

- Stupendo incontro di arte e testimonianze. Vigoroso il messaggio, vestito di bellezza.

- Un grande GRAZIE a te e a tutti i tuoi collaboratori per il momento di “paradiso” che ci avete offerto ieri.
Un'altra prova - se ce ne fosse bisogno - che sarà la BELLEZZA a salvare il mondo.

- Voglio farti arrivare il mio grazie per il pomeriggio all'insegna ella Parola, direi alla LUCE della Parola e della Parola vissuta.
Così fatto bene, elegante, naturale, autentico, senza coreografie di troppo...
Il messaggio ricco, articolato, che partiva dalla Fonte andava dritto all'anima di ciascuno, anche alla mia, nutrendola, incoraggiandola a vivere questa Parola.
Ero in fondo alla sala e si percepiva questo movimento di cuori, di anime... all'unisono.
Grazie a te, a quanti hanno creduto in questa formula bella e, direi, genuina, universale.
Avrei voluto in quella sala tutti quelli che conosco...






domenica 18 febbraio 2018

Segni di primavera



Aggiungi didascalia

Questa mattina, andando a prendere il giornale della domenica,
in via Madonna del Riposo ho visto il primo albero fiorito, foriero di primavera.

Torno a casa e alla messa sei rinnovi di voti da parte dei nostri giovani
e uno che fa la sua oblazione perpetua:
questi sì che sono segno di primavera.

sabato 17 febbraio 2018

Sangue nuovo, vita nuova


In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, pro­clamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo».
(Mc 1, 12-15)

Quaranta giorni. Come Noè nell’arca, come Mosè sul Sinai, co­me il cammino di Elia nel deserto. Si pensava che occorressero quaranta giorni perché il sangue di un uomo si ricambiasse. Per il “sangue” di un popolo occorrevano quarant’anni, come quelli passati dalle tribù di Israele nel deserto, o sotto il dominio dei Filistei.
Ricambiare il sangue, simbolo della vita, è cambiamento di vita, è conversione.
Come avverrà questo cambiamento interiore, come scorrerà nelle mie vene il sangue nuovo, come nascerà la vita nuova?

La risposta ce la dà Gesù con il suo vagare nel deserto, tentato dal diavolo.
Hai appena ricevuto il battesimo, “subito” lo Spirito lo porta verso la tentazione e la prova. «Figlio – diceva già ben Sirac al suo discepolo –, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2, 1).

Nel deserto non ci si può nascondere, non sono possibili alibi, si è a tu per tu con Dio; prove e difficoltà mettono a nudo quanto abitualmente nascon­diamo, obbligano a dichiararci con lui o contro di lui.
Le tenta­zioni servono a questo, ci costringono a decidere da che parte stiamo, disseccano il sangue vecchio, distruggono la vita di pec­cato, e rigenerano il sangue nuovo, dando vita all’uomo nuovo. L’oro si prova col fuoco, diceva ancora ben Sirac, e gli uomini che Dio ama si provano nel crogiuolo del dolore (cf. Sir 2, 5).
Le tentazioni e le prove sono strumento della peda­gogia divina che vuole affinarmi il cuore.

Il deserto è anche il luogo della solitudine con Dio, nel quale Gesù si ritirava a pregare, dove portava il tuo popolo per parlargli d’a­more, dove dava da mangiare il pane di frumento e quello della sua parola.
Proprio dove ci sono prova e tentazione, anche noi possiamo trovare Dio, parlare con lui, lasciarci da lui nutrire.

In quei quaranta giorni, attraverso le tentazioni, Gesù ritrovò l’ar­monia antica delle origini. Vinto il peccato, il deserto diventò un nuovo Eden, fatto d’armonia con il creato – perfino con le bestie selvagge – e con Dio. Angeli tornano a servire.
Così per noi: il Regno di Dio è ormai vicino, e sono cieli nuovi e terra nuova.
Basta accogliere l’invito che, sempre ben Sirac, rivolge al suo discepolo: «Gettiamoci nelle mani del Signore… poiché, come è la sua grandezza, così è anche la sua misericor­dia» (Sir 2, 18).

Mi getto nelle tue braccia,
sicuro che combatti per me,
fiducioso nella tua onnipotenza e nella tua misericordia.
Tu che sei stato tentato e hai vinto il male,
tu che hai fatto risorgere l’uomo nuovo
e la nuova creazione,
vieni in me,
a superare quella prova davanti alla quale
sono  piccolo e debole,
a vincere quella tentazione
a cui non so resistere.
Dammi di riconoscere in ogni prova,
in ogni tentazione,
la presenza del tuo amore,
la presenza di te
in me provato,
in me tentato
e dischiudi il paradiso
nell’armonia tra cielo e terra.



venerdì 16 febbraio 2018

Le stelle dal fondo del pozzo




Scendi in fondo al pozzo
se vuoi veder le stelle

Appena è arrivata la rivista oblata del Canada francese mi ha subito compito la copertina, sia per la foto che per la scritta: sembra sia un proverbio.
Il pozzo dovrebbe avere l’effetto di un cannocchiale, concentra lo sguardo in alto, verso il cielo, oscurando tutto il resto.

Il buio fa vedere più lontano.
Che sia questo il senso della Quaresima?


giovedì 15 febbraio 2018

Guardami quando ti parlo



«Siano attenti i tuoi occhi alla preghiera del tuo servo e del tuo popolo Israele».
Mi ha colpito alle lodi questa invocazione di Salomone, tratta dalla sua lunga preghiera per la consacrazione del tempio.
Di solito si dice: “Ascolta quello che dico”. Uno parla e vuole che l’altro lo ascolti, si suppone con le orecchie: "Presta orecchi a quelle che dico".
Qui invece si chiede a Dio di "guardare" la preghiera.

Anche noi diciamo: “Guardami quando ti parlo!”
Soltanto quando l’altro mi guarda mi rendo conto se mi sta ascoltando veramente.
Proiettiamo in Dio i nostri usi e costumi… la famosa antropomorfizzazione di Dio. Che volgiamo farci, siamo fatti così.

Abbiamo bisogno che Dio ci guardi. 
Mi tornano sempre in mente gli occhi grandi delle divinità che ho visto in India.
Dio ci guarda, e ci capisce…




mercoledì 14 febbraio 2018

Quaresima: Prendere in mano la Bibbia



O Signore, fa’ sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.
Suscita in loro la fame della tua Parola e lascia che sia il nostro pane quotidiano.
Fa’ che quanti sanno leggere guardino al Vangelo con i loro propri occhi;
mentre quanti non sanno leggere incontrino altri che possano leggere per loro.


Questa preghiera di Madre Teresa di Calcutta ci ricorda che la Quaresima può essere il momento adatto per prendere in mano la Bibbia e lasciare che Dio ci parli ancora.

martedì 13 febbraio 2018

Quaresima di fuoco



Secondo uno dei detti tramandati dal Vangelo di Tommaso, Gesù avrebbe affermato: «Chi è vicino a me, è vicino al fuoco» (detto 82). Egli è venuto a portare il fuoco sulla terra e vuole vederlo accendere e divampare (cf. Lc 12, 49).
L’amore è sempre associato al fuoco, come sa bene il Cantico dei Cantici: «forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (8, 6-7).

Nel suo messaggio per la Quaresima papa Francesco ha fatto sua la preoccupazione di Gesù: che il fuoco dell’amore si raffreddi: «Per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà» (Mt 24, 12).
Come si raffredda in noi la carità? si domanda il Papa. Quali sono i segnali che ci indicano che l’amore si sta spegnendo? È anzitutto l’avidità per il denaro, spiega papa Francesco nel messaggio, il rifiuto di Dio, la violenza, ed esemplifica con la lucidità che gli è propria.
«L’amore – continua – si raffredda anche nelle nostre comunità», le cui più evidenti mancanze di amore sono: «l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la tentazione di isolarsi e di impegnarsi in continue guerre fratricide, la mentalità mondana che induce ad occuparsi solo di ciò che è apparente, riducendo in tal modo l’ardore missionario».
Cosa fare perché non si spenga l’amore, anzi divampi sempre più?
Il papa ricorda che la Chiesa, in questo tempo di Quaresima, ci offre «il dolce rimedio della preghiera, dell’elemosina e del digiuno».

A me viene in mente un ulteriore rimedio per tenere vivo l’amore. Me lo suggerisce l’episodio di Emmaus. Mentre lungo la via Gesù parlava, ai due discepoli «ardeva il cuore in petto» (Lc 24, 13-32). La Parola del Dio, che è Amore, comunica e alimenta il fuoco dell’amore, fa ardere il cuore e spinge ad amare.
Ne era convinta una grande mistica del XVII secolo, la beata Maria dell’Incarnazione, che sentiva la Scrittura come fuoco: «Le parole della bocca sacra [del Verbo] di cui il santo Vangelo è pieno (...) sono il fuoco e le fiamme che Egli ha mandato in tutto il mondo e che hanno finora bruciato le anime pure».
Un’analoga percezione è quella di una mistica dei nostri giorni, Chiara Lubich, che sotto ogni Parola del Vangelo scopriva il fuoco della carità. «Quando una di queste Parole cadeva nella nostra anima, ci sembrava che si trasformasse in fuoco, in fiamme, si trasformasse in amore. Si poteva affermare che la nostra vita interiore era tutta amore».

Porsi all’ascolto della parola di Dio. Può essere questo un impegno per la Quaresima, un modo perché il fuoco dell’amore non si spenga, anzi divampi. Gesù ha bisogno soltanto di due o tre che camminino insieme, come a Emmaus. Allora si fa subito compagno di viaggio e continua a rivolgerci la sua parola.
Che sia lui stesso a ridirci le sue Parole di Vita, a rendercele vive, così che informino ogni nostro pensiero, ogni affetto, ogni azione. Nulla sarà più banale. Tutto, infiammato dal suo amore, acquisterà sapore. Il fuoco divamperà in noi e tra noi. La carità non si raffredderà, anzi farà dire anche a noi: “Non ci arde forse il cuore?”.
Sarà una Quaresima di fuoco.

lunedì 12 febbraio 2018

Invito per domenica 18


Domenica prossima pomeriggio, 18 febbraio, all’Audiorium del Centro Congressi Università cattolica del Sacro Cuore ci sarà la presentazione del libro “Parole di Vita”. Tutti invitati!
Non sarà la solita presentazione. Sarà piuttosto un evento con coreografie, musiche, esperienze… Tra l’altro avrò tre piccoli di quattro minuti ciascuno. Il primo dovrebbe essere pressappoco così:


Le guardie del Tempio furono mandate ad arrestare Gesù. Arrivate nel portico di Salomone lo trovarono che stava parlando a una folla incantata e commisero un errore: rimasero un attimo ad ascoltare le sue parole. Tornarono senza averlo toccato. Ai sommi sacerdoti e ai farisei che li interrogarono chiedendo perché non avessero eseguito gli ordini, risposero: «Mai un uomo parlò come parla quest’uomo» (Gv 7, 46).

Nel Vangelo vediamo Gesù che guarisce i malati, moltiplica i pani, risuscita i morti, ma soprattutto lo sentiamo parlare. Sapeva bene che «non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (cf. Mt 4, 4).
Parlava in maniera semplice, con parabole tratte dalla vita di ogni giorno. Nei suoi discorsi ci sono fatti e persone della vita quotidiana: bambini che giocano sulle piazze, feste di nozze, costruttori di case e braccianti, casalinghe e padri premurosi, fratelli litigiosi... Ci sono monete, tesori nascosti, mense imbandite, gli eventi della natura: il sole che sorge, i venti e le tempeste...

Parlava con parole semplici, eppure le sue parole possiedono uno spessore e una profondità che le altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti.
«Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68), gli disse un giorno Pietro.
Sì, le parole di Gesù sono parole di vita, contengono e comunicano la vita vera, quella vita che non ha fine, perché è la vita stessa di Dio.

Vorrei dire di più: quando Gesù parla dona se stesso.
Il Vangelo non è semplicemente un libro; esso racchiude Gesù Signore, il Figlio di Dio, il Risorto, che ancora oggi si rivolge a ognuno di noi.
La nostra non è la “religione del libro”, come si dice abitualmente, ma di una Persona: Gesù, l’Amore fatto carne. La sua dottrina e la sua Persona, la sua opera e il suo insegnamento sono inseparabili.
Accogliere le parole di vita significa accogliere Gesù stesso, perché è lui la Parola di Vita.

Attraverso la Parola passa Gesù e di nuovo si incarna in noi, così come quando Maria, accogliendo la Parola, divenne la Madre di Gesù. «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8, 20-21).
Vivendo la Parola, diventiamo consanguinei di Gesù, la sua famiglia.


domenica 11 febbraio 2018

Parlare di Maria ai Musulmani



Dovrà parlare di Maria ai Musulmani.
Cosa dirò? Non lo so ancora. Intanto ho provato a scrivere una pagina su un elemento che abbiamo in comune: la verginità di Maria. Forse potrei dire così:

Domenica scorsa alla Santissima Annunziata
di Firenze mi ha colpito la posizione delle mani
di Maria, quasi pronte ad accogliere in seno
il Figlio
La storia di Maria inizia con la visita di un angelo:
«L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine… La vergine si chiamava Maria». 
L’angelo non la saluta come ci si aspetterebbe nel mondo ebraico: Shalom, pace.
La saluta dicendole: χαῖρε, rallegrati, sii nella gioia perché ti porto una grande notizia.
Ma prima di dare la notizia la chiama κεχαριτωμένη, ricolma della grazia e del favore di Dio.
Κεχαριτωμένη, ὁ κύριος μετὰ σοῦ: sei piena di grazia perché il Signore è con te.
Dio l’ha pensata e amata da sempre e ha posto in lei la sua benevolenza e ogni bellezza. Senza che lei lo sapesse l’aveva già preparata per la missione che sta per affidarle.   
Adesso l’angelo può rivolgerle, a nome di Dio, lo straordinario annuncio:
«Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo».
È l’annuncio che ogni donna d’Israele sperava di ricevere: diventare la madre del Messia.
Maria è una donna prudente e prima di dire il suo sì chiede all’angelo:
«Come è possibile? Non conosco uomo». 
Le antiche profezie avevano preannunciato: “Ecco una vergine concepirà e darà alla luce un figlio”.
Maria è vergine. Diventerà Madre del Messia rimanendo tale?
Sì, le risponde l’angelo:
«Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo».
La nuba era il segno della presenza di Dio. Una nube si era posata sulla tenda di Mosè e sul tempio di Salomone a indicare la presenza misteriosa di Dio in mezzo al suo popolo.
La stessa “nube” scenderà su Maria, lo Spirito Santo, la potenza dell’Altissimo. Da lei nascerà il Messia predetto, e la sua nascita non avverrà con il concorso di uomo, ma sarà Dio stesso a formare in lei un figlio.
Perché Maria piace a Dio, che è già trasformata dalla grazia, ella ha trovato il suo favore.
La Potenza dell’Altissimo opera ancora una volta, come nella prima creazione, creando qualcosa di nuovo.
È possibile essere vergine e insieme madre?
«Nulla è impossibile a Dio», le dice l’angelo.

Maria è conosciuta dai cristiani, e non solo da loro, come la Vergine.
Essa, con la sua verginità, mostra che le grandi opere di Dio sono soltanto di Dio:
«Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente»,
canterà Maria poco dopo nel Magnificat.
Ella è come una pagina bianca sulla quale Dio può scrivere quello che vuole. Egli può affidarle la missione che meglio crede, può condurla dove vuole. Maria si lascia guidare da lui.
Verginità vuol dire disponibilità piena all’azione di Dio: lo lascio libero di compiere quello che egli vuole.

«Allora Maria disse – conclude il Vangelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l'angelo partì da lei».
ἡ δούλη κυρίου: la serva del Signore, un titolo che non indica una rassegnata schiavitù. Servo del Signore era il titolo più alto ricevuto da Mosè, dal re David, dai profeti, persone che avevano una grande missione da compiere per conto di Dio.
Maria si inserisce nel cammino della storia della salvezza.
Con gioia può dunque aderire pienamente a quanto Dio le ha manifestato attraverso l’angelo:
«Avvenga a me secondo la tua parola».
Questo desidera con tutto il cuore.
Anche in ciò è modello per ogni cristiano, contento, come Maria, di compiere sempre e comunque la volontà di Dio, perché sa che è la cosa più bella che possa esserci per lui: l’ha pensata Dio stesso! E cosa egli può volere se non il nostro bene?