lunedì 31 dicembre 2012

Consuntivo di fine anno per apa Pafnunzio

Al villaggio probabilmente in quei giorni stavano celebrando le feste per il nuovo anno. Dunque era ormai trascorso un altro anno. Quanti ne erano passati? Apa Pafnunzio stentava a ritenerne il computo. Ne erano passati così tanti… Un nuovo anno e quanti altri ancora? O forse sarebbe stato l’ultimo?
Quando, giovane, aveva intrapreso il cammino nel deserto, prima sotto la guida di apa Giovanni, poi da solo, anche se in compagnia degli altri sei compagni della laura, l’aveva sognato come una corsa verso la perfezione, un progressivo ascendere di vetta in vetta. Se l’immaginava così la perfezione, una salita inarrestabile, che lo avrebbe condotto di conquista in conquista.
Ora che l’anno stava terminando e forse la vita, si accorse che progrediva, sì, ma nella consapevolezza della propria fragilità. Si ritrovava a mani vuote. Peggio ancora, colme di vuoti e di peccati. Dove stava dunque la perfezione a cui tanto aveva agognato? Non si era forse lasciato ingannare dal modello dei filosofi stoici o da quello degli eroi greci di cui si cantavano le gesta sublimi? Ma che avevano a che fare quello con il Vangelo che ruminava di giorno in giorno? Quanto diverso il compimento del cammino del Cristo, finito su una croce a gridare straziato il dolore del mondo. Eppure era proprio quella la perfezione del Cristo, l’aver riconosciuto a creduto all’amore di Dio in quella lontananza da lui e nel suo abbandono.
Apa Pafnunzio cominciava finalmente a comprendere che gli anni di cammino nel deserto lo avevano condotto davvero lontano da dove s’era immaginato di giungere. Si stavano rivelando un lento apprendistato ad assumere le proprie debolezze, i propri fallimenti e le proprie cadute per conoscervi alfine, propri in questo, la misericordia di Dio. Qui e non altrove stava la perfezione a lungo cercata, nel conoscere la propria imperfezione e proprio qui riconoscere la presenza e l’amore di Dio. Oramai apa Pafnunzio lo sapeva: non si sarebbe mai salvato, ne era incapace. La perfezione consisteva nell’essere salvato.

domenica 30 dicembre 2012

Dio che “è”, “diventa”

31 dicembre, Vangelo del giorno

In principio era il Verbo (Gv 1, 1ss)

L’ultimo giorno dell’anno si conclude con la riflessione teologica sul mistero del Natale appena celebrato.
Marco inizia il suo Vangelo partendo dal battesimo di Gesù, quando i cieli si erano aperti e il Padre lo aveva proclamato Figlio suo. Matteo e Luca, approfondendo il mistero, comprendono che al battesimo si è manifestato Dio perché lo era già prima, fin dalla nascita e da essa iniziano il loro Vangelo. Ma se era Dio dalla nascita, lo era perché lo era da prima ancora, da tutta l’eternità. Giovanni decide così di iniziare il Vangelo dal “principio”, da prima dei secoli, portandoci nel seno del Padre, dove egli “è”. Lo contempliamo bambino nel presepe e sappiamo che era Dio da tutta l’eternità.
Quel verbo “essere”, ripetuto con forza per quattro volte all’inizio del Vangelo, ci dice la sua vera natura: è Dio. Mentre attorno tutto “diventa”, tutto “viene fatto”, precario ed evanescente nel divenire storico, Gesù “è”, da sempre e per sempre, non immobile, ma rivolto verso il Padre. A Natale, l’imprevedibile accade. Egli, da sempre presso il Padre e rivolto verso di lui, si volge verso di noi e viene tra noi. Egli che “è” - perché Dio “è” -, “diventa”, come tutte le cose create diventano, manifestando così ciò che egli veramente è: l’Amore.

sabato 29 dicembre 2012

Santa Famiglia 2012


30 dicembre, domenica, Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso (Lc 2, 41-52)

Le ultime parole del Vangelo, nella loro sobrietà, lasciano intravedere l’armonia che regnava nella famiglia di Nazaret: Gesù, sottomesso a Giuseppe e Maria, cresceva in età sapienza e grazia; Maria custodiva in cuore i fatti e le parole del figlio suo. Anche Giuseppe sapeva che nella sua famiglia si celava un mistero. Eppure l’episodio avvenuto nel tempio di Gerusalemme pare sconvolgano i rapporti tra i tre. Le parole taglienti di Gesù sembrano dividere anziché unire. “Pensate che io sia ve­nuto a portare la pace sulla terra? - dirai più tardi alle folle - No, vi dico, ma la divi­sione... padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre” (Lc 12, 31-32).
Gesù dodicenne rivela che un altro è presente in quella casa: il Padre. I tre saranno ormai trasfigurati per sempre dall’amore divino, che porta l’amore umano a compimento, in una dimensione nuova: la volontà del Padre che porrò i rapporti umani, pur belli all’interno della famiglia e di ogni comunità cristiana, su un piano nuovo, soprannaturale. Essi tornarono a Nazaret più uniti di prima, in un reciproco amore purificato, con impresso il carattere della Trinità.

venerdì 28 dicembre 2012

Gesù, segno di contraddizione

Nel presepe di p. Lemoncelli
c'è anche la statua di sant'Eugenio de Mazenod

29 dicembre, Vangelo del giorno: Lc 2, 22-35

Fin dalla sua nascita attorno a Gesù vi sono persone che, mosse dallo Spirito Santo, lo riconoscono e lo accolgono: i pastori, Simeone, Anna, i magi d’Oriente… Altri invece gli si rivoltano contro, a cominciare dal re Erode. Sarà così lungo tutta la sua esistenza terrena: alcuni vengo a lui attratti dalla sua persona, credono e lo seguono pronti a dare la vita per lui; altri lo avversano fino a crocifiggerlo. Gli stessi atteggiamenti si sono ripetuti lungo tutta la storia umana e continuano ad essere presenti oggi. Non si può rimanere indifferenti davanti alla manifestazione di Dio sulla terra. Gesù, come aveva predetto, Simeona, è stato e sarà sempre “segno di contraddizione”: o con lui o contro di lui.
Questo bambino sarà estremamente esigente, non accetterà compromessi: la cupidigia del denaro che rende potenti e orgogliosi, o la scelta di Dio che rende semplici e umili di cuore; la vendetta o il perdono; il dominio e la sopraffazione o il servizio e il dono d’amore. Non avrà riguardo neppure per la madre che si sentirà spezzare il cuore davanti alla sua morte, Ognuno di noi è chiamato a decidersi e compiere l’unica scelta ragionevole: state con lui e con la sua parola.

giovedì 27 dicembre 2012

Quella tremenda pagina di cronaca nera



28 dicembre, Ss. Innocenti

Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme. (Mt 2, 13-18)

Nel presepe la liturgia colloca i bambini di Betlemme e dei dintorni, che Erode fece uccidere con la speranza di eliminare la possibile presenza, tra di loro, di qualcuno che potesse insidiare il suo trono. Per mantenere il potere, allora come oggi, a volte si è disposti a tutto, anche a uccidere bambini innocenti.
Quella tremenda pagina di cronaca nera, una straziante tragedia, a Natale viene trasfigurata come e letta come una ulteriore testimonianza di fede accanto a quelle di Santo Stefano e del Discepolo amato. Quei bambini inermi non sapevano ancora parlare, eppure hanno dato la vita per proteggere la vita di Gesù.
Davanti a tante sciagure e calamità, a cattiverie e ingiustizie, spesso rimaniamo smarriti senza capirne il perché, con l’impressione di essere schiacciati dal male e rimanere impotenti. Il Vangelo di oggi ci invita a credere che dietro ogni evento vi è la mano amorosa e provvidente di Dio. I suoi disegni sono misteriosi. Ma se Dio  ha saputo trarre il bene anche dalla follia omicida di un re folle e sanguinario, crediamo che anche oggi, proprio nei drammi del nostro tempo, egli non mancherà di portare a compimento il suo progetto d’amore.

mercoledì 26 dicembre 2012

La festa di santo Stefano a Prato


La festa di Santo Stefano a Prato è sempre uno sfavillio di liturgie, di colori, di suoni e di sapori...

27 dicembre, S. Giovanni
L’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. (Gv 20, 2-8)

Accanto alla culla di Gesù, subito dopo santo Stefano primo martire, la liturgia pone san Giovanni, che la tradizione ha identificato con il discepolo prediletto che nell’ultima cena posò il capo sul seno di Gesù. Egli, che gli fu vicino fino all’ultimo, ai piedi della croce, deve essere il più vicino anche alla sua nascita.
Il discepolo “che Gesù amava” arriva “per primo” al sepolcro e per primo crede nella sua risurrezione. Prima dell’amore di Giovanni per Gesù, ciò che gli fa raggiungere questi primati, è l’amore di Gesù per lui, è lui ad aprirgli la strada. In ogni caso è sempre l’amore che mette le ali ai piedi e fa vedere e comprendere.
Il discepolo amato diventa così il modello di ogni credente che arde dal desiderio di incontrare il suo Signore e di aderire totalmente a lui. I segni possono essere piccoli e insignificanti, ma per chi è mosso dall’amore basta poco (i teli posati sulla pietra e il sudario), ma all’amore tutto parla. Anche il segno dato ai pastori è altrettanto piccolo: un bambino avvolto in panni e deposto in una mangiatoia, ma la fede ti fa inginocchiare e credere che quegli è il Figlio di Dio; basta accogliere il suo amore.

martedì 25 dicembre 2012

Il sasso di santo Stefano a Prato


26 dicembre, S. Stefano
Santo Stefano, il primo martire, è patrono della città di Prato, che conserva uno dei sassi con cui fu lapidato. Nella foto il reliquiario  con il sasso è “scortato” dai Carabinieri.

Vangelo del giorno
Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Mt 10, 17-22)
Santo Stefano è il primo a mettere in pratica queste parole di Gesù. Gli Atti degli Apostoli per due volte dichiarano che era “pieno di Spirito Santo”. Portato in tribunale, avvenne come aveva detto Gesù: lo Spirito Santo parlò in lui. Nel suo discorso ripercorre con sapienza la storia degli interventi di Dio nella storia, soffermandosi soprattutto su Mosè, rifiutato dal popolo proprio come viene rifiutato Gesù.
Lo Spirito Santo, che gli aveva dato la luce per leggere il filo d’oro della storia della salvezza, gli dona anche la forza di perdonare i suoi uccisori e di morire affidando a Gesù il suo spirito come lui l’aveva affidato al Padre. Stefano è il discepolo perfetto, che ha seguito il Maestro da vicino, “fino alla fine”, fino a dare la vita.
Ogni cristiano, ci dice il Vangelo, prima o poi deve affrontare contraddizioni e difficoltà per essere fedele alla propria fede e alla propria vocazione. Nello stesso tempo ogni cristiano ha ricevuto nel battesimo e nella cresima, lo Spirito Santo, guida che suggerisce cosa fare e cosa dire, forza per superare ogni prova, gioia in ogni dispiacere, caparra di vita eterna.

Natale: Siamo realmente figli di Dio


Messa della notte

Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia (Lc 2, 1-14)

Gesù: un bambino come tutti gli altri, con coordinate storico-geografiche ben precise. Come ogni bambino, prima ancora di nascere, è sottoposto a leggi e vicissitudini umane, censimenti, leggi fiscali… Poi il parto, come per tutti i bambini, il dischiudersi della luce, le premure affettuose di una mamma che lo avvolge nei panni e lo adagia nella culla: gesti semplici, usuali, che si ripetono da millenni. Il Vangelo vuole sottolineare la reale umanità di Gesù: veramente Dio si è fatto uomo e ha condiviso in tutto la nostra vita.
Ed ecco d’improvviso che il Vangelo sembra mutare; accade qualcosa di insolito, di meraviglioso: angeli, luci, il cielo che risuona di canti... Gesù non è un bambino come gli altri, è il Figlio di Dio; uomo vero, in tutto come noi, ma Vero Dio. È questo il mistero del Natale.
Lo stesso potrebbe essere raccontato di ognuno di noi. Anche noi siamo nati come ogni bambino, come tutti accolti con amore… Ma non è meno vero che siamo unici: siamo realmente figli di Dio. Gesù si è fatto come noi, perché noi diventassimo come lui. È questo il mistero del Natale. Dobbiamo credere alla nostra nascita a figli di Dio, così come crediamo a quella di Gesù figlio di Dio che si è fatto uomo.

domenica 23 dicembre 2012

Benedire Dio per quanto opera

Il presepe di Piazza Navona

24 dicembre. Vangelo del giorno

Benedetto il Signore, Dio d’Israele (Lc 1, 67-79)

L’evento che precede immediatamente la nascita di Gesù – siamo ormai alla sua vigilia – è la nascita di Giovanni il Battista. Al momento di imporgli il nome, Zaccaria, suo padre, scioglie un inno di lode e di profezia, così come aveva fatto Maria con il Magnificat.
Il nome Giovanni, suggerito dall’angelo, significa “Il Signore usa misericordia”, ed è la tenerezza e la misericordia di Dio che qui viene cantata. Prima uno sguardo al passato nel ricordo delle promesse che il Signore ha fatto al suo popolo; poi uno sguardo di fede al presente, nel quale Zaccaria coglie già la presenza del Salvatore; infine la profezia di un futuro nel quale il Dio che viene apparirà come un sole che tutto illumina e come una guida si porrà alla testa del suo popolo. Giovanni sarà strumento di questo meraviglioso piano di salvezza.
Anche noi, assieme a Zaccaria, siamo chiamati a benedire Dio per quanto opera nella nostra vita. Nonostante tanto male e tanti segnali negativi attorno a noi, dobbiamo tenere viva la fede nel Signore che, nella sua tenerezza e misericordia, continua a sorgere ogni giorno come sole nella nostra vita e a guidare la storia. 

sabato 22 dicembre 2012

Aspettando il Natale


Il presepe di casa nostra è già pronto. Naturalmente la culla è vuota: Gesù bambino non è ancora nato! Eppure questa mattina, entrando in cappella, ho trovato p. Camillo seduto davanti al presepe, a pregare, in attesa della venuta di Gesù. Oggi sono 49 anni dalla sua ordinazione sacerdotale: quante volte lo ha fatto nascere! Auguri p. Camillo.

23 dicembre. Il Vangelo del giorno
Maria si alzò e andò in fretta (Lc 1, 39-45)
Oggetto dell’infinito amore del Padre, adombrata dalla potenza dello Spirito, Maria porta in grembo il Figlio dell’Altissimo. Nessuna creatura aveva mai conosciuto tale vicinanza con Dio, tale intimità. Eppure, lontana da ogni intimismo, Maria non si chiude in se stessa, ma si slancia verso gli altri in un’apertura che è dono totale. Va da Elisabetta non per narrare quanto Dio aveva operato in lei, ma offrire per un umile servizio, in aiuto a una gravidanza sopraggiunta in tarda età. In questo modo vive quanto Dio ha appena vissuto con lei: egli ha lasciato i Cieli e si è fatto vicino. Già plasmata dal Figlio suo venuto per servire, Maria “si fa uno” con la parente, come egli si è ha fatto con lei e si pone a suo servizio. Soltanto dopo questo atto d’amore Maria può racconta la propria esperienza, annunciando le “grandi cose” operate in lei dall’Onnipotente. Va per fare il bene e finisce per portare e comunicare Gesù.
Come accogliere Gesù nella venuta del tuo Natale ormai vicino? Andando come la Madre verso gli altri, in un concreto, umile e generoso servizio d’amore, custodendo in cuore la presenza di Dio. Chissà che non giunga anche l’opportunità per parlare di colui che è già nato in noi… 

venerdì 21 dicembre 2012

Saper narrare


22 dicembre. Vangelo del giorno
L’anima mia magnifica il Signore (Lc 1, 46-55)
L’inno di gratitudine e di lode di Maria è un canto all’opera di Dio lungo tutta la storia della salvezza. Esso riecheggia innumerevoli pagine dell’Antico Testamento, testimonianza di quanto Maria fosse familiare con le Scritture. Il Signore – proclama la Vergine –, nella sua infinita misericordia, ha sempre “guardato”, conosciuto da vicino, le vicende umane ed è venuto in aiuto dei piccoli e dei poveri; ma adesso l’incontro tra Dio santo e onnipotente e lei, “serva” del Signore, sintesi dell’umanità intera, raggiunge il suo culmine: sono state compiute “grandi cose”, l’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo di una donna. Maria sa dunque leggere l’operato di Dio nella storia e interpretarne i segni. Nello stesso tempo il suo canto è anche profezia: vede già realizzato ciò compirà il figlio suo e scrive la Magna carta della “rivoluzione” evangelica. Infine Maria insegna come donare l’esperienza di quanto Dio opera in un’anima.
Con lei, anche noi siamo chiamati a riconoscere la presenza e l’azione di Dio nella storia dell’umanità e nella nostra piccola storia personale, per poi “narrare” quello che egli ha operato.

giovedì 20 dicembre 2012

C’è soltanto amore nel mio cuore

Nella foto l’attestato di ordinazione sacerdotale

Il 21 dicembre 1811, sant’Eugenio de Mazenod veniva ordinato sacerdote ad Amiens. Così comunicò al suo padre spirituale l’esperienza vissuta il giorno dell’ordinazione:
Sono sacerdote di Gesù Cristo. Ho già offerto la prima volta con il vescovo lo straordinario sacrificio… Oh, mio caro Padre, mi sembra di sognare quando penso a ciò che sono. Gioia, timore, confidenza, dolore, amore si alternano nel mio cuore… C’è soltanto amore nel mio cuore; vi scrivo in un momento in cui sono sovrabbondante di amore, per servirmi di un’espressione di cui l’Apostolo dovette fare uso in un momento simile... 
Sono sacerdote! Bisogna esserlo per sapere cosa sia; il solo pensiero mi spinge a moti d’amore e di riconoscenza; e se penso che peccatore sono, l’amore aumenta. “Non vi chiamerò più servi... Hai spezzato le mie catene, ti immolerò un sacrificio di lode... Come ricompenserò il Signore...?”, sono tante frecce che bruciano il cuore così freddo fino ad oggi...

21 dicembre. Vangelo del giorno
"Benedetta tu fra le donne (Lc 1, 39-45)
Un’altra protagonista del Natale: Elisabetta. La grandezza di questa donna, avanti negli anni, è avere riconosciuto la fede di Maria e la presenza di Gesù da lei portato nel grembo, pronunciando le stesse parole di David quando vide arrivare l’arca dell’alleanza. Elisabetta rivolge l’invito a guardare a colei che ha creduto, a imitarne la fede, a condividerne la stessa beatitudine. Con Elisabetta, tutte le generazioni hanno proclamato e continuano a proclamare “beata” la madre di Gesù.
Tra tutte le parole del Vangelo, quelle da lei pronunciate, una volta inserite nella preghiera dell’Ave Maria, sono state sicuramente, e lo sono ancora, le più ripetute, ogni giorno, in tutto il mondo, da milioni di persone: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”.
Davanti a questa pagina biblica, più che a considerazioni particolari, siamo invitati a rivivere lo stesso atteggiamento di gioiosa e ammirata contemplazione che Elisabetta ebbe davanti a Maria, a lasciare scorrere con calma le decine del rosario, ripetendo senza stancarci la benedizione alla Vergine e al suo bambino: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”, Gesù. 

mercoledì 19 dicembre 2012

“Come è possibile?”


20 dicembre, giovedì

Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. (Lc 1, 26-38)

Dopo Giuseppe, Zaccaria, Giovanni il Battista, è il momento di guardare a Maria. All’annuncio dell’angelo ci aspetteremmo da lui un immediato assenso e invece la prima parola che le sentiamo pronunciare è una domanda: “Come è possibile?”. Anche l’ultima delle sue parole registrate dal Vangelo è una domanda: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”. Non sempre le è facile comprendere l’agire di Dio, a volte ne rimane stupita, eppure non si arrende: vuole capire, entrare dentro il mistero, non importa se le occorreranno degli anni. Il suo non è un ascolto passivo, rassegnato; anche lei, pur già santa nella concezione immacolata, è chiamata a un costante cammino di fede. Eppure, sia che comprenda sia che non comprenda, Maria si fida di quello che Dio le dice, prima attraverso l’angelo, poi Elisabetta, i pastori, Simeone, lo stesso figlio suo: “avvenga per me secondo la tua parola”. Ed è così che la Parola si fa carne.
Anche a noi è chiesto la stessa fiducia in Dio, lo stesso “sì” alla sua volontà, lo stesso abbandono alla sua Parola, anche quando la sentiamo come una spada che ci trapassa l’anima. Anche in noi la Parola diventerà vita.

Ma serve questo mio blog? Per qualcuno sì (meno male!):
- Voglio esprimerti un GRAZIE grandissimo per il commento che pubblichi sul tuo blog al vangelo del giorno in questo periodo di Avvento. E' la preparazione migliore al Natale: "la Parola si é fatta carne", e quindi l'impegno a tradurre in vita la Parola. E il passaparola di oggi "aiutarci nel santo viaggio" mi ha fatto pensare a te, a quanto sei di aiuto in questo cammino di santità. Grazie infinite! Chiedo a Maria che ti avvolga nel suo amore. Buon Natale! Giovanni Paganelli (Messico
- sono sempre più innamorato dei tuoi commenti al vangelo: semplice, chiaro e profondo. Ti sono grato immensamente. (Dario Ganarin)

martedì 18 dicembre 2012

Accettare di essere strumento di Dio


19 dicembre, Vangelo del giorno

La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall’angelo. (Lc 1, 5-25)

Dopo Giuseppe, ecco Zaccaria; ancora un angelo e l’ulteriore annuncio di una nascita. Qual era stata la preghiera di questo levita, che aveva avuto la non comune possibilità di presentare l’offerta dell’incenso nel tempio di Gerusalemme? Avere il dono di un figlio, che la natura sembrava avergli negato, o non piuttosto che giungesse il tempo atteso della venuta del Messia? In ogni caso la sua preghiera è salita al cielo come l’incenso, ed è esaudita: a Zaccaria nascerà un figlio che preparerà la via al Messia.
Non è facile accettare di essere strumento di Dio per la realizzazione della sua opera di salvezza. Prego per l’avvento del Messia, sembra dire Zaccaria, ma possibile che il compimento di evento straordinario passi proprio attraverso di me? “Io sono vecchio…”. L’angelo lo rimprovera per la sua mancanza di fede. Non sa ancora che, come dirà più tardi san Paolo, Dio sceglie proprio ciò che è debole.
Ogni cristiano è scelto da Dio per preparare l’avvento del Regno nel proprio ambiente di vita. Ci sottrarremo a questo compito con la scusa di non esserne all’altezza, oppure accetteremo con fede di divenire strumenti nelle mani di Dio, sicuri che sarà lui a compiere la sua opera?

lunedì 17 dicembre 2012

Anche quando può sembrare assurdo



18 dicembre. Il Vangelo del giorno

Giuseppe, figlio di Davide, non temere (Mt, 18, 24)

Nell’imminenza del Natale ecco apparire il primo dei diretti protagonisti della nascita di Gesù. La sua genealogia ci ha portati fino a Giuseppe, lo sposo di Maria, che assicura la discendenza da Abramo e da David. Più che il dramma vissuto da Giuseppe, il Vangelo mette in luce il grande evento che si sta compiendo: il bambino che nascerà viene dallo Spirito Santo, è il Salvatore (questo il significato del nome “Gesù”) ed è la presenza di “Dio tra noi” (= Emmanuele). La reazione di Giuseppe davanti al questo annuncio è di una semplicità e immediatezza sorprendenti: “fece come gli aveva ordinato l’angelo”.
Matteo narra questo avvenimento, perché anche noi possiamo giungere a credere che Gesù viene dal cielo. Anche noi siamo chiamati ad accogliere Gesù come il “Dio tra noi” e a compiere in piena docilità il suo volere, anche se a volte esso può sembrare assurdo, o incomprensibile, o al di sopra delle nostre capacità, come forse appariva a Giuseppe. Facendo “come ci viene ordinato”, con la sua semplicità e la sua fede, vedremo come lui, compiersi attorno a noi il miracolo di Dio che si rende presente e attualizza il suo progetto.

domenica 16 dicembre 2012

Porta tutto a perfezione, anche i nostri sbagli


Sono stato con le gen di Roma. Incontro straordinario con ragazze ordinarie, anzi… straordinarie. Straordinarie perché sono ragazze come tutte eppure diverse, col Vangelo dentro che le anima e le guida. Un soffio di speranza, un futuro assicurato, pure nella precarietà di adesso.

17 dicembre. Vangelo del giorno
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. (Mt 1, 1-17)
Un brano di Vangelo arido? Troppi nomi difficili? Monotonia di quel carnale “generò”? No, una delle pagine più straordinarie del Nuovo Testamento che ci attesta la vera umanità del Figlio di Dio. Davvero, passando di generazione in generazione, egli si è calato nella nostra storia così com’è fatta, con le sua fatiche, gli sbagli, i peccati. Non è una genealogia “pulita” quella di Gesù, vi sono adulteri, prostituzioni, giochi meschini (Giuda e Tamar, David e Betsabea), sangue straniero (Rut)… La sua carne è proprio impastata della nostra carne, egli è proprio uno di noi, che ci conosce fino in fondo e può capirci.
Nello stesso tempo rimane Figlio di Dio, venuto per liberarci dai grovigli che tarpano le ali. Matteo lo dice con il simbolo dei numeri allora così eloquente: Gesù appare come il compimento di una serie di generazione di sei volte sette: sette, il numero della perfezione; sei, il numero della imperfezione; quasi a dire che la nostra umanità è perfettamente imperfetta! Ma egli, finalmente, è il settimo nella genealogia! Porta tutto a perfezione, anche i nostri sbagli, anche le nostre debolezze e i nostri peccati.

sabato 15 dicembre 2012

Quello che deve cambiare sono i rapporti


16 dicembre, III domenica di Avvento

“Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3 10-18)

“Che cosa dobbiamo fare?” La domanda nasce spontanea ogni qualvolta sentiamo l’appello alla conversione, a una vita nuova. Dobbiamo lasciare la casa e le consuete occupazioni per condividere col Battista la dura vita del deserto fatta di lunghe preghiere e penitenze? Sembrerebbe questa la via alla santità, ma è per pochi eletti… Forse occorre lasciare la monotonia dei rapporti, del luogo e degli impegni, e andare altrove per dedicarsi a qualcosa di nuovo, di più creativo?
La risposta di Giovanni il Battista è prettamente evangelica: che ognuno rimanga al suo posto, nel suo ambiente, al suo lavoro. Nessuna fuga, nessuna evasione, nell’illusione che cambiando luogo, persone, mansioni possa cambiare anche la vita. L’esattore delle tasse rimanga al suo tavolo, il soldato in caserma, la mamma e l’operaio al loro lavoro, lo studente sui banchi di scuola...
Ciò che deve cambiare è il modo di rapportarsi con gli altri, cominciando col riconoscere in essi la presenza di Gesù. Allora sarà tutto nuovo, perché tutto rinnovato dall’amore che avrà l’espressione del rispetto, della condivisione della “tunica” (i nostri beni…), del servizio, dell’ascolto… 

venerdì 14 dicembre 2012

Il Natale è già segnato dalla Croce


15 dicembre. Il Vangelo del giorno

Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto” (Mt 17, 10-13)

La tradizione ebraica attendeva il ritorno del profeta Elia, rapito in cielo da un carro di fuoco; egli avrebbe preparato la venuta del Messia. Quando arriverà dunque Elia?, gli domandano i tre discepoli dopo aver visto Elia e Mosè sul monte, con il Signore. A questa domanda Gesù risponde che il profeta che prepara la via al Messia è già venuto, anche se il suo annuncio non è stato accolto: è Giovanni il Battista. Questi non lo ha testimoniato soltanto con la parola, quando al fiume Giordano lo aveva additato come l’Agnello di Dio, ma con la vita stessa, lasciandosi uccidere per la verità. Con la sua morte Giovanni ha profetizzato la morte stessa di Gesù. Il Messia atteso non avrebbe regnato nella gloria, ma soffrendo e morendo, perché il suo popolo avesse la vita. 
Il Natale è già segnato dalla Croce: quel Bambino che nasce per amore nostro ci amerà con l’amore più grande, quello che dà la vita per gli amici e tali egli ci considera! Accoglierlo è riconoscere il suo amore, con gratitudine, e contraccambiarlo con lo stesso amore, pronti a testimoniarlo con la parola e con la vita, come il Battista.

giovedì 13 dicembre 2012

“Piccoli” e “puri di cuore” per riconoscere la presenza di Dio nel mondo


14 dicembre. Il vangelo del giorno

Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell’uomo (Mt 11, 16-19)

Giovanni Battista continua ad essere presente in questo tempo di preparazione al Natale. Il suo appello alla conversione, rivolto in maniera austera, non è stato accolto, come non viene accolto il lieto annuncio di Gesù, mite e umile di cuore. La parabole dei ragazzi che giocano sulla piazza è eloquente, gli uni invitano i compagni a giocare alla festa di nozze, gli altri alle nenie funebri; in ogni caso, né gli uni né gli altri rispondono al gioco. Che Dio si rivolga a noi “con le buone o con le cattive”, il più delle volte rimane inascoltato: “non c’è più sordo di chi non vuol sentire”. Eppure il disegno di Dio – la sapienza –, che appare chiaramente dall’attività di Giovanni e da quella di Gesù, si realizza comunque, anche quando viene rifiutato.
Occorre essere “piccoli” e “puri di cuore” per riconoscere la presenza di Dio nel mondo. Egli ci parla in mille modi e, soprattutto attraverso le parole che Gesù ci ha lasciato nel Vangelo, ci invita personalmente ad attuare il suo progetto d’amore su di noi e sulla società nella quale viviamo. Occorre “stare al gioco” e fare bene la nostra parte, quella che egli ci affida attimo per attimo.

mercoledì 12 dicembre 2012

Accoglienza e conquista del Regno dei cieli


13 dicembre. Il Vangelo del giorno

“Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono”. (Mt 11, 11-15)

Dopo la prima domenica di Avvento, ecco riapparire la figura di Giovanni il Battista, detto giustamente il Precursore: espressione ultima e piena dell’Antico Testamento, ha preparato la venuta di Gesù. Dopo di lui irrompe la novità del Vangelo, che entra nella storia con forza e “violenza”. Di quale violenza parla qui il Signore? Della capacità insita nel regno di Dio di avanzare nonostante ogni opposizione o della persecuzione che il male solleva contro di esso? Il testo è di difficile interpretazione. In ogni caso Gesù lancia un forte appello ai suoi ascoltatori perché si decidano a scelte radicali che impegnano tutta la persona.
Il regno di Dio, egli sembra dirci, va accolto come un dono gratuito, ma nello stesso tempo esso è esigente e domanda una lotta per essere conquistato. Più pardi dirà, paradossalmente, che egli non è venuto a portare la pace, ma la spada, a tagliare rapporti sbagliati e iniqui e a instaurare la giustizia e la verità; è venuto a portare fuoco sulla terra e vuol vedere i membri del suo regno ardere della sua stessa passione. Per la prepararne l’avvento Giovanni ha dato la sua stessa vita! È un invito alla coerenza e a una testimonianza coraggiosa, anche a carissimo prezzo.

martedì 11 dicembre 2012

La leggerezza della sequela


12 dicembre. Vangelo del giorno

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, (Mt 11, 28-30)

Basterebbe fermarsi sulla prima parola: “Venite a me”. È un invito che torna lungo tutto il Vangelo, da quando Gesù chiama i primi discepoli a seguirlo, fino a quando assicura il ladrone pentito che sarebbe stato con lui in paradiso. Neanche ai bambini si deve impedire di andare da lui: come non ricordare il passo evangelico in cui egli rimprovera i discepoli perché li allontano? Chiama tutti poiché sa che tutti hanno bisogno di trovare la pace del cuore.
Anche noi a volte siamo stanchi fisicamente, sfiduciati, scoraggiati. Anche a noi ripete, come una volta ai discepoli: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. Altre volte possono pesarci gli obblighi morali che, come al tempo di Gesù, alcuni “dottori della legge” ci impongono come un fardello pesante, alla maniera del giogo che si metteva una volta sulle bestie; allora ci fa capire che la sua legge è “dolce e leggera” perché tutta racchiusa nell’amore verso Dio e verso gli altri.
Davanti a qualsiasi difficoltà e stanchezza, lasciamo che riecheggi in noi la sua parola: “Venite a me”. Sappiamo d’essere accolti da un cuore che palpita per noi.

lunedì 10 dicembre 2012

Ci hanno portato via l’Immacolata!

Dopo sessant’anni che nella cappella della casa generalizia Maria, dalla sua nicchia, guarda ogni giorno con amore i suoi Oblati, la preziosa statua dell’Immacolata è stata portata via… ma solo per restaurarla e riportarla ancora più bella! È la statua che si trovava nella chiesa della Missione ad Aix, dove sono nati gli Oblati, la “Madonna del sorriso”, come è sempre stata chiamata. Perché questo nome. Occorre tornare al 15 agosto 1822, sei anni dopo la fondazione.
Era un momento nel quale la nuova piccola famiglia dei Missionari di Provenza stava attraversando grandi difficoltà. Sant’Eugenio avrebbe voluto trovare qualche vescovo che la sostenesse, “un vescovo quale ebbe la fortuna d'incontrare Cesare de Bus (Fondatore dei Dottrinari) a Aix e ad Avignone”, o un altro S. Carlo Borromeo, “compagno di S. Filippo Neri”. Così egli scriveva al suo primo, padre Tempier, il 15 agosto 1822. Allora non trovava questo vescovo, ma trovò ben di più: Maria Immacolata!
Quel giorno aveva parlato di lei, nella chiesa della Missione, e la gente era rimasta contentissima. Dopo la funzione era partita la processione, mentre lui rimaneva solo a pregare, scrivendo a quel primo compagno l’esperienza straordinaria vissuta davanti alla statua dell’Immacolata:
“Come vorrei comunicarvi la consolazione profonda goduta in questo giorno bellissimo consacrato a Maria, nostra Regina. Da molto tempo non provavo tanta gioia nel parlare delle sue grandezze, nell'invogliare i cristiani a riporre in lei ogni fiducia, com'è accaduto stamani durante l'istruzione data ai membri della Congregazione (della Gioventù Cristiana di Aix). Spero che mi abbiano capito, e stasera mi sono accorto che i frequentatori della nostra chiesa condividevano il fervore suscitato dalla vista della sua immagine e più ancora le grazie che lei ci otteneva dal suo divin Figliuolo, mentre noi ci rivolgevamo con tanto affetto a lei che è nostra Madre. Io personalmente credo di esserle debitore di un sentimento non dico mai provato finora, ma certo non come al solito. Non potrei esprimerlo con precisione perché è composto di vari elementi, ma tutti si riferiscono a un solo oggetto: la nostra cara Società. Mi pareva di vedere e toccar con mano che essa contiene in germe virtù altissime e potrebbe compiere un bene immenso. La trovavo una buona Società, e tutto in lei mi sembrava encomiabile: mi piacevano le sue Regole e i suoi Statuti, il suo ministero mi pareva sublime, com'è effettivamente. Trovavo in lei mezzi sicuri di salvezza, anzi infallibili per come li vedevo”.
Gli Oblati hanno sempre ritenuto questa come una esperienza mistica, che fece comprendere a sant’Eugenio che la sua opera veniva da Dio, nonostante tutte le difficoltà che stava attraversando. Maria Immacolata gli mostrava la bellezza della nuova famiglia che era nata ad Aix, fu come un suo sorriso, per questo si chiama “la Madonna del sorriso”.

11 dicembre. Il Vangelo del giorno
“Che neanche uno di questi piccoli si perda” (Mt 18, 12-14)
Ancora una volta il Vangelo ci spiega il senso del Natale: il Padre non vuole che nessuno si perda, per questo ha mandato Gesù, il Buon Pastore, a cercare chi era perduto. Nella parabola egli non dice che la pecora era fuggita dal gregge, o si era nascosta… si era semplicemente smarrita. Non pone un giudizio negativo, di tipo morale; constata un fatto, quasi volesse scusarla: è successo così.
È facile riconoscersi in quella pecora smarrita, come anche avvertire ogni assenza di giudizio di Dio su di noi, anzi il suo interesse, la premura nel cercarci per trarci in salvo. Per un Dio che è venuto in terra a cercare chi ha perduto la via non c’è peccato che non possa essere perdonato.
Ciò che solo ci è chiesto è credere nel suo amore e lasciarsi amare al punto da prendere con lui la via del ritorno. Se è questo che, più di ogni altra cosa, dà gioia a Dio, perché non arrendersi al suo amore?
Non è un caso se l’icona più rappresentata dai primi cristiani è il Buon pastore con sulle spalle la pecora ritrovata; immagine che più di ogni altra dice a tutti l’amore misericordioso di Gesù.

sabato 8 dicembre 2012

Preparate la via


9 dicembre, II domenica di Avvento

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto… “Preparate la via del Signore”

Impressionano questa serie dettagliata di coordinate storiche e geografiche con cui Luca inquadra la predicazione di Giovanni il Battista, venuto in un tempo ben determinato, in un luogo ben preciso. Anche ognuno di noi può delineare le proprie coordinate storiche e geografiche e riscrivere questa pagina evangelica: ora e qui, nella mia famiglia, nel mio quartiere, nella mia città, Dio fa discendere anche su di me la sua parola, mi rivolge in particolare l’invito di Giovanni: “Preparate la via del Signore…”. È un appello personale alla conversione, perché niente possa ostacolare la venuta di Dio in noi.
Ma non basta aprire il cuore al Signore che viene; come il Battista, occorre preparare la strada perché egli possa arrivare agli uomini e alle donne di oggi, ed essi possano arrivare a lui. Spesso chi ci sta accanto non sa neppure che egli sta per venire, non sa nulla nemmeno di lui. Del Natale forse conosce soltanto i doni, la festa, l’albero, la settimana bianca. Ma il festeggiato, chi è? Preparare la via al Signore vuol dire annunciarlo, testimoniarlo, mostrare chi egli è per noi, comunicare il senso vero del Natale.

venerdì 7 dicembre 2012

Una dimora santa per far scendere sulla terra il Santo



8 dicembre, Immacolata Concezione della B.V. Maria

In Maria contempliamo la discepola perfetta, pienamente docile al volere di Dio, resa per ciò stesso capace di Dio. Lo accoglie, da lui si lasca penetrare e trasformare, al punto da diventarne madre. Egli, infinito, aveva bisogno di un vuoto infinito per essere accolto e l’ha resa immacolata. Egli, il Santo, aveva bisogno di una dimora santa per scendere sulla terra e l’ha fatta Tutta Santa, piena di grazia. Tutto in lei è opera di Dio: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”.
La liturgia colloca la festa della Immacolata Concezione di Maria nel cuore dell’Avvento per darci la piena comprensione del senso del Natale: Gesù è venuto in terra per riportare la sua creatura al disegno originario e guidarla alla sua realizzazione: la piena trasformazione in Dio. Maria è la prima creatura redenta e introdotta nel mistero della Trinità; in lei è come sintetizzata tutta la creazione nuova. Guardando a lei possiamo capire la nostra vocazione, il nostro destino: essere altri Gesù e in lui veri figli di Dio Padre, concepiti dall’amore dello Spirito; diventare amore come Dio è Amore.

giovedì 6 dicembre 2012

Io non posso credere senza gli altri


7 dicembre. Il Vangelo del giorno

Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. (Mt 9, 27-32)

Perché Gesù è venuto tra noi? Il Vangelo di oggi ci indica una ulteriore motivazione: è venuto per aprirci gli occhi, come ha fatto con i due ciechi. Essi recuperarono la vista, ma il dono più prezioso che hanno ricevuto è stata la fede: hanno creduto che Gesù era capace di dare loro la guarigione.
Noi non vediamo le cose come le vede Dio, siamo come ciechi. Gesù è venuto a portarci la fede, adesione della mente e della vita a ciò che Dio, attraverso di lui, vuol farci conoscere. Essa però, ci ricorda il Catechismo, “non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo”. Non a caso la Parola di Dio ci parla di “due ciechi” che insieme recuperano la vista. “Ogni credente – leggiamo ancora nel Catechismo – è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri” (n. 166). Soltanto insieme, nella comunità dei credenti, possiamo credere veramente alle parole di Gesù e metterle in pratica, fino a trasmettere, a nostra volta, la fede ricevuta e vissuta.

La foto non è attinente al  commento al Vangelo… è attinente alla giornata di oggi. Sono stato a parlare al liceo dove p. Nino è cappellano. E ho trovato le elementari che preparavano il presepe vivente nel grande anfiteatro all’aperto: qualche centinaio di soldati romani con lance di stagnola, qualche centinaio di pastori, non so bene quante saranno le schiere degli angeli… comunque mi assicurano che Gesù Bambino sarà uno solo, e sarà stracontento di vedersi circondato da tutti questi altri bambini.

mercoledì 5 dicembre 2012

Mettere in pratica la Parola


6 dicembre. Il Vangelo del giorno

Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 21.24-27)

Venti giorni ed è Natale. Cosa diremo quel giorno a Gesù che viene? Ma soprattutto, cosa gli diremo quando lo incontreremo l’ultimo giorno della nostra vita, trovandoci faccia a faccia davanti a lui; o quando verrà di nuovo, alla fine dei tempi? Non basterà chiamarlo per nome, “Signore, Signore”, dirgli che abbiamo sentito parlare di lui o che abbiamo parlato di lui, nemmeno che abbiamo frequentato la chiesa… Ci chiederà se abbiamo messo in pratica le sue parole.
Questo brano di Vangelo conclude il “discorso della montagna” nel quale Gesù ha proposto un modo nuovo di vivere, dichiarando beati i poveri e chi lotta per la giustizia, invitando ad essere sale della terra e luce del mondo, a perdonare, a non dire male degli altri, a non giudicare, a dare a chi domanda, ad amare amici e nemici, ad nutrire un’immensa fiducia nell’amore provvidente del Padre… Quello che domanda al termine del suo discorso non è di rimanere incantati dalle sue parole, ma di metterle in pratica perché in esse egli fa conoscere la volontà del Padre che è nei cieli.
Quando incontreremo Gesù dovremmo dirgli come abbiamo vissuto il suo vangelo.

martedì 4 dicembre 2012

Dalla com-passione alla com-mozione


5 dicembre, Il Vangelo del giorno

“Sento compassione per la folla” (Mt 15, 29-37)

Anche oggi ci domandiamo: perché Gesù è venuto tra noi? Questa volta il Vangelo risponde che è venuto perché ha avuto “compassione” di noi. Egli sa penetrare nella nostra vita di ogni giorno, condividerne le nostre ansie, i problemi, i bisogni, fino a “sentire” le nostre stesse “passioni”, ad avere il medesimo “pathos”. La folla che egli incontra porta con sé “zoppi, storpi, ciechi, sordi, malati”, simboli di ogni afflizione umana.
La “com-passione” di Gesù si tramuta presto in “com-mozione”: si “muove verso” la folla, risponde alle sue attese e si fa maestro per insegnare la verità, pastore per indicare la via, medico per risanare le malattie, pane per sfamare e donare vita. Egli ha un cuore per sentire quello che noi sentiamo e per muoversi verso di noi, fino a vivere con noi e ad aiutarci; un cuore che batte all’unisono con il nostro.
Amati così, possiamo amare a nostra volta. Non ha forse chiesto ai discepoli di aiutarlo per rispondere alle attese della folla? Anche a noi è stato dato un cuore perché, guardandoci attorno, potessimo “sentire” i problemi e le attese degli altri, fino a “muoverci”, come Gesù, a offrire risposte concrete.

lunedì 3 dicembre 2012

Perché potessimo conoscere Dio


4 dicembre, Il Vangelo del giorno
  
Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli (Lc 10, 21-24)

Siamo in attesa del Natale. Perché Gesù è venuto tra noi? La risposta è nel Vangelo di oggi: perché potessimo conoscere Dio. Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore di ogni persona umana, creata da Lui e in vista di Lui. «La ragione più alta della dignità dell'uomo – ci ricorda il Concilio Vaticano II – consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (Gaudium et spes, 19).
Quando Gesù constata che i suoi discepoli accolgono la sua parola e si aprono alla conoscenza di Dio, prorompe in un grido di gioia: la missione che il Padre gli aveva affidato si sta compiendo, con la sua vita egli rivela veramente che Dio è Amore.
Anche noi possiamo dare gioia a Gesù: basta essere “piccoli”, ossia fidarsi del Vangelo, “riconoscere” nelle parole e nelle azioni di Gesù l’espressione dell’amore di Dio per noi, attuare ciò che dice e imitare ciò che compie, così da essere come lui l’amore.

domenica 2 dicembre 2012

Tutti candidati al Regno di Dio

Cafarnao

3 dicembre, il Vangelo del giorno
Verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8, 1-11).
È la prima volta che Gesù si incontra a tu per tu con una persona che non appartiene al suo popolo. Un popolo scelto da Dio, quello di Israele, preparato da secoli per accogliere l’annuncio del Regno dei cieli. Eppure, nascostamente, Dio ha operando anche in uomini e donne di altri popoli, come nei confronti del centurione romano di stanza a Cafarnao, aprendo loro il cuore alla buona novella. In lui Gesù intravede già la grande ricchezza e varietà della sua comunità, che non conosce confini di spazi o di culture: tutti sono candidati al Regno di Dio che, con una immagine che spesso ricorre nel Vangelo, è raffigurato come una grande riunione di famiglia, dove si sta insieme attorno alla stessa mensa, e ci si riconosce fratelli e sorelle.
La liturgia di oggi ci fa leggere il presente passo evangelico pensando a san Francesco Saverio, che è stato strumento per invitare alla tavola comune i popoli dell’Oriente. Potremo sederci anche noi alla mensa nel regno dei cieli? La condizione per esservi ammessi è la fede, quella fiducia piena in Gesù, quell’adesione e totale abbandono a lui di cui il centurione è testimone.

Il 3 dicembre 1995, prima domenica d’Avvento, Giovanni Paolo II proclamava santo Eugenio de Mazenod. In quell’occasione parlò di lui come di colui come autentico missionari, che apre la via a Gesù, proclamandolo Uomo dell'Avvento:
La venuta del Figlio dell’uomo è il tema dell’Avvento. Inizia, così, il tempo del nuovo Anno Liturgico. Guardiamo già verso la notte di Betlemme. Pensiamo a quella venuta del Figlio di Dio che ormai appartiene alla nostra storia, anzi in un modo mirabile l’ha formata come storia dei singoli individui, delle nazioni e dell’umanità. Sappiamo, inoltre, con certezza che, dopo quella venuta, abbiamo per sempre davanti a noi una seconda venuta del Figlio dell’uomo, di Cristo. Viviamo nel secondo Avvento, nell’Avvento della storia del mondo, della storia della Chiesa, e nella Celebrazione eucaristica ripetiamo ogni giorno la nostra fiduciosa attesa della sua venuta.
Il Beato Eugenio de Mazenod, che la Chiesa oggi proclama santo, fu un uomo dell’Avvento, uomo della Venuta. Egli non soltanto guardò verso quella Venuta, ma, come Vescovo e Fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata, dedicò tutta la sua vita a prepararla. (…)Eugenio de Mazenod fu uno di quegli apostoli, che prepararono i tempi moderni, i tempi nostri. (…) De Mazenod fu consapevole che il mandato di ogni Vescovo e di ogni Chiesa locale è in se stesso missionario e fece in modo che anche l’antichissima Chiesa di Marsiglia, i cui inizi risalgono al periodo subapostolico, potesse adempiere in maniera esemplare la sua vocazione missionaria, sotto la guida del suo Pastore. In questo consistette l’impegno di sant’Eugenio, in ordine alla seconda venuta di Cristo, che tutti attendiamo con viva speranza. (…)
Oggi la Chiesa rende grazie a Dio per sant’Eugenio de Mazenod, apostolo del suo tempo, il quale, rivestitosi del Signore Gesù Cristo, spese la sua vita nel servizio al Vangelo di Dio. Rendiamo grazie a Dio per la grande trasformazione compiutasi mediante l’opera di questo Vescovo. Il suo influsso non si limita all’epoca in cui egli visse, ma continua ad agire anche sul nostro tempo. Infatti il bene compiuto in virtù dello Spirito Santo non perisce, ma dura in ogni “ora” della storia.

sabato 1 dicembre 2012

Un futuro che non fa più paura


2 dicembre, I domenica di Avvento

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria...
risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina
(Lc 21,25-28.3436)

L'anno liturgico si apre con segni terribili nel cielo, sconvolgimenti tellurici e mare­moti. Con il linguaggio simbolico del suo tempo Gesù mette a nudo angosce e paure che travagliano la nostra umanità. Non lo fa per atterrirci, ma per farci sapere che conosce bene le nostre ansie e insicurezze (le ha provate egli stesso!) e che proprio da esse è venuto a liberarci. Il Vangelo di oggi è l’annuncio di un futuro che non fa più paura perché abitato dall’amore di Dio; è la risposta alle inevitabili domande che a volte ci poniamo: Perché una vita così vorticosa? Ha un “senso”, una direzione? Sì, siamo incamminati verso il Signore che ci viene incontro. Non rivolgiamo tuttavia lo sguardo ai nostri passi, potremmo avere paura; guardiamo piuttosto in avanti, con quella certezza che dà pace. Stiamo venendo incontro a Colui che in ogni attimo ci viene incontro.
Come prepararci concretamente a quell’appuntamento? Ce lo suggerisce san Paolo nella seconda lettura, quando ci invita a «crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti». Soltanto vivendo così saremo trovati pronti «al momento della venuta del Signore nostro Gesù».

venerdì 30 novembre 2012

Tenere sveglio il desiderio dell’incontro


1 dicembre, sabato
Da oggi, per tutto il mese di dicembre, un breve commento al Vangelo della liturgia del giorno, per prepararci insieme al Natale

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza…di comparire davanti al Figlio dell’uomo. (Lc 21,34-36)

Presto sarà Natale. Lo avvertiamo nell’aria. La città ha già cominciato a rivestirsi di luci, la pubblicità promuove i tipici dolci, patetici bonari babbi natale si aggirano per le strade o immobili scalano il muro di una casa, musiche familiari risuonano nei grandi magazzini… Iniziano i preparativi: acquisto regali, programmazione vacanze… Ma a cosa ci stiamo preparando? A celebrare una festa? Quale? Per chi? Tante persone non lo sanno più.
Almeno noi cristiani, per grazia di Dio, lo sappiamo: ci prepariamo alla venuta di Gesù. A Natale ricordiamo la sua discesa dal cielo, più di 2000 anni fa, quando il Padre, nel suo infinito amore, lo inviò tra noi.
Quella venuta ne annuncia un’altra, quando, alla fine dei tempi, il Signore tornerà per portarci con sé nella vita che non ha fine, nella gioia del cielo. A volte ci sembra così lontano quel giorno, al punto da correre il rischio che i nostri cuori “si appesantiscano” in mille preoccupazioni e inutili cose, perdendo di vista la meta finale. L’invito di Gesù è di tenere sveglio il desiderio dell’incontro con lui mediante la preghiera, rapporto d’amore che, fin da adesso, ce lo rende presente.

giovedì 29 novembre 2012

Le riviste si interrogano sul Concilio

È una classica mattinata novembrina ventosa e piovigginosa. Attraverso il ponte di Castel Sant’Angelo, deserto, silenzioso, come lo si vede poche volte. Subito di là, lungo il Lungotevere, la prestigiosa sede dell’UISG. È la prima volta che vi metto piede. È il centro che coordina i rapporti tra tutte le suore del mondo. Con la guida di sr. Giannica, che vi lavora nell’ambito dell’informativa, percorro sale e uffici, lindi e tersi, tirati a lucido, ovattati, rarefatti, con poche persone chine sulle scrivanie.
Entro nella sala dove sta iniziando il terzo incontro dei direttori delle rivista di vita consacrata. (Il primo si è tenuto nel Cile, il secondo il Spagna). Il clima è diverso: trovo una trentina di persone vivacissime, contente di trovarsi o ritrovarsi, pronte ad affrontare tre giornate di studio e di scambio.
Inizia subito la presentazione delle diverse riviste: storia, fisionomia, diffusione… Sono rappresentante una quindicina di riviste, la maggior parte di lingua spagnola, edite in Cile, Colombia, Bolivia, Brasile, Messico, Spagna, Italia. Si va dalle più grandi, come Testimoni con i suoi novemila abbonati, alle più piccola come la messicana Vinculum. Unità e Carismi mostra la sua peculiarità: è l’unica a non essere espressione di una conferenza nazionale o internazionale dei superiori maggiori, o ad avere alle spalle una grande organizzazione come le edizioni Dehoniane per Testimoni. Ed è l’unica ad avere edizioni in varie lingue, ben otto, con altrettante redazioni. Di punta la rivista Cirm del Messico per le varie edizioni elettroniche.
Ciò che è comune a tutte le riviste è la collaborazione tra molti istituti che ne sta alla base; sono tutte frutto di una grande concertazione, da un gran bisogno di comunione, di affrontare insieme le tematiche, le problematiche i progetti dei religiosi e religiose. Lo stesso desiderio percorre la nostra sala. Ogni rivista è portata avanti da redazioni che molto affiatate: quasi tutte si incontrano ogni mese per una giornata intera, invitando spesso altri esperti, per elaborare insieme i numeri della rivista e per crescere nella comunione.
Iniziamo così a riflettere insieme su un tema comune: Sulle orme del Concilio. Ci aiuta, in giornata, prima Bruno Secondin con la relazione: Per ritrovare il soffio carismatico del Concilio; poi Enrica Rosanna: A cinquant’anni del Vaticano II: Priorità e sfide della vita consacrata. Secondin ha concluso con un interessante elenco di novità lanciate in maniera germinale nel Concilio e attualmente in crescita. Rosanna, dopo aver indicato le tappe del cammino di rinnovamento postconciliare ha indicato alcuni punti fondamentali sui quali riflettere per l’oggi, punti acquisiti e nello stesso tempo problematici, che domandano di essere ripensati: il primato di Dio, l’opzione preferenziale per i poveri, la vita fraterna, l’inculturazione e la multiculturalità, l’ecclesiologia di comunione con la riscoperta della Chiesa locale, il genio femminile.
Dopo le relazioni il dialogo è vivacissimo. L’orizzonte si dilata, le questioni molto interessanti, la passione per la vita consacrata accesa. Una giornata entusiasmante.
L’incontro è continuato nei due giorni successivi con interventi di rilievo, come quello del cardinal João Braz de Aviz. Ma soprattutto c’è stato un intenso scambio dei problemi, dei sogni, degli orientamenti e delle prospettive tra tutti i direttori delle riviste.
Siamo mossi da una visione: il valore della vita consacrata sia nella sua dimensione profetica della proclamazione esistenziale del primato di Dio, sia nella sua dimensione carismatica; l’unità tra i carismi, in una più ampia comunione ecclesiale, per la fraternità universale.
Perché non vedere (2’) il video di Unità e Carismi?
http://www.youtube.com/watch?v=cRBX6Bw3OVc&feature=player_embedded

mercoledì 28 novembre 2012

Festa dei Martiri Oblati di Spagna


28 novembre. Per la prima volta abbiamo celebrato la festa dei Martiri Oblati di Spagna
Il martirio di 22 Oblati: padri, fratelli e scolastici, a Pozuelo de Alarcón (Madríd), si colloca durante periodo della grande persecuzione religiosa in Spagna, nel triennio 1936-1939, quando migliaia di cristiani furono uccisi per la loro appartenenza alla Chiesa.
I primi sette Oblati furono portati via dalla casa dello scolasticato il 24 luglio 1936, per essere fucilati:
Juan Antonio Pérez Mayo, sacerdote, professore, 29 anni.
Manuel Gutiérrez Martín, studente suddiacono, 23 anni.
Cecilio Vega Dominguez, studente, suddiacono, 23 anni.
Juan Pedro Cotillo Fernández, studente, 22 anni.
Pascual, Aláez Medina, studente, 19 anni.
Francisco Polvorinos Gómez, studente, 26 anni.
Justo González Lorente, studente, 21 anni
Con loro il laico Candido Castan, padre di due figli.
Il 7 novembre furono fucilati:
P. José Vega Riaño, sacerdote e formatore, di 32 anni
Serviliano Riaño Herrero, studente, di 30 anni.
Il 28 novembre 1936 fu la volta di:
Francisco Esteban Lacal, superiore Provinciale, 48 anni
Vicente Blanco Guadilla, superiore locale, 54 anni.
Gregorio Escobar García, sacerdote fresco ordinato, 24 anni.
Juan José Caballero Rodríguez, studente, suddiacono, 24 anni
Publio Rodríguez Moslares, studente, 24 anni.
Justo Gil Pardo, studente, diacono, 26 anni.
Angel Francisco Bocos Hernández, fr. coadiutore, 53 anni.
Marcelino Sánchez Fernández, fr. coadiutore, 26 anni.
José Guerra Andrés, studente, 22 anni.
Daniel Gómez Lucas, studente, 20 anni.
Justo Fernández González, studente, 18 anni.
Clemente Rodríguez Tejerina, studente, 18 anni.
Eleuterio Prado Villarroel, fr. coadiutore, 21 anni.

Abbiamo una sola testimonianza dell’eccidio, quella di chi ne seppellì i corpi. Così racconta, con poche parole:
Sono completamente convinto che il 28 novembre 1936 un sacerdote o religioso chiese alle milizie che gli permettessero di dire addio a tutti i suoi compagni e dar loro l’assoluzione, grazia che gli fu concessa. Una volta che ebbe terminato, pronunziò ad alta voce queste parole: “Sappiamo che ci uccidete perché siamo cattolici e religiosi. Lo siamo. Tanto io come i miei compagni vi perdoniamo di cuore. Viva Cristo Re!”.

Il neo sacerdote Gregorio Escobar aveva scritto alla sua famiglia:
Sempre mi hanno commosso fino al più profondo dell’animo i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire tutti a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morir per Cristo!