sabato 30 giugno 2018

Non temere


«La mia figlioletta sta morendo…»... «Non temere, soltanto abbi fede!». (Mc 5, 21-24.35b-43)

«Alzati e cammina», aveva detto al paralitico (2, 9). Aveva preso per mano la suocera di Pietro e l’aveva fatta alzare dalla sua in­fermità (1, 31). Lo stesso con il ragazzo epilettico (9, 27). Que­sta volta è diverso. Stesse parole, stesso gesto, ma la bambina che sta davanti a Gesù è ormai morta. Si può guarire un ammalato, ma dare la vita a un morto?
Da Gesù era appena uscita una “forza” che aveva risanato la donna ammalata da dodici anni; forza capace di tutto, di sedare le tempeste, di guarire ogni sorta di malattia e infermità, di vincere e cacciare il diavolo; forza capace di annientare la morte e ridare la vita.

«Non temere», sussurra al papà a cui è annunciata la morte della figlia. Quale annuncio più straziante, disperazione più grande? L’ha ripetuta tante volte questa parola: «non temere». La prima volta la rivolse ad Abramo, quando si sentiva solo e scoraggiato, poi a Isacco, a David, a Elia ogni volta che le avversità e le prove si abbattevano su di loro e li lasciavano nello sconforto e nella disperazione. La ripetette ai discepoli spauriti e scoraggiati: «Non temere, piccolo gregge…».

La ripeterà anche a noi? Una difficoltà, un compito superiore alle nostre forze e capacità, un fallimento, un incidente, una malattia, una morte… Ci assale la paura, l’angoscia ci attanaglia. Cosa fare, come fare? Ecco la sua voce: «Non temere, soltanto abbi fede».
Sì, lo sappiamo, Gesù è accanto a noi e ci accompagna, come era accanto a Giàiro, al suo dolore, alla sua tragedia. Giàiro andava verso la bambina morta, ma non affrontava il dramma da solo, Gesù eri con lui. Come lui anche noi crediamo che in Cristo vi è una forza che tutto vince, tutto risana, a tutto dà senso.
Egli è la nostra certezza. Con lui tutto è possibile.

Più tardi, la bambina dodicenne morì di nuovo, forse in età avanzata, dopo aver potuto narrare per tanti anni la sua storia. Ma la sua risurrezione è il segno della risurrezione di Gesù, della nostra risurrezione, di quella forza divina che ci porta al di là delle inquietudini, dei mali e della morte, nella pienezza della vita vera, che non finisce mai.


venerdì 29 giugno 2018

giovedì 28 giugno 2018

Rosso cardinale



Questo pomeriggio era un po’ triste del solito. Povero san Pietro, addobbato da Babbo Natale come per ogni festa, con tanto di piviale rosso e tiara, cose che da vivo non ha mai indossato e che ora da morto deve sopportare, al pari del bacio del piede…
In compenso in basilica c’era aria di grande gioia: 14 nuovi cardinali, scelti con i soliti criteri di papa Francesco: da ogni parte e non sempre le persone più note.


Il Patriarca di Babilonia dei Caldei, l’Iraq, all’inizio, ringraziando il papa, ha spiegato chiaramente che la nomina non è né un onore né una promozione, ma semplicemente la chiamata ad un servizio più grande e responsale della Chiesa. Il discorso del papa, particolarmente bello, ho ha ribadito: «L’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo… cresce con la capacità di promuovere la dignità dell’altro, di ungere l’altro, per guarire le sue ferite e la sua speranza tante volte offesa… Questa è la più alta onorificenza che possiamo ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite. Solo così l’autorità del pastore avrà il sapore del Vangelo… Nessuno di noi deve sentirsi superiore ad alcuno… Nessuno di noi deve guardare gli altri dall’alto in basso. Possiamo guardare così una persona solo quando la aiutiamo ad alzarsi».
Quel rosso della porpora che i cardinali indossano dovrebbe essere il segno di una testimonianza radicale al Cristo e al Vangelo fino al martirio.

D’improvviso un concerto di fiati: le trombe suonano su in alto, da uno dei balconi che si affacciano sul baldacchino del Bernini, mentre gli ottoni accompagnano dal basso, prendendoci dentro un’armonia di paradiso.


Finita la cerimonia sono iniziate quelle che una volta si chiamavano “le visite di calore”, ossia il saluto ai vari cardinali, dislocati in diversi locali. Avrei voluto salutare più di uno, soprattutto Aquilino Bocos, nominato cardinale a 80 anni, forse solo per mettere in luce il valore della vita consacrata che, da buon Claretiano, ha servito con passione per tanti anni. Ma avrò occasione di incontralo personalmente domani.
Mi sono quindi diretto, assieme agli amici, dal neo cardinale Becciu, che riceveva nella sala regia, uno dei luoghi più belli dei palazzi vaticani. È stata un’autentica “visita di calore” visto il gran caldo e la lunga fila di due ore regolata dalle guardie svizzere. Valeva la pena, anche solo per guardargli negli occhi e fargli sentire l’affetto e l’amicizia. C’era tutta la Sardegna a salutare il suo cardinale, una folla di parenti, amici, persone le più varie, con i costumi tradizionali, la fisarmonica, la chitarra… davvero una festa di popolo.
È proprio vero quello che ha detto il papa, sempre nella sua omelia: «Il Signore si prende cura del suo popolo…»


mercoledì 27 giugno 2018

Una via di santità


“Il Signore ci faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti… per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuore nella santità”.
Ho capito in maniera nuova questa frase della prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi (3, 12-13).
La santità dipende dall’amore reciproco all’interno della comunità e dall’amore verso gli altri.
Mi ha gettato luce sul testamento di sant’Eugenio “Tra voi la carità, la carità, la carità, e fuori lo zelo per la salvezza delle anime”.
Non avevo mai pensato che in questo testamento fossero racchiusi e due amori di cui parla Paolo: “l’amore vicendevole” e “l’amore verso tutti”.
Quello di sant’Eugenio è dunque un invito alla santità e la nostra vita una via di santità.

martedì 26 giugno 2018

Di cielo in cielo


 

Ecco la sesta "puntata" del racconto del Paradiso '49, pubblicato su "Città Nuova".

Sono ormai passati 10 giorni da quel 16 luglio 1949, quando la contemplazione raggiunge una prima compiutezza. Chiara Lubich ha fatto l’esperienza del Padre, del Verbo, di Maria. Rimane lo Spirito Santo.
È il pomeriggio del 26 luglio. Come al solito Chiara entra nella penombra della chiesetta di Tonadico e, assieme alle amiche, si ferma in silenzio davanti all’altare. 

Ed ecco che avverte come il respiro di Gesù nel tabernacolo e da lì sente giungerle in volto quasi un soffio, un venticello leggero come zeffiro: lo Spirito Santo si rende presente e si manifesta, quasi atmosfera del Paradiso. Chiara non lo sa, ma il Concilio di Firenze nel 1439 aveva definito lo Spirito Santo proprio come il respiro di Dio. Molti anni più tardi Giovanni Paolo II dirà che «lo Spirito Santo è come il “respiro” del Risorto». Un vento leggero? Ma è proprio il nome dello “Spirito” Santo, ruach in ebraico, pneuma in greco. Per donarlo, il Signore Risorto aveva alitato sui discepoli (cf. Gv 20, 22). Quel 26 luglio non ci sono reminiscenze bibliche né riflessioni teologiche, c’è semplicemente il manifestarsi dello Spirito e l’esperienza della sua presenza, talmente viva da lasciarsi vedere come colomba che dal tabernacolo si posa sul capo delle ragazze.

La mattina seguente il “viaggio in Paradiso” segna un’ulteriore tappa. La contemplazione di Maria, bellissima e grandissima, avvenuta pochi giorni prima, ha spinto Chiara a desiderare d’essere consacrata a lei, assieme a tutto il gruppo col quale condivide il cammino. Lo chiede a Goesù Eucaristia, subito dopo la santa comunione. Non è un semplice atto devozionale, Gesù trasforma davvero quelle giovani, fuse in una sola “Anima”, in un’altra piccola Maria, al punto che questo soggetto collettivo, l’Anima, avverte di possedere “le carni immacolatizzate” nelle quali Maria è contenuta.
Immacolatizzate? Non è troppo ardito? È semplicemente il compimento dell’azione di Gesù Eucaristia e dello Spirito Santo iniziata col battesimo, la meta alla quale ogni cristiano è chiamato, come leggiamo nella Lettera agli Efesini: il Padre «ci ha scelti… per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (1, 3-4). Se ci mettiamo al seguito di Maria «possiamo sperare di essere totalmente purificati dal peccato e di diventare anche noi “santi” e “immacolati”», scriveva Giovanni Paolo II, continuando con una preghiera: «O Maria… insegnaci a credere nella possibilità di una piena immacolatezza».

«Ma quello che avvenne in seguito – scrive Chiara riferendosi al giorno successivo, 28 luglio – è più meraviglioso ancora». Sente nascere in lei, in maniera nuova, la presenza di Gesù. La grazia dell’Immacolata, infatti, non è fine a se stessa. Maria diventa la Madre di Dio. Così la grazia dell’immacolatizzazione di quel drappello di anime attorno a Chiara, fuse in un’unica Anima, porta a una “mistica incarnazione” che trasforma le carni immacolate in carni divinizzate: è il Cristo mistico che continua a formarsi e di cui l’“Anima” è come un bozzetto profetico.
Come al solito la natura accompagna questo evento. Alcuni mesi più tardi Chiara racconta che in quel giorno, mentre saliva con le sue compagne verso la chiesetta alpina di san Vittore, «il sole cadeva a perpendicolo sul mio capo mentre nella chiesetta il sacerdote che ci aveva dato la comunione – ignaro dell’avvenimento –, cantava il “Magnificat” e le campane suonavano a stormo. Uscendo dalla chiesetta abbiamo visto Arcangela, che ne era la custode, chiudere il cancello del piccolo cimitero attiguo. Mi sembrò un segno che la morte era stata bandita».

Immacolatizzata e divinizzata, l’“Anima” è ormai costituita tale in pienezza, pronta per una nuova e più profonda immersione nelle realtà di cielo. Avendo messo a base della loro vita l’unità, Chiara e il suo gruppo sono Gesù che cammina. La Via in loro si fa Viatore e, a partire dal mese di agosto, conduce l’Anima in comprensioni ed esperienze sempre nuove.

Non è possibile, in poche pagine, seguire Chiara in questa nuova intensa tappa del suo viaggio. Sarà un susseguirsi di “quadri”, circa centocinquanta, che lei chiama le “realtà”. Vede le verità della fede, ma vivendole da una prospettiva particolare: dall’Uno, dalla Trinità. È un camminare “di cielo in cielo”, entrando in sempre nuove comprensioni del Regno dei cieli, perché la vita in Paradiso non è stasi: è una scoperta continua. È un preludio, un assaggio della glorificazione che ci attende quando «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, verremo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18).

 

Gustare il Paradiso ’49


«Entrati nel Regno dei Cieli, in Seno al Padre, siamo eternamente nella Radice che è il Padre, per cui la vita è eterna e la linfa che scorre in questa radice è amore».

Cielo e terra, increato e creato nascono dal Padre che è vita e la sua vita è Amore. L’amore è dunque la sostanza di tutto e per vivere occorre essere “innestati” nel Padre, ossia nell’amore: vivere secondo “natura”, come figli del Padre; essere amore e amare.

lunedì 25 giugno 2018

Proteggere il patrimonio




Proteggere il patrimonio di una famiglia religiosa è il primo compito di un Capitolo generale. Il suo patrimonio non è fatto soltanto di fondazioni, case, ma soprattutto il carisma del fondatore l’insegnamento dei santi, l’esperienza delle missioni…
Questo il tema della tesi di dottorato in diritto canonico di p. Constant Kienge Kienge, del Congo, membro della nostra comunità di via Aurelia.
Una tesi è sempre una tesi, punto d’arrivo di tanto studio e tanto lavoro. P. Constant ha raggiunto brillantemente la meta.
La difesa è avvenuta nell’aula Paolo VI dell’Università del Laterano, un’aula che mi ha ricordato gli anni lontani dei miei studi, quando vi insegnava il grande p. Honongs…


Il moderatore della tesi, Andrés Guitiérrez è ormai emerito. All’inizio ha detto pubblicamente le motivazioni che gli hanno fatto accettare di dirigere ancora una volta una tesi. Tra le altre il fatto che nella sua lunga carriera, in Argentina, Spagna, Italia ha avuto parecchi studenti Oblati e, parole sue, sono stati tutti al di sopra della media. Ci prendiamo anche questo elogio!
Ma un’altra bella bella motivazione è la vicinanza carismatica tra Cleretiani e Oblati e anche questo è particolarmente bello, non a caso insegno dai Claretiani da quarant’anni.

Auguri p. Constant. Ora metterai a frutto i tuoi studi!




domenica 24 giugno 2018

Mai soli


Queste sere, all'ora del tramonto, ho la possibilità di passare un momento sulla terrazza di casa, con una delle più belle viste su Roma, che spazia dai Castelli Romani a Monte Mario, dal Quirinale ai quartieri di Boccea:
natura, storia, umanità di adesso mi si aprono dinnanzi.
E' una contemplazione.
Mi guardo attorno e ricordo che ognuno di noi, come Isaia, Giovanni Battista, Paolo, delle letture di oggi,
siamo pensati da Dio da tutta l'eternità, per tutta l'eternità... anche in questo attimo.
Mai soli, anche quando abbiamo l'impressione di esserlo, come tante persone che in questi giorni vedo per gli ospedali.
Mai soli.


sabato 23 giugno 2018

Quel segreto celato nel cuore di ognuno



Da non credere! È domenica e, contrariamente a ogni usanza, la festa del santo prende il sopravvento.
Non c’è da sorprendersi. Di Giovanni Gesù ha detto che nessuno tra i nati da donna è più grande di lui.
Giovanni, il più grande tra tutti gli uomini.
Perché?
Perché l’ha riconosciuto e gli ha dato testimonianza fino a dare la vita per lui.
“Che sarà mai questo bambino?” si domandavano i vicini di casa di Elisabetta e Zaccaria.
È la domanda che possiamo farci davanti a ogni bambino? “Che sarà mai questo bambino?”.
In ogni uomo, in ogni donna si cela un mistero.
In ognuno di noi vi è una vocazione, la chiamata a qualcosa di grande.
Che ognuno cresca e si fortifichi nello spirito, fino alla piena manifestazione del disegno di Dio.
Ognuno è chiamato a diventare un capolavoro, a rendere testimonianza alla Verità.

Questa sera abbiamo salutato i nostri studenti che hanno terminato gli studi e che nei prossimi giorni partiranno per tornare nei loro Paesi.
Il superiore ha tracciato il profilo di ciascuno di loro: ognuno un capolavoro.
Dovremmo saper guardare ogni persona al di là di quello che appare, per saper cogliere la chiamata di Dio, il disegno che in essa è celato e amarla e aiutarla perché si realizzi in pienezza.


venerdì 22 giugno 2018

50 anni fa la mia maturità



La mia prima pronipote sta dando l’esame di maturità, a cinquant’anni dal mio.
Chi se lo dimentica…
Mi presentai, come si usava allora, con il vestito completo e il vocabolario sotto braccio. L’esame di maturità era una cosa seria. La contestazione sarebbe arrivata subito dopo e avrebbe spazzato via tutto.
Su un giornale di allora leggo: «C’è il problema del caldo. E ne soffrono un po’ tutti, studenti ed esaminatori. Ma ci pare che essi stiano dando anche in questo senso una prova di mirabile sopportazione. In genere appaiono bene aggiustati, non c’è alcuno che dia in smanie e che tenti di togliersi la giacca. Sono in ordine, a posto con la cravatta, con il colletto della camicia abbottonata. Sembrano considerazioni da poco, addirittura ridicole, eppure ci sembrano non inutili, perché denotano un alto senso di civismo, di educazione, di proprietà, forniscono, proprio per rimanere nel tema, una prova di maturità. In questo caso, comunque, le studentesse, appaiono senz’altro favorite».

Nel 1968 siamo stati gli ultimi a sostenere l’esame di maturità classica alla vecchia maniera, quello secondo l’ordinamento di Gentile, ripristinato nel 1952 dal ministro Gonella: 5 scritti e 9 orali, praticamente l’intero programma.
Iniziammo martedì 2 luglio con il tema d’italiano, il primo su una frase di Berchet: “Rendetevi coevi al secolo vostro”, il secondo sui congressi di Vienna e di Versailles, il terzo su un testo di Leopardi intitolato “Piccolezza e grandezza dell’uomo”. Quali dei tre avrò scelto?
Mercoledì 3 luglio, versione di latino, poi greco, matematica… Ce ne fu per tutto il mese.

Il primo giorno, mentre eravamo davanti al liceo, in attesa di entrare, si avvicinò, assieme al fotografo, un giornalista del giornale di Genova “Il lavoro”, di cui fino a una settimana prima era stato direttore Sandro Pertini. Così rimasi immortalato nella foto apparsa il giorno seguente sulla cronaca di Firenze; una foto che non sono riuscito a ritrovare.
Un’altra foto dell’epoca dà ugualmente il senso di come eravamo…
Auguri alla nuova generazione!


giovedì 21 giugno 2018

Una terra d'oro



Camminando lungo la seconda loggia in Vaticano si attraversa il mondo intero: sulle pareti sono affrescati gigantesche carte geografiche di tutte le nazioni, ricche di dettagli.

Mi ha colpito quella della Terra Santa, l'unica interamente dipinta in oro.
Terra fortunata, scelta da Dio per venire tra noi.
Da allora tutte le nostre terre possono diventare d'oro, anche la nostra povera Italia.

mercoledì 20 giugno 2018

La lettera arrivata dopo 75 anni



La lettera che mio padre aveva scritto alla famiglia il 30 gennaio 1943 è appena arrivata a destinazione. Con 75 anni di ritardo ma è arrivata.
L’aveva scritta dalla Corsica dove si trovava per le operazioni di guerra. Di quel periodo avevamo soltanto una delle molte lettere che scriveva a casa, indirizzandole sempre alla mamma.
In questa del 30 gennaio mandava una foto che però è sparita.
Il ritrovamento della lettera è opera di Andrea Godi, mio cugino, appassionato di antichità.

È stato un tonfo al cuore vedere sulla busta la calligrafia del babbo, invariata lungo tutta la sua vita, mentre la lettera è scritta a macchina come ha sempre fatto. L’intestazione è tipica: Pace e Bene, WWW Cristo Re. E la firma: Leonello T[erziario] F[rancescano]


Sul periodo vissuto in Corsica ci ha lasciato un memoriale ricco di particolari, che si rilegge sempre con piacere. Più di 50 anni fa ha portato tutta la nostra famiglia su quei luoghi che gli erano diventati particolarmente cari. Quando ormai era anziano e ammalato sono stato io a portalo fino al santuario mariano de Lavasina, a tre chilometri da Bastia, dove da militare andava a pregare.
Perché questa è stata una costante di tutta la sua vita militare, trovare le chiese e i luoghi più santi dove poter andare a messa e pregare, e trovare gruppi di giovani con i quali condividere la sua fede.
Già da allora si esercitava a raccogliere e conservare nel cuore «una frase in una predica, un ricordo in una gita, un pensiero in un libro. C’è sempre qualcosa che si ricorda in modo particolare ed allora teniamolo in mente, ricordiamolo spesso».

Chissà che con questa lettera non voglia dire anche a noi di custodire in cuore le cose belle…


martedì 19 giugno 2018

Brutta e bella copia






A commento di quanto scritto ieri sulla saletta di Raffaello, mi è giunto il seguente messaggio:

Anche Raffaello faceva la brutta copia prima del capolavoro.
Anche Dio forse fa così con me, con tutti… Stiamo facendo la prova su questa terra.
Pensa come sarà quando ci scopriremo nella bella copia, finita, completa e immacolata…


lunedì 18 giugno 2018

Prove di colore di Raffaello


Quando devo andare nella Segreteria di Stato del Vaticano mi mettono in attesa in una stanzetta…
È un gioiello: completamente affrescata con grottesche e piccoli quadri paesaggistici.
In affetti sarebbero soltanto degli scarabocchi che Raffaello e i pittori della sua scuola tracciavano per provare i colori che avrebbero poi impiegato per affrescare le logge vaticane.
Per arrivare fin lì, proprio all’estremità del Palazzo apostolico, occorre percorrere la terza loggia, con le pareti dipende con le carte geografiche del mondo intero, e con le volte che obbligano a camminare col naso all’insù. Ma si possono percorrere anche la prima e la seconda loggia, ognuna in gara con l’altra…




Per rimettersi dallo stordimento di tanta bellezza, giunti nella “stanzetta” con le prove di colore di Raffaello, ci si può affacciare sul terrazzo… Allora viene proprio il capogiro, non per l’altezza, ma per lo spettacolo della piazza san Pietro e di tutta Roma che si para davanti.
Ogni tanto fa bene rifarsi gli occhi…


domenica 17 giugno 2018

Pensando ad Aix





Troppo bella la città.
Misteriose le sue vie sinuose.
Mistiche le testimonianze della sua fede.

sabato 16 giugno 2018

La forza del seme


«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4, 26-34).

I farisei e gli erodiani hanno già deciso di ucciderlo, i suoi familiari lo hanno preso per pazzo, gli scribi lo accusano di essere indemoniato. La missione di Gesù sem­bra fallita. Ecco allora che egli narra del Regno dei cieli che, nonostante le umili origini e le avversità, cresce e si espande in maniera miste­riosa ma certa.
Ricorda alla folla le leggi della natura, il parados­so del seme che porta frutto dopo essere stato seminato e morto nella terra. È la parabola della sua vita. Proprio nel momento in cui è incompreso, tradito, ucciso, egli dona la vita al mondo, spalancandolo verso il Regno dei cieli.

I discepoli se ne sono ricordati quando anche essi hanno preso ad annunciare la buona novella. Anche loro hanno sperimentato opposizioni, persecuzioni, fallimenti. Erano partiti pieni di coraggio e di entusiasmo, animati dal fuoco della Pentecoste. Poi hanno avvertito i propri limiti e la debolez­za, si sono spaventati davanti all’immensità della missione ricevu­ta: un pugno di persone semplici davanti a un impero potente e inespugnabile. Allora hanno capito la parabola.
«Ti basta la mia grazia», si sente dire l’apostolo Paolo, che ha finalmente compreso che proprio nella sua debolezza si trova la sua forza, perché in essa si manifestava pienamente la tua potenza (cf. 2 Cor 12, 9).

La parabola continua anche con noi. Il nostro annuncio e la nostra testimonianza spesso sembrano cadere su un terreno indifferente, quando non ostile. Il suolo è accidentato e inqui­nato da violenze, rapine, insulti, vilipendi, trivialità. A chi in­teressa ormai sentire parlare di Gesù e del suo vangelo? Sono ben altre le attrattive e le cose ritenute importanti: gli affari, la car­riera, il successo, la politica, gli hobby, gli acquisti.
E poi non c’è più tempo per ascoltare, c’è la palestra, la navigazione sul web, lo sport. Cresce o no il Regno di Dio? Il numero dei credenti è in regresso, le chiese si trasformano in negozi, i simboli religiosi sono banditi dai luoghi pubblici. Verrebbe da scoraggiarsi.

Per questo occorre continuare a narrare la parabola e ricordare che la vita nuova portata da Gesù ha in sé una inarrestabile forza intrin­seca. Dobbiamo certo seminare, ma i frutti non dipendono dal­la nostra intraprendenza: «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce».
La coscienza della nostra debolezza, piccolezza, inadeguatezza non può dunque fermarci. Non dob­biamo neppure preoccuparci se il terreno è buono oppure no, se accoglie o rifiuta il seme della Parola, se la società ci è favore­vole o avversa. Chi conosce il cuore dell’uomo?
Il Regno di Dio è “di Dio”, e noi crediamo che lo porta avanti Dio, per vie misteriose e infallibili.

venerdì 15 giugno 2018

Aix, geografia della salvezza e santità



Giorni fa ho riportato su questo blog l’invito di mons. Felix Machado a considerare come Dio si rivela non soltanto non soltanto nella “storia” della salvezza, ma anche nella “geografia” della salvezza.
Oggi leggo che un certo M. Barres, nel suo La colline inspirée (2005) scrive qualcosa di analogo: “Vi sono luoghi dove soffia lo spirito… Vi sono luoghi trascinano l’anima fuori dalla sua letargia, impregnati di mistero, scelto da tutta l’eternità per essere sede dell’emozione religiosa”.

Ogni volta che vengo a Aix mi piace lavorare nella stanza che fu di sant’Eugenio, lo sento come un luogo di Dio.
Mi pare di riascoltare il suo invito:
“In nome di Dio, siamo santi!”.
“Noi per prima dobbiamo essere decisamente santi”.
“Più sarete santi… più il bene si irradierà”.

“La santità – scriveva padre Jetté – appare negli scritti del Fondatore come la condizione sine qua non della vita degli Oblati. Un Oblato autentico è quello che ha davvero lasciato tutto per seguire Gesù Cristo e che, prima ancora di preoccuparsi dell’evangelizzazione, lavora seriamente per tutta la vita a diventare santo!”
Speriamo che questo luogo di Aix, oltre a essere ispiratore, sia luogo di grazia per vivere.


giovedì 14 giugno 2018

Ricordando Antonietta Stellato




Non si può venire a Aix senza fare un salto a Marsiglia a trovare sant’Eugenio. Così oggi pomeriggio sono stato sulla sua tomba, nella cattedrale.
Ma non si può andare a Marsiglia senza fare un salto a Notre Dame de la Garde. Così sono salito al santuario.
Una giornata di sole e di vento, bellissima, con sotto la città, il mare, le isoli, splendenti.



Ho portato con me una foto dell’ultima visita al santuario, due anni fa, il 26 luglio 2016. Una foto che ritrae un gruppo di COMI con le quali ero in pellegrinaggio al santuario. Al centro Maria Antonietta, che proprio ieri, giorno del suo onomastico, il Signore ha chiamato a sé.

Una donna discreta, sincera, limpidissima. Ricordo gli incontri personali, sempre essenziali, che tradivano una fede profonda. L’ho vista l’ultima volta a santa Maria Capua Vetere una ventina di giorni fa. 
Le sue ultime parole: “Dio ci fa nascere e poi ci chiama a sé", e qualche giorno prima, al parroco, P. Ciro: "Io sono pronta, sono felice”.

L’ho ricordata in un modo molto semplice, sedendomi al suo posto, sulla panca dove lei era seduta due anni fa e pregando per lei la Madonna, come lei ha fatto allora.


mercoledì 13 giugno 2018

E chi li ferma gli Oblati



Da alcuni giorni sono ad Aix, la patria degli Oblati. Ho rivisto l’antica foto che ritrae la nostra chiesa della Missione con il tram Aix-Marsiglia che passa davanti. La chiesa è chiusa al pubblico, sulla porta, come sulla porta di casa degli Oblati, vi sono manifesti pubblicitari. 
Gli Oblati sono stati espulsi dalla Francia nel 1880, grazie alle leggi anticlericali, ma sono rientrati dalla finestra. Sono andati ad abitare poco distanti, nella casa di campagna di sant’Eugenio, l’Enclos, dove si sono portati i “tesori di famiglia”, l’altare dei voti e la statua dell’Immacolata. Da lì prestavano servizio alla vicina chiesa di Notre-Dame de la Seds. La chiesa della Missione restava sigillata, ma gli Oblati e la gente passavano dal chiostro ed entravano in chiesa per la messa.

Con la seconda espulsione del 1903 gli Oblati fecero in tempo a mandare a Roma l’altare dei voti e la statua dell’Immacolata e andarono ad abitare, come semplici cittadini, poco distante, al n. 39 in via Cardinal, mantenendo viva la presenza oblata in città.

Soltanto dopo la guerra, il 14 settembre 1921 gli Oblati tornarono nella loro casa e poterono riaprire la chiesa l’11 luglio 1922, con una grande celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Aix.
Non ci ferma nessuno…


martedì 12 giugno 2018

La mia bella coetanea



Domenica sono stato a trovare una mia bellissima coetanea! La Costituzione italiana.
In un tempo nel quale alcuni politici dicono una cosa e due ore dopo il contrario, fa bene andare a rivedere il nostro testo che rimane immutato e dà stabilità alla nostra traballante società italiana.
A Palazzo Giustiniani è stata aperta per una settimana una mostra che ha ricordato il processo di scrittura della Costituzione, con le varie proposte di articoli firmate dai nostri grandi uomini di un tempo. Esposti anche le Costituzioni precedenti dei vari Stati italiani, a cominciare dallo Statuto Albertino. Il tutto con documentazione degli ultimi 200 anni di storia d’Italia. Un tuffo tonificante nel passato alle nostre radici identitarie.
Dà un grande senso di serenità e di sicurezza entrare nella piccola biblioteca e vedere il tavolo dove i nostri De Nicola, Terracini, De Gasperi apposero le loro firma alla Costituzione.


Palazzo Giustiniani. Merita essere visitato per la sua sobria bellezza. Costruito nel 1500 è passato a sede dell’ambasciata russa presso il Papa, a sede della Massoneria, fino all’attuale presidenza del Senato, dove sono ospitati anche gli uffici dei senatori a vita.
Rispetto per le istituzioni! Costudiscono la vita civile di un Paese.


lunedì 11 giugno 2018

Maria nel cenacolo



Trinità dei Monti: ultimo incontro, bellissimo come sempre, che si è concluso sulla terrazza dei due campanili, con una visione di Roma straordinaria. Siamo un piccolo gruppo, una ventina, ma si crea una tale comunione che siamo penetrati da una gioia profonda.
Questa volta ho tenuto io la meditazione, su Maria nel cenacolo.

Se leggiamo gli Atti degli Apostoli, la presenza di Maria nel cenacolo appare piuttosto marginale, viene nominata senza affidarle darle particolare rilievo e senza riconoscerle un particolare ruolo. Al centro appare indubbiamente Pietro, che da subito appare colui al quale il Signore risorto ha affidato il compito di pascere il gregge (cf. Gv 21, 16-17). È il primo nell’elenco dei presenti ed è colui che si alza in piedi in mezzo ai fratelli per proporre la sostituzione di Giuda (At 1, 13. 15).
Se guardiamo l’iconografia che per secoli ha accompagnato la riflessione e la preghiera della Chiesa, al centro del cenacolo non è collocato Pietro, ma Maria con gli apostoli che le fanno corona, affidando a lei il primato nella Chiesa nascente. A lei è riservato “il primo posto”, per usare le parole del Concilio Vaticano II (cf. Lumen gentium 63).

Sembra esservi una dicotomia tra il dato scritturistico, secondo il quale è Pietro a “presiedere” il cenacolo, e quello della tradizione, che dà a Maria il primato. Sono due prospettive complementari, che esprimo la dimensione gerarchica e carismatica della nascente comunità. Si staglia il “profilo mariano” della Chiesa così vigorosamente messo in luce da Giovanni Paolo II, che segue l’insegnamento di Hans Ur von Balthasar. A Pietro, Primo degli Apostoli, è affidato il compito di confermare nella fede in Gesù (cf. Lc 22, 31-33), l’universale servizio pastorale (cf. Mt 16, 13-20; Gv 21, 15-19), il Memoriale eucaristico, per rendere presente nei tempi della Chiesa la Pasqua di Cristo. A Maria il compito di accogliere il dono di Dio e di farlo fruttificare nella fedeltà dell’amore, personificazione della Chiesa senza macchia né ruga, santa ed immacolata (cf. Ef 5, 25-33).


Nel documento sulla donna, Mulieris dignitatem, Giovanni Paolo II ha scritto: «Si può dire che la Chiesa è insieme “mariana” e “apostolico-petrina”» (n. 27). In una lunga nota il Papa esplicita:
Questo profilo mariano è altrettanto – se non lo è di più – fondamentale e caratterizzante per la Chiesa quanto il profilo apostolico e petrino, al quale è profondamente unito (…) la dimensione mariana della Chiesa antecede quella petrina, pur essendole strettamente unita e complementare. Maria, l’Immacolata, precede ogni altro, e, ovviamente, lo stesso Pietro e gli apostoli, non solo perché provenendo dalla massa del genere umano che nasce sotto il peccato, fanno parte della Chiesa "sancta ex peccatoribus", ma anche perché il loro triplice munus non mira ad altro che a formare la Chiesa in quell’ideale di santità che è già preformato e prefigurato in Maria. Come bene ha detto un teologo contemporaneo, “Maria è regina degli apostoli, senza pretendere per sé i poteri apostolici. Essa ha altro e di più”. (H. U. von Balthasar, Neue Klarstellungen, trad. ital., Milano 1980, p. 181) (nota 55).
Il principio mariano fa ricordare che la Chiesa è edificata non soltanto sugli apostoli ma anche sui profeti (cf. Ef 2, 20) e manifesta un aspetto carismatico, spirituale, di santità, di cui il ministero apostolico è a servizio.


Con alcuni dei partecipanti
Il chiostro di Trinità dei Monti
Possiamo allora intuire il compito di Maria tra i discepoli nel cenacolo. Gesù aveva chiamato i suoi “amici” e li considerava tale personalmente, uno per uno, a cominciare da Giuda. Amici del Signore avrebbero dovuto diventare amici tra di loro. Fratelli lo siamo per nascita, amici lo si diventa per scelta e l’amicizia esige un cammino a volte lungo e faticoso. Maria, grazie al modo unico con cui ai piedi della croce aveva condiviso la passione del Figlio, fino ad essere partecipe della sua redenzione come “socia” (cf. Lumen gentium, 61), è diventata un altro Cristo, in pienezza; nessuno può dire meglio di lei: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
In una maniera del tutto sua, carismatica, ella è presenza di Gesù nel cenacolo, dove è diventata Madre della Chiesa. Nel cenacolo la sua famiglia è riunita attorno a lei, come attorno alla madre. La sua presenza, forse silenziosa, aiuta i discepoli a riconoscersi fratelli, a vivere l’amore reciproco comandato da Gesù pochi giorni prima, a rendere presente l’unità che egli aveva chiesto al Padre, a diventare amici in un’autentica fraternità agapica. Il cenacolo è il primo luogo dove la Madre di Gesù esercita la sua maternità ecclesiale. Da allora ella vive nella comunità dei credenti di tutti i tempi, è presente come la madre di Gesù dovunque ci siano discepoli del Signore, in ogni luogo dove donne e uomini si radunano per essere testimoni del Risorto.