Il
nostro “pellegrinaggio alle sorgenti” con gli Indù, iniziato a Tonadico sui
luoghi dell’esperienza di Chiara del 1949, è terminato alla sua casa e sulla
sua tomba.
La
visita alla casa è stata un’immersione nel soprannaturale, quasi la
condivisione della sua scelta di Dio continuata e approfondita lungo tutta la
vita. Il suo ultimo messaggio, dato tre giorni prima della morte, risuona
ancora con forza: “Sempre in Dio”.
Nella
cappella del Centro dell’Opera di Maria, alla tomba di Chiara, si è creato quel
silenzio pieno di cui gli indiani sono maestri, espresso poi in preghiera e
canto. Nel mosaico con la nuova Pentecoste del Concilio Vaticano II, a qualcuno
è sembrato di vedere, in Maria madre della Chiesa, una dissolvenza che mostrava
Chiara.
L’esperienza
mistica di Chiara parla a loro come a poche altre persone. Sono, come ho già
scritto, persone di alto profilo nel mondo indù, e rappresentano le diverse
espressioni dell’induismo, da quella più intellettuale a quella più devozionale
a quella più sociale. Tutti continuano ad affermare, con loro stessa
meraviglia, che qui hanno trovato un’altissima spiritualità, la risposta al
bisogno del divino… Noi pensiamo all’India come a uno dei luoghi dove la
mistica ha raggiungo il massimo e quanti occidentali vanno lì per trovare i
grandi uomini spirituali, capaci di introdurre nella sapienza. E loro invece
vengono qui per cercare Chiara, per leggere insieme con noi i suoi testi
mistici, e trovano l’ispirazione per la loro vita. Forse non apprezziamo
adeguatamente quanto possediamo.
Una
di loro si è così espressa: “Non sono venuta come professoressa di cultura
indiana. L’intelletto non è tutto. Questo è l’inizio di una trasformazione.
Sono grata a Dio per questo squarcio di luce e voglio crescere in questa
spiritualità”.
Un
rappresentante della religione Bahai: “Venire alla sorgente ci ricorda che la strada
è piena di pietre, ma la fatica è ricompensata. In un momento in cui il mondo
sta sperimentando energie distruttive questa unità è come un atomo che ha una
grande potenza. In ogni creatura vi è il seme dell’unità. In questi giorni non
siamo solo diventati buoni amici, ma siamo stati riempiti di energie”.
Siamo
quindi saliti nell’Aula della Scuola Abbà. Ognuno di loro si è seduto attorno
al tavolo provando una gioia indicibile e sentendosi grandemente onorati: è
come fossero stati introdotti in un ambiente sacro.
Uno
dei frutti non indifferente del pellegrinaggio è stata una maggiore fraternità
e comunione tra i rappresentanti delle diverse correnti Indù. È quanto accader
quando tra noi ci troviamo insieme tra luterani, anglicani, cattolici,
ortodossi. Come ha detto uno di loro “Il nostro pellegrinaggio era alle
sorgenti. La nostra anima ha davvero trovato le sorgenti. Vivere insieme in
questi giorni ci ha portato a sperimentare nell’unità che la nostra Fondatrice vuole
da noi. Siamo da diverse parti dell’India e lavoreremo insieme per portare l’unità.
Siamo felici e ispirati perché abbiamo capito cos’è l’amore”.
Al
termine del nostro pellegrinaggio ripenso ai nostri grandi Bede Griffith, Henri
Le Saux e altri cristiani che sono andati in India per tentare di ripensare il
cristianesimo con le categorie indù. Li ho sempre ammirati e compatiti.
Ammirati perché sono stati dei profeti e hanno tentato l’intentabile. Compatiti
perché hanno tentato un’impresa impossibile, che ha condotto alcuni di loro
sull’orlo della pazzia. Il nostro cammino è completamente diverso. Abbiamo
capito che non saremo noi a ripensare il cristianesimo in categorie orientali,
ma saranno gli Indù stessi a pensare il messaggio di Gesù nelle loro categorie.
È un cammino che facciamo insieme con loro.
Nessun commento:
Posta un commento