venerdì 15 luglio 2022

Giuseppe Leonardi: 100 anni

16 luglio, festa della Madonna del Carmine. Per il mondo focolarino è la data che ricorda – c’entra sicuramente la Madonna! – l’esperienza mistica di Chiara Lubich, il Paradiso ’49, iniziata proprio il 16 luglio 1949. Su quel 16 luglio ho scritto un libretto, Viaggiando il Paradiso, ora tradotto anche in coreano!

Allora quest’anno posso festeggiare il 16 luglio ricordando un altro amico, p. Giuseppe Leonardi, Pallottino, di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita. Tra i focolarini rimarrà sempre quello che con p. Giuseppe Savastano e p. Eugenio Proietti regalò a Chiara il primo magnetofono a filo metallico: un fatto che segnò l’inizio di una nuova tappa nella storia del Movimento: le conversazioni registrate della fondatrice… Nel volume appena edito delle lettere, leggiamo quella che Chiara Lubich indirizzò ai tre il 14 gennaio 1955 per ringraziarli del regalo natalizio. Cosa posso donare in contraccambio? si domanda. E dice loro: “Per il focolaretto di via Ferrari [i tre vivevano allora insieme] non ho altro da donare che il mio Ideale che grazie a Dio si può donare e ridonare”.

Ho avuto la gioia di ascoltare l’ultima confessione di p. Leonardi, subito prima della sua morte. Quante cose potremmo ricordare di lui. A cominciare dalla fondazione della “Quinta dimensione”, un’associazione nata dal suo insegnamento al Liceo Mamiani. Riporto soltanto uno stralcio di una conversazione nella quale, 28 anni fa, ci raccontò la sua vocazione.

Il mio nome è Giuseppe. Ho 72 anni, quasi. Mia mamma mi ha concepito a via della Scala n. 72. in un appartamento. Faceva la lavandaia. Eravamo poveri. Con me in pancia è andata qualche volta a san Salvatore in onda. A distanza di 72 anni sono tornato a san Salvatore in onda come Consultore generale dell’Istituto Pallottini, san Vincenzo Pallotti.

Qualche mese fa, nell’andare sempre a via della Scala n. 72, a guardare quel quinto piano, ho visto che tutti i palazzi di via della Scala, del quartiere di Trastevere, hanno tutti una lapide: proprietà di Francerchetti Antonio, proprietà di…, proprietà di… Non si sa perché al mio palazzo, dove sono nato, c’è un’immagine della Madonna con un bambino e c’è scritto: Proprietà di G.A. Punto e basta! 

Ho 72 anni, nato da genitori sabini, figlio di emigranti, ho vissuto in famiglia fino alla seconda guerra mondiale. Ho fatto studi modesti interrotti a 17 anni per andare, unitamente a mia sorella, a lavorare per aiutare mio padre rimasto senza lavoro. Giuseppe lo zingaro, ero.

Nel frattempo, con l’aiuto di un parroco della parrocchia dove mia mamma si era trasferita (e quando s’è trasferita non c’era né la parrocchia, né l’istituto di quella parrocchia di cui poi sono diventato parroco), feci lo studio del latino, per interessamento di una anziana signora di nome Filippa che ogni mattina prima di andare a lavorare accompagnavo davanti alla porta della chiesa. E mi disse un giorno: “Ma perché non ti fai prete?” E io le dissi: “E perché no?”. E la frase rimase così. Camminò questa frase per conto suo. Un bel giorno mi chiamò un superiore che era il provinciale: “Ma è vero che tu ti vuoi fare prete?" E io gli ho detto sì. Pensate che vocazione! “Allora – dice – si parte dopo domani per il noviziato”.

Il noviziato, lo studentato furono molto sofferti e per la guerra e per le difficoltà che incontrai nello studio: non avevo fatto studi classici. Ragione per cui, dopo aver fatto il noviziato, prima mi mandarono a studiare alla Gregoriana, poi mi rimandarono a casa perché mi dissero: “Lei non è fatto per farsi prete, non ha i titoli sufficienti”. La mattina! La sera venne il p. Bouyer, prefetto degli studi, e dice: “Ci abbiamo ripensato”. E incominciai a studiare. Non sapevo latino, non sapevo niente. Tutti i miei studi sono stati una sofferenza.

Benché fossi di costituzione robusta ero però labile nel sistema nervoso e lo sono sempre stato, mi conoscono tutti, e ho sempre sofferto di frequenti esaurimenti. Sentivo però una misteriosa presenza, di qualcuno, che non era concettualmente definibile, che non ha mai mollato nel portarmi avanti, sennò non sarei qui ora.

Due sono i momenti difficili della mia vita sacerdotale, ma riguardavano più la modalità di viverla. La prima. Un anno e mezzo dopo la mia ordinazione sacerdotale non riuscivo a trovare la cassa armonica per far risuonare la mia vita sacerdotale. Mi sembrava una corda di violino stridula. Però stranamente non ho mai smesso di suonarla. Volete sapere chi è p. Leopardi? Un clown. Che se poi va a confessarsi e dice al confessore che è tanto triste, e lui gli dice: “Ti vorrei far conoscere un clown”. “Chi è”. “Padre Leonardi”. “Ma guardi che sono io quel clown…”, tanto per intenderci.

Non ho però mai smesso di suonarla quella corda stridula. Strano, io sono l’uomo della barzelletta. Fino all’ultima, ieri che a un prete a tavola l’ho fatto quasi non mangiare più, perché gli ho detto: “Sai che differenza passa fra un prete e un poliziotto?”. Dice: “No”. Il prete dice: “Il Signore sia con voi” e il poliziotto dice, “Signore venga con noi”.

Non ho però mai smesso di suonarla. M’era sembrato di essere entrato in una gabbia, come un topolino che vede il formaggio: gli si è chiusa la gabbia. Non mi potevo muore. Mi presi un esaurimento e mia mamma mi portò a Lourdes. Quando mi misi dentro la vasca chiesi alla Madonna: “Fammi conoscere la via. Ma io non posso vivere così il sacerdozio: Io sono nato in mezzo alla strada e qui mi tocca stare così…”. Poi lo ripetevo ogni giorno davanti a una statua della Madonna di Lourdes.

Tornai da Lourdes e il provinciale mi disse, “Dato che ci sono gli esercizi spirituali perché non ti dividi con il tuo confratello gli otto giorni e i primi quattro li fa lui e i secondi quattro li fai tu. Arrivo negli ultimi quattro giorni degli esercizi e io entro in cappella e c’era un padre Domenicano, che stranamente si chiamava p. Salvatore Bonocore. Andai davanti a un grande crocifisso e gli dissi: “Gesù, o la va o la spacca”. Allora io andai da questo padre Domenicano e gli raccontai la mia storia molto semplice, che possiamo definire, fino a quel momento, senza capo né coda. E lui sorrideva sempre, come se io dicessi chissà quale contemplazione mistica. Alla fine mi fa: “Io ho una soluzione per lei”. “E che cosa?”. “Un numero telefonico”. “Cosa?”. Io pensavo che fosse una battuta. “E cosa devo fare?”. “Farlo”. “E chi mi risponde?”. “Eh, eh, tutta lì è la realtà…!”.

Erano finiti gli esercizi, era l’ultimo giorno, con questo numero sempre in mano... Il giorno dopo andai nell’Istituto e c’era un solo telefono a quei tempi e cominciai a fare questo numero e sento rispondere, una voce che già fece scattare. Dice: “Chi desidera?”. “Ma veramente non lo so”. E dice: “Come non lo sa? E perché allora lei telefona? – ma era una voce vivace. “Veramente me l’ha dato un padre domenicano che si chiama Salvatore Bonocore”. “Ah, ho capito”. E poi mi fa: “Dove ci possiamo incontrare?” Voce femminile, non sapevo chi erano: dove ci possiamo incontrare…  l’ambiente che avevamo una volta… “Dove vuole lei, non so”. Sentivo che sfogliava una agendina: “Ci incontreremo alla redazione della rivista La Via, Piazza Poli n. 11”. Io tutto contento… Rimasi con la cornetta così perché nell’anima mi cantava quella parola che m’aveva detto questa ragazza: La Via.

Era la preghiera che io dicevo ogni giorno alla Madonna: Fammi conoscere la via per vivere il mio sacerdozio, e che a dire la verità non era la crisi del sacerdozio, ma nel sacerdozio.

Ero sempre il tipo che dicevo sempre di sì. Non vedevo l’ora di arrivare a piazza Poli n. 11. E difatti vidi Giordani che stava sopra la cattedra, e la Gis… Allora un sorriso mi accolse: “Ci conosce?”. “No”. “Allora si sieda là”. Io fermo solo sul titolo: La ViaLa ViaLa Via. Guardavo. Non si sa com’è avvertivo una presenza, il mistero. Dopo un po’ chi vedo arrivare? Una bionda tutto sprint: “Mi, son Graziella”. “Mi”. “Io, p. Giuseppe”. “Bene, vogliamo andare di là?”. Andiamo di là. Io non sapevo niente, zero. E mi fa entrare in una stanza dove c’era una grande riproduzione fotografica della Pietà di Michelangelo. Mi guarda. Allora io sentii di dirgli – che strana domanda – “Lei poteva ricevermi da un’altra parte di Roma?”. “Sì”. “Ma non so proprio perché mi ha ricevuto qui, dove c'è una parola che fa parte di una preghiera che da un anno rivolto alla Madonna: Fammi conoscere la via”. Non si mostrò sorpresa, sorrise, si vede che erano abituati a queste forme belle.

Poi dice: “Senta, lei adesso mi fa una bella unità – parola che io non capii – che adesso io le racconto una storia”. E cominciò: “Erano tempi di guerra e intorno a noi tutto crollava…”. Mentre lei parlava tutto crollava e la freccia di Cupido che mi ha colpito è stata la frase “Qualunque cosa fai al più piccolo dei miei fratelli lo fai a me”. Quella frase mi è entrata dentro, fino al punto che ho capito che ogni telefonata era lui, ogni persona era lui.

Il giorno dopo telefono a Graziella per dirle quello che era successo. Avevo subito capito la reciprocità, che la luce va data. Faccio il numero e sento: “Pronto, con chi parlo? Mi son Chiara”. “Veramente io vorrei Graziella”. Dopo ho capito che c’era una realtà comunitaria, lì santi non ci si faceva soli, ma insieme. Da allora. siccome sono stato sempre un po’ gracilino nell’Ideale, ho avuto sempre la cura particolare di Chiara per tenermi in piedi. Io ho sempre sentito Maria nella presenza di Chiara, come una mano che frenava gli assalti del demonio. Nel mio quartiere si diceva: “Proletari unitevi”. Ora per me si levava un altro grido: “Peccatori unitevi”, perché avevo sentito che finché siamo uniti e c’è Gesù…

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