Che vergogna e che
paura quel giorno. E che immensa felicità. Una bufera di sentimenti
contrastanti. Mi sentii guarita all’istante. Mi sentii bene nel corpo e nel
cuore, come non lo ero mai stata prima d’allora. Un attimo di gioia piena,
densa. Ero sazia. Ma fu un attimo. Subentrò subito la paura e la vergogna.
Sentii infatti il Maestro che diceva: “Qualcuno mi ha toccato”. Non mi ero
fatta notare e speravo che nessuno mi avrebbe notato. C’era tanta gente, chi
avrebbe badato a me, una delle tante. A me bastava toccare le frange del suo
mantello.
Neanche Lui se ne
sarebbe accorto. Da tanto volevo incontrarlo. Ma mi vergognavo. La Legge diceva
che le continue perdite di sangue mi rendevano impura. Come avrei potuto
incontrarlo? Toccarlo poi sarebbe stato impensabile. Lo avrei contaminato. Da
anni le mie energie se ne andavano col sangue. Se n’erano andati anche i beni
di famiglia per le cure lunghe, dolorose, inutili. L’emorragia non si arrestava
e tornava regolare a svuotarmi le vene. Se solo potessi toccarlo, mi dicevo.
Aveva sanato i lebbrosi, non poteva sanare anche me, immonda come una lebbrosa?
Pregavo, come ci ha insegnato il nostro padre David: “A te, mio Dio, m’abbandono.
Nel tuo amore ricordati di me. In te è la fonte della vita”. E Lui s’è
ricordato di me e m’ha aperto la fonte della vita.
I discepoli
sembravano infastiditi dalla domanda del Maestro. “Come chi ti ha toccato? Non
vedi che tutti ti sono addosso… Cerchiamo di fare del nostro meglio per proteggerti,
ma non ne possiamo contro tanto entusiasmo”.
Io lo sapevo che
cercava me. Al mio tocco s’era aperta la fonte della vita. L’aveva sentita
quella forza risanatrice che da Lui era uscita e che mi aveva investito. Cos’ho
fatto mai, mi dissi, come ho osato… Non potevo più nascondermi. Sapevo che Lui
sapeva. Non mi rimase che cadere ai suoi piedi, timorosa più dei suoi seguaci
che del Maestro.
“Figlia, la tua
fede ti ha salvato; va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
La gioia mi
avvampò il volto. Ero guarita, sì, ero guarita. L’avevo sentito. Ma con quelle
parole il Maestro mi svelava una guarigione più profonda. M’aveva salvato per sempre.
“Figlia”, mi aveva chiamato figlia. Mi aveva dato la vita vera. La salute me
l’ha donata ormai da quasi vent’anni e mi durerà ancora per quanto lui vorrà.
Ma la salvezza me l’ha data per sempre: è il Padre mio per sempre, m’ha dato la
vita vera. La salute del corpo, a me donata come a tanti altri incontrati lungo
la sua strada, era soltanto il segno d’un’altra salute. Figlia!, mi chiamò
figlia, sono la figlia sua.
(Fabio Ciardi, Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao, Città Nuova, Roma 2007)
Grazie, padre Fabio, è bellissimo! Cercherò di leggere il testo da cui è tratto
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