È ancora molto fresco, quando arriviamo al porto di
Dublino, anche se si annuncia una bella giornata assolata. Appena il ferry è in
vista leggo ad alta voce il nome “Ulysses”. E subito Louis: “L’Ulisse di James Joyce, naturalmente”. “Sarà piuttosto l’Ulisse di
Omero”. Quale Omero?
Bastano questi piccoli insignificanti episodi per
capire le differenze culturali. Per me Ulisse richiama subito l’eroe
dell’Odissea, per un irlandese richiama subito Joyce. Infatti ha ragione Louis:
nel salone principale della nave campeggia il ritratto di James Joyce…
Tre ore e mezzo di navigazione su un mare abbastanza
calmo nonostante il forte vento, sotto un cielo di sole. Il mare. Il mare è
sempre il mare. Non finisce mai di incantare. Non è mai lo stesso. Anche se mi
torna alla mente la famosa frase di Victor Hugo nei Miserabili: “C’è uno
spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo, c’è uno spettacolo più
grandioso del cielo, ed è l’interno di un'anima”.
Sbarchiamo
a Holyhead, nell’isola di Anglesey, separata dal resto del Galles da uno
stretto braccio di mare. Altre tre ore di auto attraverso i parchi e le verdi colline
del Galles, che lasciano infine il posto alle fertili campagne dell’Inghilterra.
Giungiamo
finalmente a Crewe, o meglio a Wistaston, in una antica casa del 1600,
costruita sulle fondamenta di una precedente casa del 1200. Gli Oblati vi sono
arrivati nel 1920, l’hanno trasformata in un centro missionario per tutta la
regione e adesso in casa di incontri e di ritiri. Attorno un parco che invita
al silenzio e alla meditazione. Trovo qui gli Oblati della Gran Bretagna e dell’Irlanda,
riuniti per il loro congresso annuale…
E
a proposito di James Joyce, è lui che ha detto: “Quando hai una cosa, questa può
esserti tolta. Quanto tu la dai, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare. E
allora è tua per sempre.”
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