Oggi
al Santuario del Gran Sasso si è celebrato il 150° anniversario della morte di
San Gabriele dell’Addolorata. Quando, in occasione dell’inizio del processo di beatificazione, si
aprì la tomba del giovane Passionista per portare via il suo corpo (il convento
nel quale aveva abitato era ormai chiuso), i contadini dei dintorni corsero
alla chiesa armarti di forconi e impedirono il trasferimento del loro
“fraticello santo”. Gabriele era ormai abruzzese e doveva rimanere per sempre
ai piedi del Gran Sasso, nella sua terra di elezione per volere di Dio. I
Passionisti dovettero cambiare progetto: invece di portare via la salma del
futuro santo fecero ritorno al loro vecchio convento dove innalzarono il
santuario.
Il
“ballerino”, come lo chiamavano a Spoleto, era sempre
elegante, brillante, animatore delle feste. Quando sentì l’appello di Gesù
lasciò tutto e lo seguì. Aveva 18 anni. Risultato? Scrive a casa: «La mia vita è una continua gioia; la
contentezza che provo dentro queste sacre mura è quasi indicibile;
le 24 ore della giornata mi sembrano 24 brevi istanti; davvero la mia vita è
piena di gioia».
Che differenza con il giovane ricco di
cui ci ha parlato oggi il Vangelo.
Stesso incontro con Gesù, stessa
chiamata. Ma quale diverso esito. Il giovane del Vangelo non lascia e se ne va
triste; Gabriele lascia tutto e trova la gioia.
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