venerdì 26 aprile 2013

I missionari ci sono ancora (e sono felici)


Dove sono finiti i missionari di una volta, quelli che partivano per Paesi lontani e difficili, che stavano accanto alla gente, quelli ai quali mandavamo gli aiuti perché eravamo sicuri che sarebbero arrivati direttamente ai poveri senza perdersi nei rivoli della burocrazia o della corruzione? Quei missionari leggendari e dall’alone romantico… ci sono ancora. Non sono né leggendari né vivono in un mondo d’avventura, ma continuano ad essere presenti tra gli ultimi della terra, condividendo con loro beni, incertezze, speranze. Ne incontro molti nei miei frequenti viaggi.
Nel più recente, giungo ad Antsirabe, cittadina ariosa e piena di verde sugli altipiani del Madagascar: poche auto, numerosi carri con i buoi, ancora più numerosi  i “pouss-pouss” (risciò locali trainati da uomini che corrono veloci a piedi nudi), frotte di persone che si muovono a piedi in file interminabili ai margini della lunga strada che attraversa la cittadina… e una prigione con cinquecento carcerati. Incontro una comunità di Suore Francescane Missionarie: una polacca, una zairese, due malgasce. Mi parlano dei carcerati e delle condizioni disumane in cui vivono. Le famiglie devono provvedere loro il cibo quotidiano, ma metà dei detenuti non hanno famiglia o abita in villaggi lontani. A turno le cinque comunità di missionari e missionarie della città ogni giorno vanno alla prigione e servono duecento cinquanta pasti. Le suore che mi ospitano coltivano un grande orto a questo scopo e si industriano in mille modi per preparare i loro duecento cinquanta pasti a settimana.
Tamatave, cittadina sul litorale. Il clima e l’ambiente cambiano drasticamente rispetto all’altopiano: caldo opprimente, paludismo... I missionari Oblati partono a piedi, più volte all’anno, per tournée di un mese nei villaggi rurali dell’interno, attraversando acquitrini e andando incontro a malaria e parassiti… Mi colpisce il loro “apostolato del mare”, rivolto ai pescatori, una delle classi più povere. Le grandi navi della Cina pescano con sistemi industriali; ai pescatori tradizionali rimane ben poco pesce. Con le loro fragili piroghe sono obbligati ad inoltrarsi sempre più al largo, con sempre maggiori pericoli. I missionari riescono a rifornire ad ogni pescatore nuove imbarcazioni, giubbotti salvagenti, reti. Organizzano per loro incontri di formazione, sostengono le famiglie, gestiscono mense per i bambini... Lavoro capillare, semplice, che dà dignità, sicurezza…
I missionari di oggi, come quelli di una volta, danno e si danno. Cosa ricevono in contraccambio? Una gioia, che leggo sul volto di ognuno di loro.

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