giovedì 11 novembre 2010

Senza passato non c’è futuro

Continuo a ricevere e-mail nelle quali mi si chiede che sto facendo in giro per il mondo. La risposta è semplice, mi sto preparando al nuovo lavoro. Forse possiamo leggere insieme l'editoriale del numero di Ottobre di "Missioni OMI"

Ancora due numeri e poi la Rivista passerà in altre mani. Non sarò più il direttore di Missioni OMI, ma sarò comunque un… direttore. Sono stato infatti nominato “Direttore delle ricerche e degli studi oblati”. Ha a che fare questo con la nostra rivista e i suoi lettori? Penso proprio di sì. Provo a spiegarlo.
Sono ormai passati 150 anni dalla morte di sant’Eugenio de Mazenod, il Fondatore dei Missionari Oblati. L’opera missionaria, a cui egli aveva dato vita, si era ormai diffusa in quattro continenti. La grazia propulsiva delle origini non sarebbe più venuta meno e presto avrebbe spinto i missionari nel mondo intero. Ancora oggi gli Oblati continuano ad annunciare il Vangelo e a riunire le genti attorno a Cristo Gesù. Il Capitolo generale della Congregazione, appena concluso, è stata una ulteriore conferma della vitalità di questo grande albero che sant’Eugenio ha piantato nel 1816 e che ora ha esteso i suoi rami nelle più diverse nazioni. Se è vero che la vitalità di un albero dipende dalle sue radici ciò vale anche per una Famiglia religiosa. Gli Oblati, come ogni altro gruppo sociale, lavorano con impegno, su tanti fronti, ma a un certo momento viene inevitabile la domanda: perché lavoriamo, il metodo è quello più adeguato, stiamo andando nella direzione giusta? Per non dire degli interrogativi più “metafisici” che possono sorgere: chi siamo noi nella Chiesa, qual è lo scopo della nostra vita? È allora che si sente il bisogno di tornare alle origini, di andare alla radice, di ritrovare l’ispirazione iniziale e insieme si sente il bisogno di far fiorire nel mondo oggi l’idealità iniziale con nuova creatività. Guai a perdere le proprie radici, ne sarebbe a rischio la propria identità!
In questo momento della storia degli Oblati c’è bisogno di una nuova generazione di studiosi e di ricercatori, soprattutto in Asia, Africa e Sud America, per creare nuove e rinnovate espressioni della missione oblata in una Chiesa postconciliare.
Per questo la necessità di un servizio che coordini le diverse iniziative di studio e di ricerca già esistenti e che promuova la collaborazione e l’interscambio nel mondo globalizzato degli Oblati. Ci sono poi tanti istituti secolari e religiosi, come pure tanti laici, che hanno le loro radici nel carisma oblato; anche quelli occorrerà coinvolgere in un comune progetto carismatico e missionario. Sarà questo il mio compito. E chissà che qualche lettore della rivista non senta la vocazione allo studio e alla ricerca in questo campo.

Ma il tema delle radici vale un po’ per tutti. Una componente fondamentale per la salute e l’unità di qualsiasi famiglia è quella di saper raccontare la storia dei genitori, dei nonni, dei bisnonni, degli zii. Si è orfani e soli, senza una storia da raccontare, senza una piccola “epopea familiare” di cui sentirsi parte ed eredi. Ancora di più tutto ciò vale per il nostro essere cristiani. Ogni domenica celebriamo il “memoriale” della cena del Signore, un autentico ritorno alle radici della nostra vita: riviviamo il mistero della morte di Gesù e della sua risurrezione, ne siamo coinvolti, ne diventiamo protagonisti, co-attori. Ogni giorno dovremmo prendere in mano il Vangelo e leggere anche soltanto poche righe, quanto basta per riprendere contatto con le radici, con la Radice, la Vigna, di cui noi siamo i tralci. Come essere cristiani senza andare alle fonti della nostra fede? Non rischiamo di perdere la nostra identità?
L’ottobre missionario ci ricorda che non si può annunciare Cristo se non si è radicati in lui, se in noi non sale la sua linfa di vita. Allora… in profondità nel nostro humus vitale!

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