“Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!”. Nella seconda lettura di questa domenica l’apostolo Paolo rivela il grande imperativo che lo ha incalzato per tutta la vita.
È come Gesù, che il Vangelo mostra costantemente in viaggio per città e
villaggi ad annunciare il Regno di Dio (cf. Lc 8, 1-3). Non ha dove posare il
capo (cf. Lc 9, 58), a volte non ha neppure tempo di mangiare (cf. Mc 6, 31). È
come il pastore della parabola, che va in cerca della pecora smarrita. Rende
visibile l’amore del Padre e lo concretizza nel proprio comportamento. In lui
tutti possono incontrare il perdono di Dio, sperimentare l’amore personale del
Padre. Ha una predilezione per i poveri, i bambini, le donne, mangia con i
peccatori e perdona i loro peccati, guarisce gli ammalati, caccia i demoni,
ridona vita ai morti… Passa facendo del bene a tutti (cf. At 10, 37-38).
Ma come “annunciare” il Vangelo?
Ecco il segreto di Paolo: “Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo
di tutti per guadagnarne il maggior numero”.
Un amore disinteressato? No, un amore interessato! Un amore che vuole "conquistare" non per accrescere il proprio prestigio o chissà quale
interesse personale. A Paolo interessa veramente l’altro, nella convinzione che soltanto
se l’altro giunge ad amare con lo stesso amore con cui gli faccio capire che è amato da Dio - è questo l'annuncio della nuova novella che non possiamo tacere -, si
realizza pienamente come persona: è questo quello che Paolo vuole, la felicità
dell’altro.
Non importa se l’altro entra nella Chiesa, nel mio Movimento. Quello che importa è che l’altro impari ad amare, a donarsi a sua volta, perché solo così raggiunge la sua piena umanità, compie il disegno per cui è creato.
E se
l’altro non risponde?
Amo lo stesso, perché è dell’amore amare.
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