domenica 11 febbraio 2024

Una fiaccola sempre accesa

 

Pazienti nell’attesa, vigilanti nello spirito, cuore sveglio, giovinezza del cuore, inconsunti dai giorni, rivolti a Dio in attesa, sempre in attesa. Pur avendo sperimentato fatiche e delusioni, non si sono arresi al disfattismo, non hanno “mandato in pensione” la speranza.

Di chi sta parlando Papa Francesco? Del vecchio Simeone e della profetessa Anna che accolgono il bambino Gesù nel tempio di Gerusalemme. Eppure, ascoltando la sua omelia, sembra stia descrivendo le centinaia di persone consacrate che il 2 febbraio scorso, nella basilica di san Pietro, si sono ritrovate con lui a celebrare la festa della Presentazione. Altre migliaia, nello stesso giorno, si sono radunate attorno ai loro vescovi in molte diocesi del mondo. Ci sono anche quelle che hanno posticipata la celebrazione della giornata mondiale della vita consacrata al giorno successivo, sabato, perché molte durante la settimana lavorano, nella scuola, in ospedale, in ufficio...

Una vita consacrata stanca, inquinata dagli scandali, appesantita dalle remore del passato, in procinto di estinguersi… Ormai è una routine sentire parlarne in questi termini. Sì, è meno appariscente di una volta, ma non meno generosa nel servizio concreto e silenzioso, fatto di intercessione e di preghiera, di vicinanza e di accoglienza, di testimonianza e di annuncio. Una presenza capillare e spesso ignorata, una generosità data per scontata. Papa Francesco riconosce il dono che essi sono per la Chiesa: “Penso a voi, sorelle e fratelli consacrati, e al dono che siete”.


A queste persone che accolgono in casa la giovane donna che ha partorito sotto il portico, che dedicano il tempo ad ascoltare chi ha perduto il senso della vita, che sono ancora capaci di stare in mezzo ai ragazzi, Papa Francesco propone come modello due vecchi che nel tempio di Gerusalemme sanno riconoscere e accogliere la novità, tenere viva l’attesa e la speranza, lasciarsi stupire. Le sue parole possono essere intese – e da alcuni lo sono state – come un rimprovero: perché vi lasciate prendere dal troppo lavoro? (potrebbe essere il riconoscimento che anche con l’avanzare degli anni non ci si mette a risposo, ma si continua ad essere in donazione!); perché cercate il successo? (in quale ambito? nel servizio degli emarginati? in competenza con chi?). Non vi è piuttosto, nelle parole del Papa, la comprensione per una vita esigente, difficile, usurante e perché tale capace di “addormentare il cuore, anestetizzare l’anima, archiviare la speranza negli angoli oscuri delle delusioni e delle rassegnazioni”? Di qui l’appello a “restare svegli, a vigilare, a perseverare nell’attesa”. È il richiamo alla testimonianza fondamentale della vita consacrata, l’attesa di Dio, la memoria vivente della meta finale a cui ogni persona tende, della tensione escatologica verso la quale è incamminata la storia, il mondo intero: il Signore che viene. Sono tante le pagine evangeliche che hanno ispirato il sorgere di sempre nuove espressioni di vita carismatica nella Chiesa. Tutte prendono sul serio le parole ultime, con le quali si chiude la Rivelazione: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!… Vieni, Signore Gesù” (Ap 22, 17.21). È la preghiera che innerva ogni forma di vita consacrata, la preghiera che rivolge al Signore a nome di tutta la Chiesa e che la mantiene in attesa.


Con poche pennellate Papa Francesco, nella sua omelia, ridipinge la bellezza di questa vocazione. È una vita “consacrata”, ossia interamente donata a Dio, nella gioia, nella generosità, suscitata dalla scoperta di essere amati e dal desiderio di rispondere all’amore con l’amore. Ma il cammino è lungo e anche le persone consacrate non sono risparmiate dalle prove della vita, fisiche, morali, spirituali, personali e condivise con quanti esse vivono… Chi non conosce amarezze e delusioni? Allora la fedeltà può diventare pesante, la meta apparire troppo lontana, irraggiungibile, l’ideale del primo amore farsi opaco... Il Papa conosce bene il duro cammino nell’esistenza: “la stanchezza prevale sullo stupore, l’abitudine prende il posto dell’entusiasmo…  le esperienze negative, i conflitti o i frutti che sembrano tardare ci trasformano in persone amare e amareggiate”.

Ed ecco, al posto di un rimprovero, l’appello di un padre amorevole, di un pastore che ha cura del suo popolo: “andare indietro e attraverso un’intensa vita interiore, ritornare allo spirito di umiltà gioiosa, di gratitudine silenziosa”. Egli traccia anche un itinerario concreto e semplice: l’adorazione, “il lavoro di ginocchia e di cuore”, la preghiera concreta che lotta e intercede, così da “risvegliare il desiderio di Dio, l’amore di un tempo, lo stupore del primo giorno, il gusto dell’attesa”.


Infine l’immagine con cui si chiude l’invito di Papa Francesco: accogliere tra le braccia il Bambino, il Dio della novità e delle sorprese, così come lo accolse Simeone. La tradizione narra di tanti santi e sante che hanno avuto questa esperienza sensibilmente: Francesco d’Assisi a Greccio, Antonio da Padova a Camposampiero, Maria Maddalena de Pazzi, Pio da Pietralcina, Piccola sorella Magdeleine di Gesù… È un’esperienza che ognuno vorrebbe rivivere e alla quale tutta la vita consacrata è chiamata, per una speranza di vita sempre nuova. La novità di Dio si presenta come un bambino. Accogliendolo, il passato si apre al futuro, il vecchio che è in noi si apre al nuovo. “Se – conclude il Papa guardando a Simeone e Anna – come loro vivremo l’attesa nella custodia della vita interiore e nella coerenza con lo stile del Vangelo, se come loro vivremo così l’attesa, abbracceremo Gesù, che è luce e speranza della vita”.

 

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