domenica 11 dicembre 2022

La preghiera al Padre

Che spettacolo! Una sala con 300 persone in “ritiro”. 81 di loro fanno i voti o le promesse, temporanei o perpetui. Sono collegati in streaming più di 1000 punti di ascolto. 10 traduzioni… Parlo della preghiera di Gesù al Padre e della nostra preghiera. 

Pregare il Padre. E chi altri dovremmo pregare dopo che Gesù ci ha detto: “Quando pregate, dite: Padre” (Lc 11, 2)? «Quando preghi – leggiamo ancora nel Vangelo di Matteo –, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto…» (Mt 6, 6). Rivolgersi al Padre è l’attitudine, la preghiera per eccellenza del cristiano. Gesù ci dà come padre il suo Padre, come rivela a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione: «Salgo al Padre mio e Padre vostro…» (Gv 20, 17). Abbiamo ricevuto anche lo Spirito di Dio perché per mezzo suo possiamo gridare “Abbà! Padre!», come ricorda Paolo ai Galati (4, 6) e ai Romani (8, 15). La preghiera cristiana è sempre trinitaria: per Cristo, nello Spirito, al Padre.

Ogni sua preghiera inizia con la pa­rola “Padre”, un’invocazione che, nei racconti evangelici, Gesù impiega 19 volte: è dunque la nota distintiva della sua preghiera. Sappiamo che i Vangeli, scritti in greco, usano la parola Patér, la stessa che abbiamo in latino. Tuttavia Marco, unico tra gli evangelisti, riferendo la preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi, riporta il termine originario, in aramaico: Abbà (14, 36). Sappiamo anche che questa parola esprime il rapporto filiale, affettuoso e familiare del bambino con il proprio padre, e indica il tipico rapporto che Gesù, il Figlio, ha con il suo Padre del Cielo.

Lo testimonia chiaramente il Vangelo di Giovanni quando Gesù afferma ripetutamente che il Padre lo ama (Gv 3, 35; 5, 20; 10, 17; 15, 9). Gesù e il Padre si conoscono (10, 15), sono una cosa sola (10, 30), sono l’uno nell’altro (14, 11). Gesù non è quindi mai solo, «perché il Padre è con me» (16, 32). E Gesù risponde all’amore del Padre con lo stesso amore, facendo pienamente la sua volontà: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (14, 31). Gesù pregava perché aveva bisogno di coltivare il rapporto del Padre per comprendere il senso e la modalità della missione che gli aveva affidato, per attingere la forza che lo avrebbe sostenuto nel compimento della sua opera, per trovare la luce che avrebbe espresso nelle sue parole. 

Chissà con quali parole o con quali silenzi si esprimeva Gesù nella sua preghiera al Padre. Qua e là, lungo i Vangeli, affiorano espressioni che squarciano il mistero e ne lasciano intravedere uno spiraglio.

Cominciamo dalla prima parola che pronuncia entrando nel mondo: «Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 7). Le sue prime parole sono una preghiera. Si avverte la gioia e lo slancio dell’obbedienza al Padre: “Eccomi, manda me!”. Eppure all’ultimo momento, Gesù rimane col fiato sospeso, sembra sul punto di ritirare la propria offerta: «Allontana da me questo calice – dove “calice” sta per “volontà di Dio” –… Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mc 14, 36.38).  Lo slancio iniziale è sempre generosissimo, senza il minimo ripensamento: “Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”. Per Gesù giunge il tempo di “forti grida e lacrime” (Eb 5, 7-8), e «cominciò ad avere paura e smarrimento» (Mc 14, 33): «Sono triste da morire» (Mc 14, 34). Ha addirittura bisogno di un angelo che venga dal cielo a rincuorarlo (Lc 22, 43-44)! Eppure continua il suo cammino e rimane coerente con il progetto abbracciato, anche se sembra assurdo: «però non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu» (Mc 14, 36; Mt 26, 39; Lc 22, 42); «Che posso dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12, 27). Egli procede fermo nella prima parola data: “Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”. La compie veramente, nonostante tutto. Mostra la serietà della sua preghiera al Padre. Per questo anche a noi spiega quanto sia esigente la preghiera rivolta al Padre: «Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio…» (Mt 7, 21). 

Un’altra preghiera di Gesù ci insegna come pregare: «In quel tempo – leg­giamo nel Vangelo di Matteo – Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt 11, 25-26). Alla risurrezione di Lazzaro «alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio…”» (Gv 11, 41; cf. 12, 27). La preghiera di Gesù al Padre è benedizione e ringraziamento.

L’avevano capito di primi cristiani che così pregavano: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1, 3; 2 Cor 1, 3). Nella Lettera ai Colossesi troviamo l’invito al ringraziamento: «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (1, 12). Anche nella preghiera liturgica ripetiamo: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, questo vino…”. Sarà dunque questa anche la nostra preghiera: lode e ringraziamento al Padre per l’amore che ha per noi.

La più grande preghiera al Padre è quella che Gesù rivolge al termine dell’ultima cena, quella che chiamiamo “preghiera sacerdotale”, la “preghiera per l’unità”. In essa manifesta il rapporto di conoscenza e di amore che ha con il Padre e nel quale “tutti” siamo chiamati a entrare. Ogni giorno prestiamo le nostre labbra a Gesù, a Gesù in mezzo a noi, perché egli continui a rivolgere questa preghiera al Padre. Soprattutto vorremmo vivere in modo che tutta la nostra vita fosse una preghiera per l’unità.

Il Vangelo di Luca riposta due preghiere di Gesù in croce. La prima: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23, 34). Gesù non dà personalmente il perdono ai suoi crocifissori, lo chiede al Padre. Intercede per loro pregando: “Padre, perdona loro…”. Si fa portavoce dell’umanità peccatrice. Si fa vicino ai peccatori, li com-prende (li prende dentro di sé!). Sono per lui le parole di Isaia: «portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (53, 12). Arriva addirittura a scusare i suoi crocifissori, “perché non sanno quello che fanno”. È il culmine dell’amore. 

Perdona e insegna a perdonare. Nella preghiera del “Padre nostro”, ci fa ripetere ogni giorno che dobbiamo perdonare come a noi è perdonato (Lc 11, 4), ci invita ad essere «misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso», a non condannare, a perdonare per essere perdonati (Lc 6, 37). Anche noi possiamo pregare il Padre per questa nostra povera umanità di cui conosciamo le malvagità, le atrocità: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». 

L’ultima preghiera che Gesù rivolge al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Si avverte l’eco del salmo 31: «In te, Signore, mi sono rifugiato, / mai sarò deluso (…) / Perché mia roccia e mia fortezza tu sei (…) / Alle tue mani affido il mio spirito (…) / i miei giorni sono nelle tue mani» (v. 2.6.15). Gesù si affida nelle “mani” del Padre: mani forti che sanno proteggere e difendere; mani dolci, materne, che sanno accogliere, accarezzare… Si abbandona con fiducia all’amore del Padre e a lui si “consegna”. Gli affida il proprio “spirito”, ciò che ha di più prezioso, ciò che lo rende pienamente se stesso, il tutto di sé. 

Le parole del salmo 31 erano la preghiera che le madri ebree insegnavano a figli prima di addormentarsi. Anche a Gesù deve averla insegnata sua madre, Maria, e anche lui, prima di “addormentarsi” sulla croce, la recita per l’ultima volta. Gesù muore come un bambino che si addormenta tra le braccia del padre. Dov’è ora Gesù? Nelle mani del Padre. Il Padre lo guarda e in lui vede ognuno di noi: siamo con lui nelle sue mani. 

Ogni sera ci addormentiamo anche noi con questa preghiera. Vorremmo che fosse anche la nostra ultima preghiera.


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