Papa Francesco ci ha fatto un bel regalo di Pasqua, una lettera che, a differenza delle altre,
non è indirizzata “ai vescovi, ai presbiteri e
ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani, e a tutti i fedeli
laici”. Questa è semplicemente indirizzata a te, a me, a ognuno. Il papa si
rivolge ad ogni persona, interpellandola direttamente con il “tu”, coerente con
il messaggio che vuole dare. Se davvero “tutti” sono chiamati alla santità, la
lettera va indirizzata a tutti, o meglio personalmente ad ogni “tu”.
È cosa vecchia la “universale vocazione alla santità”, ne ha
parlato più 60 anni fa il Concilio, riprendendo l’insegnamento dei grandi
santi. Il papa sfronda questo concetto dalla retorica in cui è purtroppo
avvolto. Non soltanto fa vedere che la santità è davvero vicino, alla portata
di ognuno, possibile anche nella complicata vita di oggi, ma ne rende
accessibile anche il linguaggio, scandalizzando forse i professionisti della
teologia, con i nostri distinguo e le sottili analisi.
È una lettera lunga, ma semplice, una conversazione di un
padre, di un amico, che parla alla buona. In fondo la si legge in due, tre ore,
come un racconto, che prende, appassionante.
Ti accorgi che anche tu hai conosciuto dei santi e delle
sante, uomini e donne con i quali abbiamo vissuto accanto per anni.
«Mi
piace – scrive il papa, ma piace anche a me – vedere la santità nel popolo di
Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli
uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle
religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare
avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è
tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi
e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione,
“la classe media della santità”».
Il papa non dice
perché ha scritto questa lettera. Solitamente c’è qualche occasione, qualche
necessità. Stavolta niente. Lo fa soltanto per ricordarci che dobbiamo e che
possiamo essere santi, tutti e che solo così saremo davvero felici.
Non è complicata la santità (non parla ad esempio, come nei
manuali classici delle tre vie, o di altre distinzioni e organizzazioni), la si
può raggiungere vivendo la vita di ogni giorno:
«Per
essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi.
Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a
coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni
ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo
chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria
testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una
consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei
sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie,
come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con
onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o
nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai
autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi
interessi personali».
Una santità per tutti ma non a poco prezzo, altrimenti non
avrebbe nessun valore. Il papa non la svaluta, non illude. Per questo l’ultimo
capitolo è dedicato al “combattimento spirituale”.
«Si
richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e
annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare
festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita».
Nell’ultima frase della lettera il papa svela finalmente suo intento:
«Spero
che queste pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il
desiderio della santità. (…) incoraggiamoci a vicenda in questo proposito. Così
condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere».
Ci vuole santi e felici: sono la stessa cosa!
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