domenica 1 aprile 2018

Il cenacolo: Gli incontri col Risorto / 2



In pochi giorni il Signore Risorto è apparso in molti luoghi: nel giardino a Maria di Magdala, per strada alle donne e ai due discepoli di Emmaus, più tardi sulla riva del lago a sette degli apostoli… Ma il luogo per eccellenza delle “apparizioni” è il cenacolo. In quel luogo incontra i suoi «mentre sono a tavola» (Mc 16, 14) e mangia con loro (cf. Lc 24, 43), quasi a rivivere e perpetuare la sua ultima cena. Egli “sta” in mezzo a loro (cf. Lc 24, 36), si lascia toccare (cf. Lc 24, 39). Più che di “apparizioni” si tratta di incontri. Gesù “va incontro” alle donne (cf. Mt 28, 9), “si avvicina” ai due di Emmaus (cf. Lc 24, 14), “sta in mezzo” ai suoi (cf. Lc 24, 36), “viene e sta” in mezzo (cf. Gv 20, 19.21), “si manifesta” (cf. Gv 21, 1). L’apparizione può dare l’impressioni di un fantasma (cf. Lc 24, 32), mentre Gesù un è un fantasma, è proprio lui: «Toccatemi, guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (Lc 24, 39). I verbi del Risorto sono verbi di moto, di azione. Soltanto quando si ricordano una serie di incontri con il Signore troviamo il verbo “apparire”, come nell’aggiunta finale del Vangelo di Marco (cf. 16, 12.14), o in Paolo che ricorda come il Signore apparve a Pietro, a più di 500 fratello, a Giacomo e infine a lui stesso (cf. 1 Cor 15, 5-8).
Ogni volta che il Signore si manifesta e si rende presente timore e gioia invade i discepoli fino a quando, a esprimere il momento più alto dell’incontro, esplode il grido di Tommaso: «Mio Signore, mio Dio» (Gv 20, 28).
Caravaggio ha ritratto l’apostolo mentre introduce il dito nella piaga – una scena da ribrezzo. Non dissimili, anche se meno realisti, tanti gli altri pittori. Io non me la immagino così la scena, troppo inverosimile. A Tommaso è bastato vederlo per crollare in ginocchio e proclamare la più alta professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio». Una fede partecipata, appassionata. Non la fede in qualcosa di oggettivamente presente ma discosto, frontale, lontano; no, una fede viva e personale: sei il “mio” Signore, il “mio” Dio.
Credere nel Risorto è lasciarlo entrare nella “mia” vita, riconoscere un rapporto che unisce intimamente, in una reciproca appartenenza. Egli è “mio” perché io sono suo, mi ha acquistato a caro prezzo, con il suo stesso sangue, testimoniato dal segno dei chiodi e della lancia che non ha voluto cancellare perché sempre, per tutta l’eternità, vi leggessimo il suo amore infinito.
Tommaso lo proclama “il” mio Signore, “il” mio Dio, proprio con l’articolo (così in greco), a sottolineare che è l’unico, il tutto, senza possibilità di parcellizzare l’appartenenza e l’amore.


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