In pochi
giorni il Signore Risorto è apparso in molti luoghi: nel giardino a Maria di
Magdala, per strada alle donne e ai due discepoli di Emmaus, più tardi sulla
riva del lago a sette degli apostoli… Ma il luogo per eccellenza delle “apparizioni”
è il cenacolo. In quel luogo incontra i suoi «mentre sono a tavola» (Mc 16, 14) e mangia con loro (cf. Lc 24, 43), quasi a rivivere e
perpetuare la sua ultima cena. Egli “sta” in mezzo a loro (cf. Lc 24, 36), si lascia toccare (cf. Lc 24, 39). Più che di “apparizioni” si
tratta di incontri. Gesù “va incontro” alle donne (cf. Mt 28, 9), “si avvicina” ai due di Emmaus (cf. Lc 24, 14), “sta in mezzo” ai suoi (cf. Lc 24, 36), “viene e sta” in mezzo (cf. Gv 20, 19.21), “si manifesta” (cf. Gv 21, 1). L’apparizione può dare l’impressioni di un fantasma (cf.
Lc 24, 32), mentre Gesù un è un
fantasma, è proprio lui: «Toccatemi, guardate; un fantasma non ha carne e ossa,
come vedete che io ho» (Lc 24, 39). I
verbi del Risorto sono verbi di moto, di azione. Soltanto quando si ricordano
una serie di incontri con il Signore troviamo il verbo “apparire”, come
nell’aggiunta finale del Vangelo di Marco (cf. 16, 12.14), o in Paolo che
ricorda come il Signore apparve a Pietro, a più di 500 fratello, a Giacomo e
infine a lui stesso (cf. 1 Cor 15,
5-8).
Ogni
volta che il Signore si manifesta e si rende presente timore e gioia invade i
discepoli fino a quando, a esprimere il momento più alto dell’incontro, esplode
il grido di Tommaso: «Mio Signore, mio Dio» (Gv 20, 28).
Caravaggio
ha ritratto l’apostolo mentre introduce il dito nella piaga – una scena da
ribrezzo. Non dissimili, anche se meno realisti, tanti gli altri pittori. Io
non me la immagino così la scena, troppo inverosimile. A Tommaso è bastato
vederlo per crollare in ginocchio e proclamare la più alta professione di fede
di tutto il Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio». Una fede partecipata,
appassionata. Non la fede in qualcosa di oggettivamente presente ma discosto,
frontale, lontano; no, una fede viva e personale: sei il “mio” Signore, il “mio”
Dio.
Credere
nel Risorto è lasciarlo entrare nella “mia” vita, riconoscere un rapporto che
unisce intimamente, in una reciproca appartenenza. Egli è “mio” perché io sono
suo, mi ha acquistato a caro prezzo, con il suo stesso sangue, testimoniato dal
segno dei chiodi e della lancia che non ha voluto cancellare perché sempre, per
tutta l’eternità, vi leggessimo il suo amore infinito.
Tommaso
lo proclama “il” mio Signore, “il” mio Dio, proprio con l’articolo (così in
greco), a sottolineare che è l’unico, il tutto, senza possibilità di
parcellizzare l’appartenenza e l’amore.
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