Nel parlatorio del monastero delle Clarisse ad Albano trovo un pieghevole
con la narrazione di quanto sia viva una loro suora morta 70 anni fa: molte
persone vengono a visitare la tomba (anche papa Francesco), altri scrivono per avere
reliquie, nella cassetta per le preghiere che è in chiesa vengono lasciati
tanti bigliettini per richieste di grazie.
Sono andato allora a riprendere in mano un libro che avevo scritto 20
anni fa su di lei, la serva di Dio Maria Chiara Damato (Il fascino del chiostro. Maria Chiara Damato, Città Nuova, Roma 1998. L’anno successivo
un altro libretto: La “perfetta letizia” di Maria Chiara Damato, Albano 1999).
Buoni si nasce, santi si diventa – scrivevo nell’introduzione
–. Vincenzina era una bambina buona. Ma ce ne sono tante di bambine buone! Come
avrà fatto a diventare santa? (e di santi ce ne sono pochi, almeno canonizzati).
Forse ci aspettiamo di vederla
compiere prodigi e miracoli, o almeno ricevere qualche grazia mistica
particolare, così comuni nella vita dei santi. Niente di tutto ciò. Delusione! Possiamo chiudere il
libro prima ancora di leggerlo perché sicuramente non troveremo una di quelle
belle vite avventurose che ci lasciano col fiato sospeso.
Oppure tiriamo un sospiro di
sollievo perché, se anche nella nostra
vita non ci sono miracoli ed eventi straordinari, possiamo consolarci: non per
questo ci è preclusa la strada alla santità. «La santità a noi richiesta –
affermava infatti Paolo VI – non è quella dei miracoli, cioè dei fenomeni
straordinari, ma quella della volontà buona e ferma che, in ogni vicenda
ordinaria della vita comune, cerca la rettitudine logica della ricerca della
volontà di Dio».
Vincenza Damato è una ragazza come tante che, agli inizi
del 1900, vive a Barletta, in una tranquilla cittadina del Sud, in provincia di
Bari. A 19 anni va ad Albano Laziale, sulle colline vicino a Roma, per
chiudersi in un monastero di clausura. Vi uscirà solo per morire, a 39 anni.
Come ha fatto sr. Maria
Chiara a diventare santa?
A lei lo Spirito aveva suggerito di esprimere il suo amore per lo Sposo
nel conformarsi pienamente a lui. La sua preghiera era esplicita: “Gesù mio
Diletto, che io divenga una viva tua copia, che i tuoi lineamenti si riversino
in me”.
Il suo rapporto con Gesù è stato un rapporto sponsale: Lui era lo
Sposo, lei la sposa, nella reciprocità dell’amore e del dono. Se lo ha seguito
fin sulla croce è perché la sposa segue la sorte dello Sposo. Alla fine della
vita aveva riconosciuto che il Padre celeste si era “compiaciuto donarmi il Suo
Santissimo figlio per Sposo; vuol farmi diventare una viva copia di Lui
mediante la sofferenza”.
Ha amato come lui ha amato. Di qui il suo amore per la Sorelle del
monastero, il servizio premuroso per ognuna di esse, a cominciare dalle più
piccole, il suo impegno generoso per l’edificazione della fraternità...
Ha fatto propri gli interessi di lui. Di qui il desiderio appassionato
di farsi vittima con lui per cooperare alla salvezza dell’umanità dai volti
concreti: quelli della sorella protestante, dei peccatori, dei poveri, dei
popoli in guerra. Di qui la volontà di contribuire alla santità delle persone
consacrate, dei sacerdoti, dei missionari...
Ma il culmine della sua
conformazione a Gesù suor Maria Chiara l’ha forse raggiunto quando anche lei,
come lo Sposo suo, si è sentita sola e abbandonata da tutti.
Il chiostro l’aveva affascinata. Quando parlava del monastero lo
definiva “il mio paradiso”. Ma la sua vocazione ultima non era il chiostro. Il
monastero era solo un mezzo per giungere a Dio. L’unico ideale doveva essere
Dio. Per questo Dio, nell’ultimo periodo della sua vita, le chiede di perdere
ciò che aveva di più caro, il monastero appunto, per l’Unico necessario.
È la prova più grande della sua vita. La malattia la strappa dal
convento e la porta di ospedale in ospedale.
Dio le toglie il chiostro, il monastero, il coro, le Sorelle, la Madre
perché possa essere degna sposa del Figlio suo, consumata con lui fino ad
essere trasformata in lui. Nell’accettazione, per amore, della volontà di Dio
che le si manifesta in maniera così inattesa, troviamo il perché della santità
di suor Maria Chiara. Il dolore, aveva scritto alla sorella, era per lei “la via
più certa e vantaggiosa per divenire alter Christus”.
La santità di sr. Maria Chiara è stata l’unica santità possibile, la
piena conformazione a Cristo Gesù, fino ad essere come lui, immolata sulla
croce per l’umanità intera. È la santità possibile per tutti, anche se il modo
di seguire Gesù e di essere simili a lui non sarà lo stesso di quello di suor
Maria Chiara. Lei lo ha seguito come le veniva suggerito dallo Spirito Santo.
Il chiostro è stato il luogo della sua santità, ma non era quello la sua santità.
Alla fine Dio l’ha strappata dal chiostro per mostrarci che è indifferente il
luogo o la condizione. Deve restare solo Dio.
L’importante è saper rispondere con generosità agli inviti che lo
Spirito rivolge a ciascuno. Per vie diversi, tutti siamo chiamati alla stessa
metà.
Mi pare che anche le Clarisse di oggi, ad Albano, continuino in quella
meravigliosa avventura.
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