martedì 20 dicembre 2016

India: Dialogo interreligioso sull'esperienza mistica


Questa mattina l’arcivescovo Felix Machado ha ricordato che il dialogo interreligioso si esprime a quattro livelli: dialogo della vita, dottrinale, sociale, esperienziale. Quest’ultimo è il più profondo, perché va al cuore di ogni religione. Marcello Zago scriveva in merito: «Il dialogo esperienziale è la condivisione di esperienze e metodi di cammino spirituale, come la preghiera, la meditazione, l'ascesi. Si cerca cosi di capire l'altro dall'interno e di farsi capire da esso e cosi crescere insieme. Si intende anche promuovere i valori e le vie spirituali in un mondo portato al materialismo. […] Il dialogo esperienziale facilita la testimonianza reciproca più autentica, in quanto non si rifà a dottrine, riti e strutture oggettive ma condivide l’esperienza personale. La religione dell’altro appare in tutta la sua profondità o la sua superficialità (Buddismo e cristianesimo in dialogo. Situazione, rapporti, convergenze, Città Nuova, Roma 1985, p. 203-204).

È questo il tipo di dialogo che cerchiamo di portare avanti con i nostri amici Indù, con i quali abbiamo già avuto numerosi incontri in questi anni, qui, a Roma, in altre parti del mondo. Al simposio di questi giorni sono presenti diversi tradizioni: Gandiani, Rama Krisna, altri movimenti induisti, Bahai. Una ricchezza straordinaria in umanità e in esperienze spirituali. Sono quasi tutti professori di università di Mumbai e del sud dell’India.
L’oggetto del seminario non è la mistica in generale ma, su loro richiesta, l’esperienza mistica di Chiara Lubich. Per questo siamo venuti Judy e io della Scuola Abbà per fare una sessione della nostra Scuola proprio con queste religioni. Leggiamo i testi mistici di Chiara e vi lavoriamo insieme. Un’esperienza unica, perché questi testi, letti da culture religiose indiane hanno una risonanza tutta particolare.
A sera danza sacra, che rievoca storie di dei e di uomini… con la leggerezza, la finezza, l’eleganza tipiche di queste tradizioni.


Guardare tutti i fiori

No dei testi che oggi abbiamo letto insieme si intitola Guardare tutti i fiori. Ecco alcune parole di introduzione che ho offerto agi Indù, nel mio solito inglese…

Lo scritto “Guardare tutti i fiori” è del 6 novembre 1949.
In quel mese Chiara, con le sue compagne, stava vivendo una parola di Gesù, riportata nel Vangelo: “Lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato” (11, 34).
Chiara commentava così questa parole: “Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio”. Avere l’occhio puro, secondo il commento di Chiara, significa avere lo sguardo di Dio, essere e vivere in Dio, dunque nell’amore, nel totale dono di sé; il contrario è l’occhio non puro, che guarda alle creature e alle cose per possederle.
Attraverso lo sguardo di Dio passa il suo amore, che è un amore capace di generare comunione, fraternità, unità, come spiega Chiara in quella pagine: “Guarda dunque ogni fratello amando e amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l'amore è amare ed esser amato”.
Se si ha l’occhio puro si vede la realtà come Dio la vede. Cosa vede Dio? Dio vede in tutti una sua creatura. Egli è Padre della sua creatura. La visione che Chiara ha di Dio come Amore la porta a scoprire, attraverso il suo sguardo, di cui è resa partecipe, la realtà vera di ogni creatura, la vocazione all’amore propria di ogni creatura, e la vocazione di ogni creatura al rapporto di amore che lega tra loro ogni creatura, in una relazione d’unità e insieme di distinzione.
Da qui la grande meraviglia e il grido di gioia di Chiara, che scrive: “Dunque: amore le piante, amore gli animali, amore le stelle, le pietre, i sassi, i fiori, il cibo, il tavolo, il letto, il vestito, ecc ... e tutti figli miei…: tutto va trattato con l'amore del Padre verso il Figlio! Che cuore largo e che sorriso di Dio sulle cose attraverso i nostri occhi! Tutt'è sostanza d'amore”.

Questo sguardo le fa capire in modo nuovo il cammino di ogni persona e di tutta l’umanità verso Dio.
Nella  nostra tradizione cristiana abitualmente si vede l’anima come una stanza nella quale Dio scende ad abitare. Così la singola anima si spalanca verso il Cielo e inizia il suo cammino verso Dio.
Ora Chiara non vede più una singola anima che partecipa della vita di Dio, ma un gruppo di anime che insieme accolgono Dio, fanno esperienza di Dio in mezzo a loro, e insieme camminano verso Dio.
Non è più una mistica individuale, ma una mistica comunitaria: soltanto insieme si può raggiungere Dio.
Nella tradizione cristiana vi è l’immagine dell’albero: l’amore di Dio è rappresentato come la radice dell’albero, capace di dar vita all’amore del prossimo rappresentato come la chioma.
Chiara fa propria questa immagine, ma la completa. L’amore di Dio è insieme radice e chioma. Anche l’amore del prossimo è insieme radice e chioma: “Noi abbiamo una vita intima ed una vita esterna – aveva scritto due mesi prima, il 6 settembre –. L'una e l'altra una fioritura; l'una dell'altra radice; l'una dell'altra chioma dell'albero della vita nostra. La vita intima è alimentata dalla vita esterna. Di quanto penetro nell'anima del fratello di tanto penetro in Dio dentro di me; di quanto penetro in Dio dentro di me di tanto penetro nel fratello”.
La continuità con la spiritualità tradizionale è accolta e insieme superata introducendo un nuovo paradigma: l’altro mi dà Dio, l’amore verso l’altro torna come pienezza d’amore di Dio.
Questo vale nei rapporti tra le persone. Io mi domando: non potrà essere questo un paradigma anche per il rapporto tra le religioni? C’è chi si ferma a contemplare il proprio fiore, la propria religione. C’è invece chi si sente chiamato a guardare anche agli altri fiori, alle altre religioni, per cogliere la bellezza che c’è in esse e per andare insieme verso Dio.


Nessun commento:

Posta un commento