domenica 25 dicembre 2016

Dal prof. Uppadhyaya: Baby Jesus e Baby Kryshna



Vigilia di Natale unica e irrepetibile. Andiamo a trovare il prof. Uppadhyaya nella sua casa al centro di Mumbai. Un appartamento piccolo, stracolmo di libri, sparsi ovunque. Due camere e cucina, dove vive il professore con la moglie e con il figlio sposato. In questi giorni siamo stato insieme durante il seminario interreligioso, ma visitarlo nella sua casa è un’esperienza diversa, intensa, che rinsalda ancora l’amicizia iniziata 15 anni fa.
Roberto Catalano, che mi accompagna assieme a Judith (è con noi anche Luciano, discepolo del professore), ha appena scritto sul suo blog: “A guardarlo il prof. Uppadhyaya è l’immagine del vero guru: piccolo di statura, occhi vivissimi e sguardo penetrante, capelli fluenti raccolti in una treccia che la moglie cura ogni mattina con grande amore e rispetto e, poi, la barba, bianca, spesso raccolta in un pomo che non ne diminuisce la bellezza e l’invito al rispetto. Ma, soprattutto, è quando comincia a parlare che si sente la sua statura morale, di pensiero, umano e religioso insieme. A quel punto non si vorrebbe più smettere di ascoltarlo. Non l’ho mai visto leggere, anche se ogni suo discorso è preparato con cura. Ma è quando lascia fluire quanto ha in cuore e nella mente (nella tradizione indiana i due aspetti sono una unica realtà) che il professore incanta”.
Gli chiedo cos’è un guru. “È colui che illumina la via, e mostrare la strada, che eliminare la tenebra e dà luce agli occhi per poter vedere fuori di noi e dentro di noi”. La parola ha la radice che significa luce.
E come si sceglie il proprio guru? Gli domando. “Il guru non si sceglie, è il guru che sceglie te. O piuttosto è una misteriosa, inspiegabile attrazione reciproca. Come è accaduto a Gesù con i suoi primi discepoli – continua a spiegarmi. Le ha guardati negli occhi, loro lo hanno guardato negli occhi e c’è stata l’attrattiva. La stessa che sta all’origine dell’innamoramento di un ragazzo e di una ragazza: perché proprio quella ragazza, quando ce ne sono di più belle, di più ricche? È il mistero dell’amore… In definitiva è Dio che ha scelto quelle due persone a percorrere una strada insieme come due tronchi che navigano sullo stesso fiume, uno accanto all’altro”.
Intanto la moglie Koikyla e la nuora ci offrono tè indiano con ginger e menta e tipici snacks del Gujarat: pakora fritte in nostra presenza e minuscoli dolci con diversi ingredienti. Noi, essendo Natale, gli regaliamo una statuina di Gesù Bambino, fatta dai gen 4.

Ci facciamo raccontare la loro storia di coppia. Koikyla era stata promessa a Sureshchandra Uppadhyaya quando lui aveva tre anni e lei era ancora nel seno materno. Il padre della bambina che stava per nascere aveva scritto al padre del ragazzino chiedendo se i due si potevano sposare quando avrebbero raggiunto al giusta età. Quando il momento arrivò, si videro per la prima volta, dopo tre giorni di festa dei membri della famiglia nel villaggio di origine. Alla fine si sposarono ed ora sono insieme da 62 anni. Fedeltà assoluta, armonia incredibile. Il segreto? “Non conoscendosi, non sapendo nulla l’uno dell’altro non avevamo nessuna aspettativa e quindi abbiamo dovuto cominciare tutto fra noi, proprio tutto”.
Il discorso si fa sempre più profondo pur nella semplicità e la cordialità che continua a caratterizzare le due ore che restiamo insieme.
Verso la fine gli chiedo di vedere un testo del Bhagawad-Gita in sanscrito, poi azzardo: “Perché non salmodiate un capitolo?” Koikyla allora canta tutta una parte del testo sacro indù. Ha il libro aperto, ma lo sa tutto a memoria. Canta anche la nuova; anche lei lo sa a memoria, pur non conoscendo l’antica lingua sanscrita. Si crea una atmosfera sacra.
Il prof. Uppadhyaya mi chiede se possiedo il testo del Bhagawad-Gita. “In inglese”, gli risposto. Sorride: “È come se invece di vivere con la moglie avessi soltanto una sua foto!”. Me ne offre una copia in sanscrito, anche con alcune illustrazione.
Parlando di prossimi appuntamenti, ci prega di ricordargli le date, “perché ormai sono vecchio e ho poca memoria. L’unica cosa che ricordo è Dio”.
Prima di uscire gli chiedo se posso vedere il Baby Krishna che aveva portato con sé a Roma nel 2002, quando ci eravamo conosciuti la prima volta. Passiamo così nella mini cucina dove si trova il piccolo tempio di famiglia dedicato a Krishna e ai due piccoli Krishna (sono due gemelli!). Sorpresa: il Gesù Bambino che avevamo appena regalato è già collocato accanto a Krishna! Faranno Natale insieme! Gesù non è venuto in terra proprio per entrare nelle nostre culture? “Anche questo – commenta Roberto – un momento sacro: non siamo entrati solo nella vita dei due coniugi, condividendo aspetti personali e spirituali, ma anche nel cuore della loro religiosità, del loro rapporto con la divinità”.


Nel 2002 ho raccontato la storia del nostro incontro, scrivendo un breve articolo: “Il flauto di Krishna”

Una ventina d’anni fa una piccola statua del dio Krishna, venerata da due generazioni in una famiglia indiana, espresse un desiderio: “Mi piacerebbe essere trasferita in casa del professor Upadhyàya perché lui e sua moglie mi sono fedeli devoti”. Così l’11 novembre 1986 il bambino Krishna entrò in casa del professor Upadhyàya, direttore degli studi di ricerca post-laurea in Sanscrito e Cultura indiana antica all’Università di Bombay.
Incontro il professor Upadhyàya, durante un simposio Indù-Cristiano. La barba bianchissima e folta gli arriva fino alla cintola. I capelli sono raccolti in una lunga treccia arrotolata dietro la nuca. La sua conferenza verte sul Bhàkti, l’amore puro che gli indù sono chiamati a vivere, in totale abbandono e fedele donazione a Dio. Non è una lezione teorica. Racconta semplicemente come, assieme alla moglie, vive il rapporto con il bambino-Krishna. “La statuina che è giunta a casa nostra, ci spiega, non è una semplice icona o statua o fotografia del dio Krishna: è proprio lui, è nostro figlio, un bambino vero!”.
Ogni mattina lui e la moglie vanno a porgere ossequi al loro Dio. Gli tolgono la coperta dal letto, gli cantano una dolce melodia, gli porgono davanti una piccola giara d’acqua pregandolo di volersi lavare da sé. Altre volte preferiscono lavargli loro stessi denti e viso. Prendono quindi il tè e lo servono anche a lui in una tazzina che gli sistemano su un piccolo vassoio. Gli mettono sempre accanto anche dei dolci. Puliscono con cura il pavimento della stanza del bambino Krishna, e rimettono a posto sedili, cuscini, ventagli, tendine e il bastoncino da passeggio. Quindi gli fanno il bagno, lo massaggiano con acqua aromatizzata, tiepida d’inverno e fresca d’estate. Infine lo posano su un apposito tavolo dove lo vestono e lo adornano con fogge diverse a secondo delle stagioni, per poi adagiarlo sul suo trono. E questo è soltanto l’inizio della giornata. Ci sono i pasti, il riposo pomeridiano, le visite degli amici, le feste, il riposo serale… Il tutto accompagnato da inni, nenie e dolci conversazioni (Krisgna abitualmente parla loro nel sonno). L’intera giornata ruota attorno al bambino Krishna. “Parliamo con lui – racconta il professore –, scherziamo con lui. Alle volte ci fa perdere la pazienza, allora cerchiamo anche di intimorirlo: Se non ti lasci vestire in fretta oggi non ti diamo i dolci. Oppure: Se non ti metti presto a letto viene il ladro di bambini e ti porta via nella grande borsa dove mette i bambini disobbedienti. Altre volte lo coccoliamo, gli diamo anche qualche puffetto. Insomma io e mia moglie viviamo spontaneamente senza fatica insieme con Lui ogni momento della nostra giornata. Dio è il centro della nostra vita, tutte le nostre attività sono rapportate a lui”.
Mi ha incantato la semplicità di questo grande professore, così come la sua grande fede e la profonda devozione. Mi ha ricordato quello che anch’io come cristiano sono chiamato a vivere: stare sempre alla presenza di Dio, agire costantemente in lui e per lui.
Ho quindi pensato di andare a visitare il professor Upadhyàya nella stanza d’albergo dov’è ospitato. O meglio, ho voluto andare a vedere il suo “bambino” (naturalmente se l’è portato con sé a Roma). Mi tolgo le scarpe in segno di rispetto ed entro nella stanza. Sono accolto con profonda cordialità e vengo invitato a sedermi per terra, sul tappeto, davanti al piccolo Krishna. Con mia sorpresa mi accorgo che sono due gemelli, grandi appena cinque centimetri. La signora mi mostra l’intero guardaroba del Dio. Presto dovrà preparargli un vestito nuovo perché ad agosto celebra il compleanno. Noto che il piccolo Krishna ha in mano un minuscolo flauto e mi interesso anche a questo strumento.
Nel pomeriggio, prima di riprendere i lavori del dialogo Indù-Cristiano, il professor Upadhyàya mi viene incontro eccitato: “Durante la siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto: Sono stato contento che il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come si è interessato del mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto come un flauto, in modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie melodie”.


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