venerdì 12 giugno 2020

Chiesa domestica: ma di quale famiglia parliamo?


Continuo nella lettura del messaggio del mio amico,
che prende spunto da quanto avevo detto sulla necessità di dare spazio alla Chiesa domestica e al sacerdozio comune.
Sono interrogativi forti quelli che egli propone e che lasciano aperto il discorso.

Una volta passato il momento grave del Covid 19, questi principi sulla Chiesa domestica e sul sacerdozio dei fedeli devono tornare nei cassetti o nei documenti polverosi del Concilio Vaticano II?
Il valore della Chiesa domestica resta un ripiego, un piano B in situazioni di emergenza ed i laici devono restare pronti a tornare nei ranghi?
I termini “domestico” e “famiglia” sono stati radicalmente manomessi.
Siamo pronti a prendere consapevolezza che la famiglia non è scomparsa come si diceva negli anni delle contestazioni ma, invece, il senso stesso è cambiato?
Siamo disposti ad accettarlo?

Oggi:
Domus non è più casa
Casa non vuol dire più dire famiglia.
Famiglia non è più solo focolare.

Questa pandemia ha dimenticato le tante solitudini e marginalità che non hanno né il senso del domestico né della familia.
Non si tratta più di guardare alle convivenze o alle famiglie che una volta (con un termine urticante) si dicevano non-regolari: siamo ben oltre.
Si tratta di guardare a chi è solo in una abitazione; a chi non ha un’abitazione ma al massimo una stanza; a chi coabita forzatamente; a chi ha più abitazioni ma nessuna casa; a chi declina il termine famiglia al plurale; alla casa come al luogo dei conflitti per eccellenza e soprattutto a chi rivendica il nomen famiglia senza esclusioni o pregiudizi.
Possiamo invitare tutti questi alla grande rivoluzione della Chiesa domestica?
Al “banchetto” della Chiesa domestica possiamo invitare coloro che un certo clericalismo chic considera storpi o di scandalo?
Queste sono le sfide che il mondo laicale pone oggi.

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