Davanti a una grande folle, nel nuovo santuario di san Francesco a Paola, ho proclamato il mio messaggio di pace.
A domani il perché e il percome:
Vengo da
Roma, abito vicino al Papa. Dalla finestra della mia stanza posso abbracciare
la cupola di san Pietro. Vorrei portarvi il saluto del Papa e il suo pensiero. L’ultima
volta l’ho visto un mese fa, il Giovedì Santo nella basilica di san Pietro.
Papa
Francesco parla spesso di come opporre alla violenza la non violenza e come
contrastare la guerra con l’amore. Ecco alcune delle sue parole: «Il secolo scorso
è stato devastato da due guerre mondiali micidiali… oggi purtroppo siamo alle prese
con una terribile guerra mondiale a pezzi… Anche Gesù visse in tempi di violenza.
Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e
la pace, è il cuore umano… Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato
di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr
Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39)».
Papa Francesco rivolge poi a tutti noi il suo invito: «Che siano la carità e la
nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei
rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali».
(Messaggio per la giornata della pace, 1 gennaio 2018)
La carità. Non è
questa la parola che riassume l’insegnamento e la vita di san Francesco di
Paola?
Il Giovedì
Santo di quest’anno, nella basilica di san Pietro, alzo gli occhi e vedo la
statua del nostro santo. Non mi era mai parsa così eloquente. Voi sapete che
lungo le navate della basilica sono allineati, uno dopo l’altro, i grandi santi
e le grandi sante che, come colonne, hanno sostenuto e sostengono la Chiesa. San
Francesco di Paola è il più vicino all’altare, il primo della fila. Ai suoi
piedi un angelo regge il suo motto: Charitas, l’Amore.
Anche
questa sera egli continua a rivolge questa parola, Amore, a tutti noi qui
presenti.
Amore, una
parola talmente ripetuta e banalizzata, che è diventata vuota, non dice più
niente.
Dovremmo
ascoltarla direttamente dalla bocca di Gesù, quando la pronunciò nell’ultima
cena rivolgendosi ai suoi discepoli, quindi a tutti noi: “Amatevi l’un l’altro
come io vi ho amato”.
Come ci ha
amato Gesù?
È stato
vicino agli ammalati e ai poveri, ha confortato le persone deluse, ha accolto e
perdonato i peccatori, ha lavato i piedi ai discepoli, ha chiamato “amico” colui
che lo tradiva, ha chiesto perdono per quanti lo stavano uccidendo, scusandoli:
“Perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno”. Ha amato fino a dare la
vita per noi.
Ecco cos’è
l’amore: servire chi è nel bisogno, stare accanto a chi soffre, aiutare chi è
debole, avere un cuore pieno di tenerezza e di misericordia verso tutti. Questo
è eroismo, questo fa grande una persona.
Se questo
amore semplice e profondo, che sa scusare, perdonare, donare, senza calcolo, gratuitamente;
se questo amore lo viviamo in famiglia tra marito e moglie, tra genitori e
figli;
se lo
viviamo a scuola tra studenti e professori; se lo viviamo in parrocchia; se lo
viviamo in ufficio tra i colleghi; se questo amore lo viviamo in municipio, nei
campi, sui pescherecci… allora la pace sarà possibile.
Cos’è che
fa una famiglia unita? È la Charitas, l’amore. E cos’è che può creare una
società giusta, nella quale, con creatività e sacrificio, ognuno fa la sua
parte perché ci sia lavoro per tutti, nella quale si rispetta l’idea dell’altro
anche quando è diversa dalla nostra, il partito dell’altro anche quando sembra
opporsi al nostro, la religione e la cultura dell’altro anche quando è lontana
dalla nostra?
È l’amore:
riconoscersi tutti figli e figlie dello stesso Padre, tutti fratelli e sorelle
tra di noi,
al di là
del colore della pelle, delle idee politiche, del fatto di avere o non avere
una religione.
Siamo
fratelli e sorelle.
E cos’è
che fa bella la nostra Chiesa diocesana, spesso lacerata da critiche,
incomprensioni, calunnie? L’ascolto reciproco, la valorizzazione della
diversità, riconosciuta come ricchezza,
l’umiltà
di accogliere l’altro così com’è e non come io vorrei che fosse, il rinunciare
alle critiche velenose e inutili, che mai costruiscono, l’umiltà nel
riconoscere i propri sbagli.
La Chiesa
è carità e si edifica soltanto nella carità, mettendo l’altro al primo posto.
La
Charitas di san Francesco di Paola. Quello stemma, con la parola Charitas, che
san Francesco mostra nella basilica di san Pietro a Roma, che è presente in
tutte le chiese a lui dedicate, in tutte le icone che lo ritraggono, dovremmo
affiggerlo sulla porta d’entrata di casa, sul municipio, sulla barca, agli
angoli delle strade.
Questa
parola Charitas, amore, dovrebbe essere la legge della nostra famiglia, della
nostra società, della nostra Chiesa.
Amare
tutti, sempre, facendo sempre noi il primo passo. Così si edifica la pace.
Che san
Francesco condivida con noi la Charitas che ha ricevuto come dono da Dio.
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