venerdì 18 maggio 2018

21 maggio: gli ultimi momenti di sant'Eugenio


Ho trovato questo ritratto a Cosenza,
realizzato con francobolli
Quando, il 20 maggio 1861, Padre Tempier annuncia a Mons. de Mazenod che è ormai tempo di prepararsi a morire, la reazione del Fondatore degli Oblati è immediata: «Voglio una cosa sola, che si compia la volontà di Dio. Recitatemi le preghiere degli agonizzanti. Prima però datemi la mia croce di missionario e il mio rosario, sono le mie armi; voglio che non mi lascino più». Poi chiede lo scapolare della Madonna e la benedizione del Papa.
Più tardi rinnova i voti religiosi ed esprime la gioia per aver fondato la Congregazione: «Dite loro (agli Oblati) che muoio felice... Che muoio felice perché il buon Dio si è degnato di scegliermi per fondare nella Chiesa la Congregazione degli Oblati». Benedice gli Oblati presenti e quelli lontani, nelle missioni, donando quello che abbiamo sempre considerato il suo testamento spirituale: «Praticate veramente tra voi la carità... la carità... la carità... e al di fuori, lo zelo per la salvezza delle anime».
Quindi benedice le Suore della Santa Famiglia di Bordeaux: «Dite loro che le ho amate molto, che le amo, che sono il loro Padre. Dite loro che voglio le due famiglie sempre unite, che formino una sola famiglia. Saranno felici e forti in questa unione fraterna».


Il giorno seguente, di buon mattino, a un confratello che andava a celebrare la santa messa, raccomanda: «Oh! chiedete (al buon Dio) che si compia la sua santa volontà. Lo desidero con tutto il cuore».
A più riprese, durante la giornata, ripete a quelli che gli sono attorno: «Se mi assopisco o sto peggio, svegliatemi, ve ne prego; voglio morire sapendo di morire!». Lo stesso al medico: «Oh! come vorrei vedermi morire, per accettare meglio la volontà di Dio!»
A sera, scrive Padre Fabre, «recitammo la Salve Regina, che il nostro beneamato Padre comprese e seguì interamente. Alle parole “mostrateci il vostro Figlio dopo questo esilio” aprì un po’ gli occhi. A ciascuna invocazione “o clemente, o pia”, fece un leggero movimento; alla terza “O dolce Vergine Maria” diede l’ultimo respiro».


Sant’Eugenio de Mazenod muore offrendo la vita come perfetto compimento della volontà di Dio. Nessuno gliela toglie, la rende liberamente, come un dono d’amore, a quel Dio che gliel’ha donata.
Muore felice. Muore come ha vissuto, compiendo la volontà di Dio, con gli amori della sua vita: la croce oblata in mano, la preghiera a Maria, la benedizione del Papa, portando in cuore e benedicendo gli Oblati e la famiglia oblata, rappresentata dalle Suore della Santa Famiglia. Muore attorniano da figli e figlie, come un padre.
Oggi la schiera di figli e figlie di sant’Eugenio è numerosa come mai, sparsa su tutta la terra. Per vivere in pienezza la propria grande vocazione – la volontà di Dio! – questa schiera di figli e figlie è chiamata a stringersi nuovamente attorno al padre, a far propri i suoi “amori”, ad attuare il testamento che egli ha lasciato. È il testamento stesso di Gesù, non poteva darcene uno diverso: «Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi… Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 13, 34-35; 20, 20).
È un mandato rivolto a tutta la famiglia oblata: allora agli Oblati e alle suore della Santa Famiglia presente attorno al suo letto, oggi a tutti gli Oblati sparsi nel mondo, ai laici che condividono il carisma, agli istituti di vita consacrata nati dal carisma oblato e che con gli Oblati condividono la missione.
Una grande famiglia, di nuovo unita attorno al padre, sant’Eugenio de Mazenod. Una famiglia unita della medesima carità e della medesima passione per l’annuncio del Vangelo.

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