Dopo i
racconti dei primi incontri con il Risorto, Matteo, Marco e Giovanni da
Gerusalemme ci conducono in Galilea per nuovi incontri. Luca è il solo che non
riporta nessuna esperienza pasquale in Galilea, anche se in compenso narra dei
due discepoli fuori Gerusalemme, sulla strada per Emmaus.
Forse
dopo l’ottavario della festa di Pasqua i discepoli e le donne tornarono in
Galilea, per poi venire di nuovo a Gerusalemme, in occasione del pellegrinaggio
di Pentecoste. Ad ogni modo l’inizio degli Atti degli Apostoli testimoniano una
continuità nel rapporto tra Gesù e i suoi: «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la
sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e
parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (Atti 1, 3).
Dopo che
il Signore è salito al cielo, i discepoli rimangono in attesa del dono dello
Spirito, obbedienti al comando «di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di
attendere l’adempimento della promessa del Padre… sarete battezzati in Spirito
Santo» (Atti 1, 4-5).
Eccoli dunque, ancora una volta, nel
cenacolo, come narrano gli Atti degli Apostoli: «ritornarono a Gerusalemme
dal monte detto degli Ulivi (…). Entrati in città, salirono nella stanza al
piano superiore, dove erano soliti riunirsi» (1, 12). Agli Undici, enumerati
ciascuno per nome, si aggiungono alcune donne, i fratelli di Gesù e sua Madre,
Maria. La comunità è improvvisamente cresciuta di numero. I nuovi membri erano
già presenti dal tempo della Pasqua? Sono giunti successivamente dalla Galilea?
In quei giorni il numero dei discepoli raggiunge i 120. Oltre agli Undici, a
cui presto si aggiungerà il dodicesimo apostolo, Mattia, il solo nome che viene
consegnato è quello di Maria, ultima
sequenza biblica in cui ella compare.
Il
Risorto non c’è più, eppure si avverte la gioia e la pace da lui lasciate. Non
resta che attendere lo Spirito promesso. Nell’ultima cena, secondo il Vangelo
di Giovanni, Gesù a cinque riprese aveva parlato dello Spirito Santo. Aveva
annunciato che egli stava per andarsene, ma gli apostoli non sarebbero rimasti
orfani, il Padre avrebbe concesso loro un altro Paràclito, che sarebbe rimasto
sempre con loro (cf. 14, 15-17), avrebbe ricordato e completato il suo
insegnamento (cf. 14, 25-26), conducendoli alla verità e dandogli testimonianza
(cf. 15, 26-27)
Nel cenacolo, la preghiera è l’azione
principale a cui i discepoli sono intenti in attesa dello Spirito Santo: «tutti
erano perseveranti e concordi nella preghiera» (Atti 1, 14).
Come pregano? Nel primo libro Luca
riporta “la preghiera del Signore”, quella che Gesù aveva insegnato dietro la
domanda che gli avevano rivolto i discepoli: “Insegna anche a noi a pregare”.
Nel cenacolo forse si prega con la stessa preghiera con la quale Gesù si
rivolgeva a Dio: “Padre” (cf. Lc 11,
1-6). I 120 sono rivolti verso il Padre, come lo era Gesù.
Cosa chiedono? Sicuramente lo Spirito
Santo, seguendo anche in questo l’indicazione del Maestro, riportata sempre nel
primo libro di Luca: Gesù aveva insegnato a indirizzarsi al Padre per domandargli
proprio lo Spirito Santo: «Il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a
quelli che glielo chiedono» (Lc 11,
13).
La prima caratteristica della preghiera nel
cenacolo è la perseveranza, in obbedienza all’invito del Signore a «pregare
sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,
1). Il verbo proskartereo,
persistere, perseverare incessantemente, è tipico degli Atti degli Apostoli. Lo
ritroviamo nel primo tratto descrittivo della comunità dopo la Pentecoste:
«Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli» (2, 42), «erano perseveranti
nel tempio» (2, 46). È un verbo che sottolinea il rimanere e il persistere
tenace di un gruppo in sé compatto e orientato verso obiettivi comuni.
Anche più
avanti negli Atti, al momento della persecuzione che si scatena contro gli apostoli,
troviamo la comunità in tenace e perseverante preghiera: «Pietro era tenuto in
prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per
lui», nella casa di Marco, «dove si trovava un buon numero di persone raccolte
in preghiera» (12, 5.12).
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