martedì 1 maggio 2018

Il buco della serratura di Roma, visto da dentro!




Una volta quando accompagnavo qualcuno per Roma, immancabilmente lo portato sull’Aventino: giardino degli aranci, basilica di santa Sabina e… sorpresa, il famoso buco di Roma, il foro della serratura del portone del Priorato dei Cavalieri di Malta offre una delle più famose e suggestive visione della cupola di san Pietro. Oggi è difficile, come per tutto, occorre almeno un’ora di fila per arrivare al buco della serratura; i turisti aumentano vertiginosamente.

Comunque non avrei mai pensato che un giorno sarei potuto andare dall’altra parte del buco della serratura. Invece oggi…
Oggi sono stato invitato a parlare ai Cavalieri professi, il cuore del Sovrano Ordine Militare, che si sono riuniti per una giornata di riflessione e di preghiera prima del Consiglio di Stato.
Ho così visto, per la prima volta, il palazzo dell’Aventino, prima appartenuto ai Templari, con il parco che apre su una veduta dal Gianicolo al Pincio, con le sale storiche, la chiesa ricostruita da Giovan Battista Piranesi nel 1700 e appena restaurata.

Poi tardi un’auto di rappresentanza mi ha portato a Via Condotti, nel Palazzo Magisteriale, sede del Gran Maestro e luogo di rappresentanza, dove vengono ricevuti Capi di Stato e ambasciatori e dove sono riuniti gli organi governativi. È un tesoro d’arte. Ho visitato anche il grande archivio che ha ormai quasi 1000 anni di storia.
Infine di nuovo all’Aventino per il pranzo, nel parco, con vista su Roma.


È la prima volta che incontro i Cavalieri, provenienti da tutti i continenti. Ognuno ha qualche ricordo con gli Oblati… a cominciare dal Gran Maestro, discepolo di Willi Henken.
Mi sono sembrati molto contenti di quanto ho detto loro, ossia le solite cose…

Partendo dall’essenza della vita consacrata che è «seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo» – così il Concilio Vaticano II – ho letto con loro le parole di Gesù rivolte a Simone e Andrea, a Giacomo e Giovanni: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1, 17)
Mi è sembrato di trovare in esse il cuore della “consacrazione”:
- l’adesione alla persona di Gesù e l’iniziativa che parte da Dio: è lui che “consacra” (“seguite-mi”);
- la dimensione comunitaria di ogni chiamata, personale e insieme plurale (“seguite-mi”), perché Cristo lo si segue insieme, come Chiesa;
- la missione insita in ogni consacrazione (“pescatori di uomini”), perché si segue Cristo sulle vie del mondo, per donare la propria vita come egli la dona;
- la gradualità e progressività (“vi farò diventare”), perché l’adesione a Cristo e conseguentemente la “consacrazione” è un cammino che richiede perseveranza e si apre a modalità e profondità sempre nuove.

Il medesimo racconto di vocazione mostra anche il versante umano della “consacrazione”, come risposta alla chiamata: «E subito, lasciate le reti, lo seguirono… Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono» (Mc 1, 18.20).
Scelti e consacrati da Dio in Cristo, ci si consacra a propria volta alla sua sequela e alla sua missione nel dono pieno di sé, in risposta alla chiamata.
È addirittura possibile scorgere, nei pochi gesti dei primi discepoli, quelli che saranno fattori essenziali della “consacrazione”:
- la pronta e immediata obbedienza alla chiamata;
- l’abbandono dei beni, barca e reti, che costituiscono anche gli strumenti di lavoro;
- il distacco dal padre e quindi dalla famiglia.
Sono tre elementi che gradualmente si tradurranno nei voti di obbedienza, povertà, castità.


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