Trovo
un mio appunto di una quarantina d’anni scritto alla vigilia dell’Ascensione:
“Sono uscito dal Padre e sono venuto nel
mondo, ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16, 28).
È l’itinerario percorso da Cristo, l’Uomo,
prototipo dell’itinerario che ogni uomo è chiamato a percorrere. Un itinerario,
come scrive Paolo, che passa per la kenosi, la morte, ma che conduce ad avere
un nome nuovo, al di sopra di ogni altro nome. Signore. Colui che patì lo
vediamo ora coronato di gloria.
La festa dell’Ascensione è la
celebrazione di Gesù costituito Signore: “Ascese al di sopra di tutti i cieli,
per riempire tutte le cose” (Ef 4,
10). Così che nasce la Chiesa: tutto viene ricapitolato in lui, che diventa
Signore.
La festa dell’Ascensione è anche la
festa nostra. Ciò che per l’uomo era inaccessibile diventa accessibile perché
nel cielo penetra il Verbo con la sua umanità. Quando egli torna al Padre non è
più come quando ne è uscito, porta in sé la nostra umanità. Con Cristo è la
nostra umanità che è salita al cielo, che è penetrata nell’intimità
inaccessibile di Dio. Il Padre “con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatto
sedere nei cieli” (Ef 2, 4). “Egli è
alla destra di Dio Padre… perché noi diventassimo eredi della vita eterna” (1 Pt 3, 18).
Come venendo tra noi Cristo non ha
lasciato il Padre, così salendo non ha lasciato noi: la sua presenza rimane
costante tra noi. Di qui la speranza, come pure l’impegno: “Se siete risorti
con Cristo cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di
Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2).
per me è una novità, non lo avevo mai sentito che Gesù ha portato la nostra umanità nell' inaccessibile intimità di Dio, è affascinante e consolante, grazie. buona Ascensione.
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