8 giugno 2024, In viaggio da Yogyakarta a Giacarta
Se fossi un turista sarei stato a vedere il vulcano ad appena 25 chilometri da casa, oppure avrei visitato il tempio buddista di Borobudur, il più grande al mondo, del IX secolo, oppure il tempio indù di Prambanan, o il palazzo del sultano… Ma sono qui per conoscere la mia meravigliosa famiglia oblata, giovanissima è piena di vita. Preferisco camminare attorno casa per vedere un po’ l’ambiente nel quale vivono gli Oblati. Lascio la strada trafficatissima, come tutte quelle che attraversano la città, dove il flusso di auto e soprattutto di moto è costante, senza interruzione, velocissimo, e mi inoltro nelle stradine laterali. Mi trovo improvvisamente in un altro mondo.
È
un autentico labirinto dove nessun vicolo è senza uscita, tutto è in
comunicazione fra casette di ogni tipo. Il silenzio è assoluto, la pulizia
quasi maniacale, i vasi di fiore ingentiliscono una evidente povertà, i colori
sono intensi, i volti delle poche persone che incontro sorridenti e accoglienti.
Si vede subito che sono uno straniero e mi salutano in inglese. “Abiti in
albergo?”. “No, dai missionari”. “Ah, gli OMI!”.
Ed eccomi di nuovo in treno per un’altra giornata di viaggio
in ritorno a Giacarta. Stessi paesaggi d’andata eppure completamente nuovi. Il
verde smeraldo delle risaie sotto il sole del mattino è più bello, così come
sono più d’argento le acque. La maestà dei boschi delle palme di cocco può
essere eguagliata soltanto dai pini di Roma. I tetti alti e rossi delle case,
eredità degli Olandesi, punteggiano nascosti la foresta. I bananeti, arruffati,
danno il loro tocco di colori nella ricca policromia del verde. E di nuovo le
montagne e le colline e la pianura… come stancarsi d’ammirare?
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