Due
gli Oblati nominati come padri sinodali per il prossimo Sinodo sull’Amazzonia. Vivo
in comunità con uno di loro, Roberto! È stato missionario in Amazzonia, in una
parrocchia che si estendeva per 450 chilometri. Per essersi messo dalla parte
degli indigeni che difendevano il loro territorio, ha dovuto lasciare la
missione: ne andava della sua vita.
Adesso
coordina le numerose attività che si svolgeranno a Roma in occasione del Sinodo.
Un Sinodo che, per noi Oblati di Via Aurelia, è cominciato questa mattina quando
Roberto ci ha fatto entrare in questo vastissimo mondo.
Ha mostrato la bellezza di questa regione che copre metà del Sud America e si
estende in otto nazioni; la bellezza della sua gente, composta di popolazioni
molto diverse tra di loro; le minacce di distruzioni che incombono in questa
parte del mondo e le implicanze per l’intero pianeta.
L’Amazzonia
diventa un banco di prova per pensare un nuovo modo di essere Chiesa, capace di
farsi carico della salvezza integrale della persona umana e della cultura dei
popoli indigeni; per proporre un nuovo tipo sviluppo e un modo nuovo di costruire
la società, un nuovo stile di vita. È un appello che va ben al di là dell’Amazzonia; parte da essa perché il punto della terra più vulnerabile, ma è un
tema che ci riguarda tutti.
“È indispensabile – ha detto pochi giorni fa Papa Francesco – prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. È triste vedere le terre dei popoli indigeni espropriate e le loro culture calpestate da un atteggiamento predatorio, da nuove forme di colonialismo, alimentate dalla cultura dello spreco e dal consumismo. Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma
Può
essere l’inizio di un nuovo cammino più responsabile, condiviso, alla scoperta
della grande varietà di doni. Un cammino nuovo per l’evangelizzazione.
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