Un’altra pagina del mio futuro libro, datata giugno
2002. Segna l’inizio dell’amicizia con il professor Upadhyàya e la moglie
Koikyla.
Una ventina d’anni fa una piccola statua del Dio Krishna,
venerata da due generazioni in una famiglia indiana, espresse un desiderio: “Mi
piacerebbe essere trasferita in casa del professor Upadhyàya perché lui e sua
moglie mi sono fedeli devoti”. Così l’11 novembre 1986 il bambino Krishna entrò
in casa del professor Upadhyàya, direttore degli studi di ricerca post-laurea
in Sanscrito e Cultura indiana antica all’Università di Bombay.
Incontro il professor, durante un simposio Indù-Cristiano.
La barba bianchissima e folta gli arriva fino alla cintola. I capelli sono
raccolti in una lunga treccia arrotolata dietro la nuca. La sua conferenza
verte sul Bhàkti, l’amore puro che gli indù sono chiamati a vivere, in totale
abbandono e fedele donazione a Dio. La sua non è una lezione teorica. Racconta
semplicemente come, assieme alla moglie, vive il rapporto con il
bambino-Krishna. “La statuina che è giunta a casa nostra, ci spiega, non è una
semplice icona o statua o fotografia del dio Krishna: è proprio lui, è nostro
figlio, un bambino vero!”.
Ogni mattina lui e la moglie vanno a porgere ossequi al
loro Dio. Gli tolgono la coperta dal letto, gli cantano una dolce melodia, gli
porgono davanti una piccola giara d’acqua pregandolo di volersi lavare da sé.
Altre volte preferiscono lavargli loro stessi denti e viso. Prendono quindi il
tè e lo servono anche a lui in una tazzina che gli sistemano su un piccolo
vassoio. Gli mettono sempre accanto anche dei dolci. Puliscono con cura il
pavimento della stanza del bambino Krishna, e rimettono al loro posto sedili,
cuscini, ventagli, tendine e il bastoncino da passeggio. Quindi gli fanno il
bagno, lo massaggiano con acqua aromatizzata, tiepida d’inverno e fresca
d’estate. Infine lo posano su un apposito tavolo dove lo vestono e lo adornano
con fogge diverse a seconda delle stagioni, per poi adagiarlo sul suo trono. E
questo è soltanto l’inizio della giornata. Ci sono i pasti, il riposo
pomeridiano, le visite degli amici, le feste, il riposo serale… Il tutto
accompagnato da inni, nenie e dolci conversazioni (Krishna abitualmente parla
loro nel sonno). L’intera giornata ruota attorno al bambino Krishna. “Parliamo
con lui – racconta il professore -, scherziamo con lui. A volte ci fa perdere
la pazienza, allora cerchiamo anche di intimorirlo: Se non ti lasci vestire in
fretta oggi non ti diamo i dolci. Oppure: Se non ti metti presto a letto viene
il ladro di bambini e ti porta via nella grande borsa dove mette i bambini
disobbedienti. Altre volte lo coccoliamo, gli diamo anche qualche puffetto.
Insomma io e mia moglie viviamo spontaneamente senza fatica insieme con lui
ogni momento della nostra giornata. Dio è il centro della nostra vita, tutte le
nostre attività sono rapportate a lui”.
Mi ha incantato la semplicità di questo grande professore,
così come la sua grande fede e la profonda devozione. Mi ha ricordato quello
che anch’io come cristiano sono chiamato a vivere: stare sempre alla presenza
di Dio, agire costantemente in lui e per lui.
Ho quindi pensato di andare a visitarlo nella stanza
d’albergo dov’è ospitato. O meglio, ho voluto andare a vedere il suo “bambino”
(naturalmente se l’è portato con sé a Roma). Mi tolgo le scarpe in segno di
rispetto ed entro nella stanza. Sono accolto con profonda cordialità e vengo
invitato a sedermi per terra, sul tappeto, davanti al piccolo Krishna. Con mia
sorpresa mi accorgo che sono due gemelli, grandi appena cinque centimetri. La
signora mi mostra l’intero guardaroba del Dio. Presto dovrà preparargli un
vestito nuovo perché ad agosto celebra il compleanno. Noto che il piccolo
Krishna (in verità i due gemelli) ha in mano un minuscolo flauto e mi interesso
anche a questo strumento.
Nel pomeriggio, prima di riprendere i lavori del dialogo
Indù-Cristiano, il professor Upadhyàya mi viene incontro eccitato: “Durante la
siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto: Sono stato contento che
il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come si è interessato del
mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto come un flauto, in
modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie melodie”.
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