venerdì 20 settembre 2019

Il flauto di Krishna


Un’altra pagina del mio futuro libro, datata giugno 2002. Segna l’inizio dell’amicizia con il professor Upadhyàya e la moglie Koikyla.

Una ventina d’anni fa una piccola statua del Dio Krishna, venerata da due generazioni in una famiglia indiana, espresse un desiderio: “Mi piacerebbe essere trasferita in casa del professor Upadhyàya perché lui e sua moglie mi sono fedeli devoti”. Così l’11 novembre 1986 il bambino Krishna entrò in casa del professor Upadhyàya, direttore degli studi di ricerca post-laurea in Sanscrito e Cultura indiana antica all’Università di Bombay.
Incontro il professor, durante un simposio Indù-Cristiano. La barba bianchissima e folta gli arriva fino alla cintola. I capelli sono raccolti in una lunga treccia arrotolata dietro la nuca. La sua conferenza verte sul Bhàkti, l’amore puro che gli indù sono chiamati a vivere, in totale abbandono e fedele donazione a Dio. La sua non è una lezione teorica. Racconta semplicemente come, assieme alla moglie, vive il rapporto con il bambino-Krishna. “La statuina che è giunta a casa nostra, ci spiega, non è una semplice icona o statua o fotografia del dio Krishna: è proprio lui, è nostro figlio, un bambino vero!”.

Ogni mattina lui e la moglie vanno a porgere ossequi al loro Dio. Gli tolgono la coperta dal letto, gli cantano una dolce melodia, gli porgono davanti una piccola giara d’acqua pregandolo di volersi lavare da sé. Altre volte preferiscono lavargli loro stessi denti e viso. Prendono quindi il tè e lo servono anche a lui in una tazzina che gli sistemano su un piccolo vassoio. Gli mettono sempre accanto anche dei dolci. Puliscono con cura il pavimento della stanza del bambino Krishna, e rimettono al loro posto sedili, cuscini, ventagli, tendine e il bastoncino da passeggio. Quindi gli fanno il bagno, lo massaggiano con acqua aromatizzata, tiepida d’inverno e fresca d’estate. Infine lo posano su un apposito tavolo dove lo vestono e lo adornano con fogge diverse a seconda delle stagioni, per poi adagiarlo sul suo trono. E questo è soltanto l’inizio della giornata. Ci sono i pasti, il riposo pomeridiano, le visite degli amici, le feste, il riposo serale… Il tutto accompagnato da inni, nenie e dolci conversazioni (Krishna abitualmente parla loro nel sonno). L’intera giornata ruota attorno al bambino Krishna. “Parliamo con lui – racconta il professore -, scherziamo con lui. A volte ci fa perdere la pazienza, allora cerchiamo anche di intimorirlo: Se non ti lasci vestire in fretta oggi non ti diamo i dolci. Oppure: Se non ti metti presto a letto viene il ladro di bambini e ti porta via nella grande borsa dove mette i bambini disobbedienti. Altre volte lo coccoliamo, gli diamo anche qualche puffetto. Insomma io e mia moglie viviamo spontaneamente senza fatica insieme con lui ogni momento della nostra giornata. Dio è il centro della nostra vita, tutte le nostre attività sono rapportate a lui”.

Mi ha incantato la semplicità di questo grande professore, così come la sua grande fede e la profonda devozione. Mi ha ricordato quello che anch’io come cristiano sono chiamato a vivere: stare sempre alla presenza di Dio, agire costantemente in lui e per lui.
Ho quindi pensato di andare a visitarlo nella stanza d’albergo dov’è ospitato. O meglio, ho voluto andare a vedere il suo “bambino” (naturalmente se l’è portato con sé a Roma). Mi tolgo le scarpe in segno di rispetto ed entro nella stanza. Sono accolto con profonda cordialità e vengo invitato a sedermi per terra, sul tappeto, davanti al piccolo Krishna. Con mia sorpresa mi accorgo che sono due gemelli, grandi appena cinque centimetri. La signora mi mostra l’intero guardaroba del Dio. Presto dovrà preparargli un vestito nuovo perché ad agosto celebra il compleanno. Noto che il piccolo Krishna (in verità i due gemelli) ha in mano un minuscolo flauto e mi interesso anche a questo strumento.

Nel pomeriggio, prima di riprendere i lavori del dialogo Indù-Cristiano, il professor Upadhyàya mi viene incontro eccitato: “Durante la siesta mi è apparso il piccolo Krishna e di ha detto: Sono stato contento che il tuo ospite sia venuto a farmi visita. Hai visto come si è interessato del mio flauto? Ho un messaggio per lui: Digli di essere vuoto come un flauto, in modo che attraverso di lui possa far risuonare le mie melodie”.


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