La storia,
o semplicemente leggenda, del principe slavo Volodymyr è nota. Quando
con il suo popolo decise di abbandonare il paganesimo, inviò messi per il mondo
in cerca della religione più adatta. Dopo aver scartato per molteplici motivi
ebrei musulmani e cristiani latini, la scelta cadde decisamente sui bizantini:
il canto, gli ornamenti, gli ori, gli incensi, le icone presentavano una fede
dall'insuperabile suggestione estetica. Furono conquistati dalla bellezza.
Inizierò
così la conferenza ad Assisi su “La bellezza di essere cristiani”. Alla luce di
questa storia racconterò poi di alcuni dei miei viaggi.
Innanzitutto
la visita al “Tempio del Monte del Drago”, il più famoso tempio di Taipei,
armonioso come conviene ad un edificio cinese, dove tutto deve essere
rigorosamente simmetrico, in perfetto equilibrio. Finissime le lavorazioni in
pietra e in legno. Intensi e accesi i colori, netti, senza sfumature. Il
cortile d’ingresso è arioso, con ai lati un laghetto ed una cascata.
Quando vi
entrai, 20 anni fa, fui colpito dalla bellezza e dall’afflusso continuo di
persone con fiori, bastoncini d’incenso, corone per la preghiera. Nei luoghi
sperduti o in mezzo al caotico traffico cittadino tutta Taiwan è punteggiata da
templi piccoli e grandi, da edicole e altarini con buddhi, dèi ed antenati. La
pietà popolare si è sbizzarrita nelle forme architettoniche più armoniose,
nelle sculture più fini e nelle decorazioni più colorite. Ovunque profusione
d’incenso, di offerte, segni di pietà. Ogni luogo sacro è un po’ come la casa
del popolo ed ogni casa è come un luogo sacro.
Seduto in
un angolo del cortile del “Tempio del Monte del Drago” mi venne spontaneo il
confronto con le chiese cattoliche che avevo visto nell’isola, brutte da
morire, disadorne, figlie di una certa cultura post-conciliare occidentale che
ha fatto piazza pulita di statue e di devozioni per concentrarsi, giustamente,
sull’essenziale della celebrazione eucaristica.
Se i
messi del principe Volodymyr fossero giunti a Taiwan sarebbero stati attratti,
come i cinesi di oggi, dal tempio buddista, così vivo, così colorito, così
arioso, così spontaneo, così bello e avrebbero scelto il buddismo… Soltanto
pochi intellettuali possono apprezzare la nostra chiesa con il suo stile
asciutto ed austero, tutto interiorità.
Da Taiwan
a Barcellona. Racconterà di questa estate, di un giorno e mezzo passato alla Sagrata
Familia, ammirando portici e guglie. Ripeterò quel che ho già raccontato
sul blog. A differenza delle chiese di Taipei qui la bellezza attirerebbe anche
il principe Volodymyr.
Infine un
salto indietro di 1200 anni, per andare nella piccola isola di Iona dove i
monaci seguaci di san Colombano crearono un autentico capolavoro, il Book of
Kells.
Per
ottenere i fogli del libro con pelli di prima qualità dovettero uccidere 185 vitelli
di latte. L’evangeliario è scritto con un inchiostro tratto da comune solfato
di ferro, ma per i colori delle decorazioni e delle pitture miniate gli artisti
usarono pigmenti organici e minerali provenienti dalle lontane regioni del
Mediterraneo. Tra i colori più costosi il marrone e il rosso e soprattutto il
blu dei lapislazzuli, che venivano dall’unica miniera conosciuta nel Medioevo,
che si trovava nientemeno che in Afganistan. Insomma, per questo libro i monaci
investirono un capitale. Ma anche tempo: certe pagine per essere scritte e
decorate richiedevano fino a un intero mese di lavoro. Quanto ci sarà voluto
per scrivere i 340 fogli dell’evangeliario?
Gerardo
Cambrense, nel 1200, lo definiva “opera non di uomini, ma di angeli”, mentre
per Umberto Eco è “il prodotto di un’allucinazione a sangue freddo”.
Più
semplicemente è l’espressione di un popolo di cui racchiude la cultura. Tutta
l’Irlanda, tutto il popolo celtico è espresso in questi fogli, nelle sue
miniature, nelle decorazioni, nel volo degli angeli e degli uccelli, nel
muoversi dei pesci, dei serpenti e dei leoni, nella solennità di Cristo, di
Maria, degli evangelisti. L’intero simbolismo di una nazione è qui codificato
in un canone estetico di inestimabile ricchezza e bellezza.
Mentre
ammiro il volume esposto al Trinity College di Dublino, penso ai monaci che hanno
investito tutto nel Vangelo: beni e talenti. Hanno saputo cogliere in unità
Vangelo, cultura e bellezza. Hanno qualcosa da dire anche per
l’evangelizzazione di oggi.
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