«Signore,
vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo
andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «… Se il chicco di grano, caduto in
terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto… Adesso
l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio
per questo sono giunto a quest’ora!». (Gv 12, 20-33)
Tanti
lo cercano e non sanno come incontrarlo. Altri lo cercano e non lo sanno e
bussano a porte sbagliate. A chi voleva conoscerlo si è mostrato nel momento
più alto della sua esistenza, nel gesto dell’amore estremo, quando ha accettato
di morire per farci vivere.
È il
chicco di grano, che muore per moltiplicarti e farsi nuovamente presente in mille
e mille fratelli e sorelle, spiga feconda che raccoglie in unità l’umanità
intera e la renda figlia di Dio.
Se
qualcuno venisse da me e mi domandasse di vederlo, dove lo condurrei, cosa gli
direi? Gli indicherei il Crocifisso, il segno del cristianesimo. Nei primi
secoli i cristiani non hanno osato raffigurarlo sulla croce, perché immagine
troppo crudele, maledizione, follia. Soltanto Paolo, davanti ai Galati, ha
avuto il coraggio di mostrarlo crocifisso.
Anche
a Gesù non ha fatto paura, la croce. Era strumento di tortura e di morte infame
su cui essere appesi. In questo passo evangelico Giovanni accenna appena al
turbamento che ha provato davanti al pensiero di quella morte. Gli altri
evangelisti saranno più espliciti quando raccontano della sua angoscia
nell’orto degli ulivi, la Lettera agli Ebrei dirà delle forti grida e lacrime
con cui si rivolse a Dio, che avrebbe potuto salvarti da morte. Eppure
nell’episodio di cui parla il Vangelo di oggi, come più tardi nell’orto degli
ulivi, abbraccia con coraggio il volere del Padre, pur nella consapevolezza del
tormento che avrebbe vissuto.
Se
qualcuno mi domandasse di vederlo, mostrerei il Crocifisso e gli direi che è
l’espressione massima dell’amore, gli direi cosa sia il vero amore: dare la
vita per le persone amate, anche per quelle che non amano, morire al posto
loro.
Se
qualcuno mi chiedesse di vederlo… dovrebbe vederlo in me, perché dovrei seguirlo
fino a essere dove egli è, uno con lui. Dovrei poter ripetere, come Paolo, che
il mio vivere è Cristo: non più io vivo, ma Cristo vive in me. Mentre mi svela
la sua vita – chicco di grano, che non pensa a conservare la vita, ma la perde
per dare frutto –, mi invita a fare altrettanto, a perdere la mia vita per
vivere il suo stesso destino, a seguirlo fino a essere “cristiano”, come lui,
un altro Cristo.
Anche
a me è concesso di essere turbato come egli lo fu, di gridare come egli gridò.
Ma, seguendolo, anche a me darà la forza per accogliere il volere del Padre,
per credere che tutto è amore, anche il dolore e la morte. Così in me parlerà
l’amore, la pienezza della vita, frutto della morte, e apparirai Dio solo che
vive in me.
Se
qualcuno mi chiedesse di vederlo, dovrei mettermi d’accordo con i miei amici,
come hanno fatto Filippo e Andrea. Gli farei vedere la spiga a cui Gesù ha dato
vita, la fratellanza che ha generato tra di noi. Insieme sarà più facile
mostrarlo, presente nel nostro “ac-cordo”, nell’unità dei cuori, nella
comunione di quanti sono uniti nel tuo nome.
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