mercoledì 28 marzo 2018

Il cenacolo: Il comandamento dell'amore / 1



Nel mezzo della cena Gesù annuncia che è giunto il tempo di partire e di tornare al Padre. Ha atteso l’ultimo momento per rivelare il segreto più intimo. Prima di essere consegnato nelle mani di coloro che lo metteranno a morte, vuole lasciare il suo testamento. È l’ultima raccomandazione che rivolge a quanti ama. È un segreto che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli poco prima di morire. Come gli antichi saggi d’Israele, come un padre nei confronti del figlio, anche lui, Maestro di sapienza, ha lasciato come eredità l’arte del saper vivere e del vivere bene. L’aveva appresa direttamente dal Padre: «tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15), ed era il frutto della sua esperienza nel rapporto con Lui. Sta per affidare loro ciò che più gli sta a cuore.
Cosa lascerà ai suoi? In poche parole raccoglie il suo insegnamento e lo sintetizza in un solo verbo: amatevi l’un l’altro.
La ferma volontà e la consapevolezza di trasmettere un testamento vincolante per i discepoli appare evidente dall’insistenza con cui, per ben quattro volte nel Vangelo di Giovanni, chiede di amare (cf. 13, 34; 13, 35; 15, 12; 15, 17). L’evangelista ne rimase folgorato, al punto che nella sua prima e seconda lettera lo riprende per sei volte (cf. 1 Gv 3, 11; 3, 23; 4; 12; 1,5). Il primo scritto del Nuovo Testamento testimonia come l’insegnamento di Gesù sia stato immediatamente accolto e sia diventato patrimonio della comunità cristiana. Paolo non aveva bisogno di scrivere qualcosa di suo, al riguardo, perché, come scrive nella sua prima lettera, «voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri» (1 Tes 4, 9; 3, 12; 2 Tes 1, 3).


Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 34-35).
Dove sta la novità nel comandare l’amore?

Gesù lo chiama “suo”, il “mio comandamento”, perché è il principio di vita che lo anima: relazione con il Padre che lo ama e verso il quale egli è rivolto in atteggiamento di obbedienza e d’amore. È questa la realtà di Dio, la reciprocità dell’amore. La pienezza dell’amore è reciprocità del dare e del ricevere, è rapporto d’amore.

Il comando “amatevi”, rivolto ai discepoli, è invito a rivivere tra loro la relazione che si vive nella santissima Trinità: come in cielo così in terra. Gesù è venuto per portare in terra la vita del Cielo.
Il prossimo non è più soltanto una persona da servire, da amare, ma da coinvolgere nella reciprocità dell’amore, perché solo in questa reciprocità si può vivere l’amore tipico di Dio: l’amore trinitario. Il prossimo non è più raggiunto al termine dell’itinerario spirituale, come conseguenza dell’unione con Dio, ma cercato fin dall’inizio per poter andare insieme verso Dio. L’altro è la possibilità concreta e la necessità insopprimibile per vivere il comandamento dell’amore reciproco, è la possibilità di attingere alla presenza di Cristo tra noi, la condizione per raggiungere Dio, per vivere in pienezza la sua vita agapica: «Se ci amiamo gli uni gli altri – scrive l’Apostolo Giovanni –, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1 Gv 4, 12).
Non si tratta di un suggerimento, di una semplice proposta, è proprio un comando: «Questo vi comando». Gesù lo esige perché, tra l’altro, è l’unica via per la piena realizzazione di noi stessi. Soltanto nel dono di sé e nella reciprocità del dono ognuno può diventare veramente se stesso, perché siamo fatti a immagine di un Dio che è comunione di Persone. Lo comanda perché sa che soltanto così la nostra gioia sarà piena. Ed è que­sto che egli vuole per noi, che la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena.


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