martedì 27 marzo 2018

Giovedì santo 2018: “Visita delle sette chiese”


 

Anche quest’anno farò la tradizionale visita alle sette chiese, per venerare il Santissimo Sacramento.
L’itinerario ha inizio a santa Maria Maggiore e terminerà a santa Croce in Gerusalemme. Il tema sarà naturalmente quello che sto seguendo questo periodo: il cenacolo.
Partenza ore 20.00, alla statua dell’Immacolata davanti a santa Maria Maggiore; termine ore 22.00 a santa Croce in Gerusalemme.
Tutti invitati!

Introduzione:
Quanto amore, quanto bene è scaturito dal Cenacolo! Quanta carità è uscita da qui, come un fiume dalla fonte, che all’inizio è un ruscello e poi si allarga e diventa grande… Tutti i santi hanno attinto da qui; il grande fiume della santità della Chiesa sempre prende origine da qui, sempre di nuovo, dal Cuore di Cristo, dall’Eucaristia, dal suo Santo Spirito (papa Francesco).

 

1. Basilica di Santa Maria Maggiore
L’amore estremo

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1).
Il desiderio profondo che lo anima è svelato: attuare, fino alle ultime conseguenze, l’amore che egli da sempre ha per i suoi.

Ha amato “fino alla fine”: fino all’ultimo istante della vita. L’amore non è la passione di un giorno. Senza durata l’amore non è amore. Una causa, se vera, la si sposa per sempre. Non si cambia bandiera. Una volta messo mano all’aratro Gesù non si è più voltato indietro, non ha abbandonato l’impresa, anche quando è apparsa estremamente dura, impossibile. Non è mai venuto meno. Ha amato fino all’ultimo respiro sulla croce. Alla fine può davvero dire: «È compiuto» (Gv 19, 30): ha portato a termine l’opera che il Padre gli aveva affidato (cf. Gv 17, 4).

Ha amato “fino alla fine”: intensità, totalità. L’amore non è solo perseverante, ma cresce fino al dono estremo di sé. Davvero «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Gesù l’ha data! La parola «È compiuto» acquista allora un significato ancora più profondo, ha il senso della pienezza, della misura pigiata, scossa e traboccante (cf. Lc 6, 38): ha dato tutto, la sua stessa vita. Come poteva amare di più?

Gesù ci ha amato. Gesù ci ama. Senza limiti, sempre, sino alla fine. L’amore di Gesù per noi non ha limiti: sempre di più, sempre di più. Non si stanca di amare. Nessuno. Ama tutti noi, al punto da dare la vita per noi. Sì, dare la vita per noi; sì, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi. E ognuno di noi può dire: “Ha dato la vita per me”. Ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per lui… per ognuno, con nome e cognome. Il suo amore è così: personale. L’amore di Gesù non delude mai, perché Lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci. (…) Gesù ci ha amato, ognuno di noi, sino alla fine (Papa Francesco).

 

2. Basilica di Santa Prassede
La lavanda dei piedi


La chiesa prende il nome dalla S. Prassede, sorella di S. Pudenziana (la cui chiesa è qui vicina) e figlia del senatore romano Pudente, discepolo di S. Paolo. Un’antica leggenda narra che Prassede e Pudenziana sarebbero state uccise perché davano sepoltura ai martiri delle persecuzioni di Antonino Pio nei pozzi situati nel vasto terreno di proprietà del padre. La chiesa è fondata nel IX secolo. Il pavimento ricopre il pozzo nel quale la santa raccolse i resti ed il sangue di diverse migliaia di martiri. La Cappella di S. Zenone, uno dei più importanti monumenti bizantini in Roma, fu eretta da Pasquale I come mausoleo della madre Teodora. È chiamata "il Giardino del Paradiso". In una nicchia a destra dell'ingresso è custodita una colonna portata a Roma da Gerusalemme dal cardinale Giovanni Colonna nel 1223: la tradizione vuole che sia un frammento della colonna alla quale fu legato Gesù per essere flagellato.

Durante la cena… Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto dal Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto (Gv 13, 2-5).

Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. (…) Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra … ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo. Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci (Papa Francesco).

 

3. Santuario della Madonna del Perpetuo Soccorso
Il tradimento e lo scandalo

«Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo…» (Gv 13, 2).
Il momento di luce del cenacolo d’improvviso s’adombra e cadono le tenebre, la gioia e la festa si tramutano in tristezza. Giovanni ha appena iniziato il racconto dell’ultima cena dicendo che Gesù, avendo amato i suoi, li amò fino alla fine, e subito, accanto a Gesù appare l’avversario, Satana e viene perpetrato il tradimento.
Anche Pietro, il primo tra gli apostoli, la roccia, sta per crollare. Lo scandalo si allarga a macchia d’olio, non soltanto Giuda, non soltanto Pietro, tutti gli apostoli si disperderanno lasciando solo il Maestro.
«Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore» (Primo Mazzolari).

Come Dio ci accoglie, così dobbiamo accogliere gli altri.
Gesù ha tenuto Giuda tra i suoi fino all’ultimo. Avrebbe potuto cacciarlo quando era ancora in tempo, ma non ha voluto estirpare la zizzania prima della fine, ha lasciato che crescesse con il grano buono.
La Chiesa è sancta communio peccatorum. È santa perché è il corpo di Cristo, il Santo di Dio, ma è una comunità di peccatori. La tentazione, fin dai primi secoli, è stata di voler creare una comunità di eletti, di puri, da opporre a una comunità di peccatori.
È quello a cui siamo tentati anche nelle nostre comunità. Le vorremmo perfette, senza scandali, vorremo espellere chi sbaglia. Se Gesù avesse cacciato Giuda, e poi Pietro e poi gli altri… chi sarebbe rimasto?
Siamo chiamati ad accettare i limiti dell’altro, della Chiesa, la povertà delle nostre comunità, con una misericordia che tutto spera, tutto crede, tutto sopporta.

 

4. Chiesa dei santi Marcellino e Pietro
Il pane spezzato e il vino versato

La prima chiesa ad Duas Lauros fu costruita sotto papa Silvestro I (314-35). Nei sotterranei le catacombe. Subì numerose modifiche e rifacimenti, come l'annessione di un ospedale per pellegrini.

Preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc 22, 19-20).
Quel gesto dello spezzare il pane rimase indelebile nella mente dei discepoli. I due di Emmaus riconobbero Gesù allo spezzare del pane; la prima comunità cristiana era perseverante «nello spezzare il pane» (Atti 2, 42), «spezzavano il pane nelle case» (Atti 2, 46).
È un gesto che indica condivisione, comunione di mensa, fraternità. È il gesto del capofamiglia, generante la fraternità.
Ma è anche l’anticipazione dello squarciamento del corpo di Cristo sulla croce, del cuore trafitto. Il pane è spezzato per essere donato, sminuzzato perché Dio sia accessibile all’uomo. Gesù spezza l’unico pane in modo che il suo corpo possa essere dato ad ognuno.
Come il pane è stato spezzato, il vino viene versato.
È il compimento dell’offerta che fa di sé il pastore delle pecore: «Il buon pastore offre la vita per le pecore… Io sono il buon pastore… e offro la vita per le pecore… io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10, 10. 14-18).
Siamo chiamati anche noi a diventare per gli altri pane donato. Chi si siede alla mensa eucaristica deve poter dire, a quanti poi incontra, io sono “per voi”.
Etty Hillesum, all’ultima pagina del suo diario, ormai alla soglia della morte nel campo di concentramento, annota: «Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo»

 

5. Basilica di sant’Antonio da Padova
Il comandamento nuovo

La chiesa fu costruita, insieme all'annesso convento, per l'Ordine dei Frati Minori, sull'area precedentemente occupata dalla Villa Giustiniani Massimo, a seguito dell'espulsione dei frati dalla loro storica sede dell'Araceli per consentire la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II.

Prima di essere consegnato nelle mani di coloro che lo metteranno a morte, vuole lasciare il suo testamento. In poche parole raccoglie il suo insegnamento e lo sintetizza in un solo verbo: amatevi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 34-35).
Comandando di amarci, Gesù ci pone davanti il modello dei rapporti: «amatevi… come (kathos) io ho amato voi». Ha appena dato l’esempio mostrando come si attualizza in concreto l’amore: ha lavato i piedi ai discepoli, invitandoli a lavarsi i piedi gli uni gli altri (cf. Gv 13, 14). Dobbiamo amarci nel modo con cui Cristo ci amato, fino a dare la vita per gli amici, fino al segno estremo della morte e della morte di croce (cf Gv 13,1).
Quel come è anche causale, significa “perché”: possiamo amarci sull’esempio di Gesù perché egli ci ha amato per primo e ha riversato su di noi il suo amore. Come altrimenti amare col suo amore se il suo amore non è in noi, se egli stesso non viene ad amare in noi? Per questo L’Eucaristia. Soltanto allora possiamo amarci “come” lui ha amato noi.
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). È il distintivo, il segno di riconoscimento, la caratteristica tipica dei cristiani

 

6. Basilica di San Giovanni in Laterano
La preghiera per l’unità

Alzati gli occhi al cielo, Gesù si è rivolto al Padre con l’ultima grande preghiera: «Padre…» (Gv 17).

Gesù parla apertamente al Padre, davanti ai suoi, rivolgendosi a lui come ha sempre fatto nella sua preghiera, chiamandolo “Abbà”. Mai come adesso il rapporto tra i due appare così intimo, naturale, profondo.
E cosa chiede? L’unità!
La richiesta dell’unità - Padre, che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21) -, è il punto d’arrivo dell’intera preghiera sacerdotale. Appare fin dalla prima intercessione: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (v. 11), ripresa ulteriormente: «siano una sola cosa come noi siamo una cosa sola» (v. 22), fino a trovare il suo culmine nella richiesta della perfezione dell’unità: «siano perfetti nell’unità» (v. 23).
Dio sogna da sempre l’unità, per questo Gesù gliela chiede come il dono più grande che egli può implorare per tutti noi: Ti prego, Padre, «perché tutti siano una sola cosa». Gesù è venuto per realizzare il sogno di Dio.
Il modello della nostra unità è niente meno che l’unità esistente tra il Padre e il Figlio. Sembra impossibile, tanto essa è profonda. Essa è tuttavia resa possibile da quel come, che anche in questo caso, così come nel comandamento nuovo, significa anche perché: possiamo essere uniti come sono uniti il Padre e il Figlio proprio perché essi ci coinvolgono nella loro stessa unità, ce ne fanno dono.
L’unità non è un progetto umano e non può essere perseguito con le nostre sole forze. È oggetto di preghiera ed è dono ricevuto perché progetto divino. È continuazione dell’unità tra Padre e Figlio, inserimento in quell’unità: è vivere in e di quell’unità.
Possiamo prestare labbra e cuore a Gesù perché continui a rivolgere queste parole al Padre e ripetere ogni giorno con fiducia la sua preghiera. L’unità è un dono dall’alto, da chiedere con fede, senza stancarsi mai.

 

7. Basilica di Santa Croce in Gerusalemme
Un posto in cielo

«Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26, 27-29).
«Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (cf. Gv 14, 2-3).

Gesù è partito per andare in cielo a preparare un posto per ciascuno di noi, ad allestire un banchetto di nozze, al quale egli stesso ci servirà.

Gesù non ci lascia, non ci abbandona mai, ci precede nella casa del Padre e là ci vuole portare con Sé (Papa Francesco).

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