Siamo
sempre nel cenacolo. Gesù ha desiderato ardentemente quel momento d’intimità:
cenare insieme con noi.
E noi desideriamo cenare con lui?
Era la
domanda che si poneva papa Benedetto nell’omelia del giovedì santo del 21 aprile 2011: «Gesù ha
desiderio di noi, ci attende. E noi, abbiamo veramente desiderio di Lui? C’è
dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare
una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure
siamo indifferenti, distratti, pieni di altro?».
Proprio
in quell’ultima cena vediamo emergere, tra i commensali, desideri ben contrari
a quelli espressi da Gesù.
Pietro
non desidera che Gesù gli lavi i piedi perché non riesce ad entrare nella
logica del servizio: «Non mi laverai mai i piedi» (Gv 13, 8). Già precedentemente, lungo la strada per Gerusalemme,
aveva cercato di impedirgli di compiere la volontà del Padre che lo chiamava a
salire alla città santa per essere ucciso. «Dio te ne scampi, Signore – gli aveva
detto –; questo non ti accadrà mai». La reazione di Gesù era stata
drammatica: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non
pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16, 21-23).
Sempre
in quell’ultima cena sorge una discussione tra i Dodici su chi di loro sia il
più grande (cf. Lc 22, 24), proprio nel momento in cui
Gesù mostrava l’ultimo posto nel dono estremo di sé. Quanto sono lontani gli
apostoli dal desiderare quello che desidera il Maestro, farsi servo di tutti.
Prendendo posto a tavola nel
cenacolo possiamo chiederci quali sono i sentimenti che ci animano. Quali sono
i desideri che guidano la nostra vita?
Il dramma dell’umanità di oggi
non è tanto avere passioni disordinate quanto non avere passioni forti che
spingano in avanti, non avere desideri alti come lo sono le stelle (desiderio
da de-sideribus, dalle stelle), non
avere sogni che attraggono con energia: demotivati.
Perché non condividere i
desideri di Gesù? E desiderarli ardentemente e come lui portarli a compimento?
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