lunedì 26 marzo 2018

Il cenacolo: Una Chiesa di peccatori



«Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo…» (Gv 13, 2). Il momento di luce del cenacolo d’improvviso s’adombra e cadono le tenebre, la gioia e la festa si tramutano in tristezza. Giovanni ha appena iniziato il racconto dell’ultima cena dicendo che Gesù, avendo amato i suoi, li amò fino alla fine, e subito, accanto a Gesù appare l’avversario, Satana. Mentre viene proclamato il comando dell’amore viene perpetrato il tradimento.

Matteo e Marco pongono la sconvolgente rivelazione proprio all’inizio della cena: «Io verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà» (Mc 14, 18). Gesù è scosso da un “turbamento profondo” (cf. Gv 13, 21) e i discepoli ne sono «profondamente rattristati» (Mt 26, 22). Paolo, che per primo narra della cena del Signore, ha ricevuto dalla tradizione in racconto della frazione del pane strettamente legato a quello del tradimento: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò» (1 Cor 11, 23-24).

Giuda è rimasto un mistero nella tradizione cristiana, a cominciare dagli stessi Vangeli, dove è designato come “colui che avrebbe tradito” il Signore (cf Gv 6, 71; 12, 4). Anche nella lista dei Dodici è segnato con il marchio del tradimento: “Giuda Iscariota, colui che lo tradì” (Mc 3, 19; cf. Mt 10, 4; Lc 6, 16). È proprio “uno dei Dodici”, come viene detto ripetutamente (cf. Mt 26, 14.47; Mc 14, 10.20; Gv 6, 71), uno “del numero dei Dodici” (Lc 22, 3). Pietro dirà di Giuda che «era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero» (Atti 1, 17).
Com’è possibile che una persona scelta da Gesù e a cui egli ha dato fiducia, arrivasse al punto da tradirlo? La fantasia e le congetture più diverse hanno alimentato studiosi e romanzieri. La motivazione fondamentale, l’unica che la Scrittura ci fornisce, è che «il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13, 2); analogamente a Giovanni Luca scrive: «Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici» (Lc 22, 3).

Anche Pietro, il primo tra gli apostoli, la roccia, sta per crollare. Al primo annuncio della passione si era opposto apertamente a Gesù meritandosi l’appellativo di Satana: non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini (cf. Mc 8, 32-33).
Lo scandalo si allarga a macchia d’olio, non soltanto Giuda, non soltanto Pietro, tutti gli apostoli si disperderanno lasciando solo il Maestro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”» (Mc 14, 26).
Nel momento in cui Gesù esprime l’amore più grande, si vede respinto, tradito, rinnegato, lasciato solo. Dove sono quelli che ha appena chiamato “amici”?

Quei Dodici siamo noi.
Siamo Giuda ogni volta che consentiamo a Satana di insinuarsi nel nostro cuore. Come lui anche noi siamo stati scelti personalmente da Gesù, dopo che ha passato una notte in preghiera (cf. Mc 3, 10), ci ha dato fiducia, ci ha chiamato “amici”.
Siamo Pietro ogni volta che non accettiamo lo scandalo della croce.
Siamo gli apostoli che fuggono ogni volta che cerchiamo di salvare la nostra vita invece di perderla, mettendo al primo posto i nostri interessi invece delle esigenze del Regno.
Cosa fare davanti ai nostri tradimenti, rinnegamenti, fughe?

Converrà fare memoria di quando Gesù ci è passato lungo la nostra strada, in quel determinato luogo, in quel giorno particolare, e ci ha chiamati a seguirlo, ricordare il tempo nel quale fummo illuminati (cf. Eb 10, 32), il “primo amore” (cf. Ap 2, 4), i momenti autentici di comunione con lui, la vita di carità vissuta alla sua sequela. La sua fedeltà è il migliore antidoto alle nostre infedeltà. «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!», verrebbe da gridare con Pietro. Di nuovo ci sentiremo ripetere: «Non temere» (cf. Lc 5, 8.10). Continuare a riporre la fiducia nella sua misericordia, pur nella sfiducia in se stessi. A nessuno ritrae il suo amore, come non l’ha ritirato da Giuda, che continua a chiamare “amico” anche al momento del bacio traditore (cf Mt 26, 50).
Riconoscere i nostri tradimenti, rinnegamenti, fughe sarà un antidoto alla presunzione: “Ti seguirò ovunque andrai…”, “Sono pronto a morire per te…”, “Non ti rinnegherò…”. Senza il suo aiuto e la sua misericordia possiamo anche noi perdere ogni speranza e finire impiccati come Giuda. Se accettiamo di essere guardati negli occhi, come Pietro nel cortile del sommo sacerdote, si scioglierà il pianto del perdono. Al culmine del rinnegamento «il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola del Signore che gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22, 61).

Dio si serve anche dei nostri peccati. Il tradimento di Giuda che ha condotto alla morte di Gesù, si è trasformato in spazio di amore salvifico e in consegna che Gesù fa di sé al Padre (cf Gal 2, 20; Ef 5, 2.25). Il Verbo “tradire” è la versione della parola greca che significa “consegnare”, che spesso ha come soggetto Dio stesso: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (cf Rm 8, 32). Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come strumento per il dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.

Come Dio ci accoglie (e dobbiamo accettare il nostro peccato e la sua misericordia), così dobbiamo accogliere gli altri.
Gesù ha tenuto Giuda tra i suoi fino all’ultimo. Avrebbe potuto cacciarlo quando era ancora in tempo, ma non ha voluto estirpare la zizzania prima della fine, ha lasciato che crescesse con il grano buono.
La Chiesa è sancta communio peccatorum. È santa perché è il corpo di Cristo, il Santo di Dio, ma è una comunità di peccatori. La tentazione, fin dai primi secoli, è stata di voler creare una comunità di eletti, di puri, da opporre a una comunità di peccatori. Al termine delle persecuzioni, ad esempio, per non corrompere la purezza della Chiesa non si sarebbero voluti reintrodurre nella comunione ecclesiale i lapsi, che si erano compromessi con i culti idolatri.
È quello a cui siamo tentati anche nelle nostre comunità. Le vorremmo perfette, senza scandali, vorremo espellere chi sbaglia. Se Gesù avesse cacciato Giuda, e poi Pietro e poi gli altri… chi sarebbe rimasto?
Siamo chiamati ad accettare i limiti dell’altro, della Chiesa, la povertà delle nostre comunità, con una misericordia che tutto spera, tutto crede, tutto sopporta.
Gesù ha pregato per la sua comunità: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22, 31); «Padre… custodiscili dal Maligno» (Gv 17, 15). E invita anche noi a pregare: «State svegli e pregate per non entrare in tentazione» (Mc 14, 38).


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