«Durante
la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone
Iscariota, di tradirlo…» (Gv 13, 2).
Il momento di luce del cenacolo d’improvviso s’adombra e cadono le tenebre, la
gioia e la festa si tramutano in tristezza. Giovanni ha appena iniziato il
racconto dell’ultima cena dicendo che Gesù, avendo amato i suoi, li amò fino
alla fine, e subito, accanto a Gesù appare l’avversario, Satana. Mentre viene
proclamato il comando dell’amore viene perpetrato il tradimento.
Matteo e
Marco pongono la sconvolgente rivelazione proprio all’inizio della cena: «Io
verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà» (Mc 14, 18). Gesù è scosso da un
“turbamento profondo” (cf. Gv 13, 21)
e i discepoli ne sono «profondamente rattristati» (Mt 26, 22). Paolo, che per primo narra della cena del Signore, ha
ricevuto dalla tradizione in racconto della frazione del pane strettamente
legato a quello del tradimento: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva
tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò» (1 Cor 11, 23-24).
Giuda è
rimasto un mistero nella tradizione cristiana, a cominciare dagli stessi Vangeli,
dove è designato come “colui
che avrebbe tradito” il Signore (cf Gv 6, 71; 12, 4). Anche nella lista dei
Dodici è segnato con il marchio del tradimento: “Giuda Iscariota, colui che lo
tradì” (Mc 3, 19; cf. Mt 10, 4; Lc 6, 16). È proprio “uno dei
Dodici”, come viene detto ripetutamente (cf. Mt 26, 14.47; Mc 14,
10.20; Gv 6, 71), uno “del numero dei Dodici” (Lc 22, 3). Pietro
dirà di Giuda che «era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso
nostro ministero» (Atti 1, 17).
Com’è
possibile che una persona scelta da Gesù e a cui egli ha dato fiducia,
arrivasse al punto da tradirlo? La fantasia e le congetture più diverse hanno
alimentato studiosi e romanzieri. La motivazione fondamentale, l’unica che la
Scrittura ci fornisce, è che «il diavolo
aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13,
2); analogamente a Giovanni Luca scrive: «Allora satana entrò in Giuda, detto
Iscariota, che era nel numero dei Dodici» (Lc 22, 3).
Anche
Pietro, il primo tra gli apostoli, la roccia, sta per crollare. Al primo
annuncio della passione si era opposto apertamente a Gesù meritandosi
l’appellativo di Satana: non pensa secondo
Dio, ma secondo gli uomini (cf.
Mc 8, 32-33).
Lo scandalo si allarga a macchia d’olio, non soltanto Giuda,
non soltanto Pietro, tutti gli apostoli si disperderanno lasciando solo il
Maestro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “Percuoterò il
pastore e le pecore saranno disperse”» (Mc
14, 26).
Nel momento in cui Gesù esprime l’amore più grande, si vede
respinto, tradito, rinnegato, lasciato solo. Dove sono quelli che ha appena
chiamato “amici”?
Quei Dodici siamo noi.
Siamo Giuda ogni volta che consentiamo a Satana
di insinuarsi nel nostro cuore. Come lui anche noi siamo stati scelti
personalmente da Gesù, dopo che ha passato una notte in preghiera (cf. Mc 3, 10), ci ha dato fiducia, ci ha
chiamato “amici”.
Siamo Pietro ogni volta che non accettiamo lo scandalo
della croce.
Siamo gli apostoli che fuggono ogni volta che
cerchiamo di salvare la nostra vita invece di perderla, mettendo al primo posto
i nostri interessi invece delle esigenze del Regno.
Cosa fare davanti ai nostri tradimenti,
rinnegamenti, fughe?
Converrà fare memoria di quando Gesù ci è passato
lungo la nostra strada, in quel determinato luogo, in quel giorno particolare,
e ci ha chiamati a seguirlo, ricordare il tempo nel quale fummo illuminati (cf.
Eb 10, 32), il “primo amore”
(cf. Ap 2, 4), i momenti autentici di comunione con lui, la
vita di carità vissuta alla sua sequela. La sua fedeltà è il migliore antidoto
alle nostre infedeltà. «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!»,
verrebbe da gridare con Pietro. Di nuovo ci sentiremo ripetere: «Non temere»
(cf. Lc 5, 8.10). Continuare a riporre la fiducia nella sua
misericordia, pur nella sfiducia in se stessi. A nessuno ritrae il suo
amore, come non l’ha ritirato da Giuda, che continua a chiamare “amico” anche
al momento del bacio traditore (cf Mt
26, 50).
Riconoscere i nostri tradimenti, rinnegamenti,
fughe sarà un antidoto alla presunzione: “Ti seguirò ovunque andrai…”, “Sono
pronto a morire per te…”, “Non ti rinnegherò…”. Senza il suo aiuto e la sua
misericordia possiamo anche noi perdere ogni speranza e finire impiccati come
Giuda. Se accettiamo di essere guardati negli occhi, come Pietro nel cortile
del sommo sacerdote, si scioglierà il pianto del perdono. Al culmine del
rinnegamento «il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si
ricordò della parola del Signore che gli aveva detto: “Prima che il gallo
canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22, 61).
Dio si serve anche dei nostri peccati. Il
tradimento di Giuda che ha condotto alla morte di Gesù, si è trasformato in spazio
di amore salvifico e in consegna che Gesù fa di sé al Padre (cf Gal 2,
20; Ef 5, 2.25). Il Verbo “tradire” è la versione della parola greca che
significa “consegnare”, che spesso ha come soggetto Dio stesso: è stato
lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (cf Rm 8, 32). Nel suo
misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come strumento
per il dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.
Come Dio ci accoglie (e dobbiamo accettare il
nostro peccato e la sua misericordia), così dobbiamo accogliere gli altri.
Gesù ha tenuto Giuda tra i suoi fino all’ultimo. Avrebbe
potuto cacciarlo quando era ancora in tempo, ma non ha voluto estirpare la
zizzania prima della fine, ha lasciato che crescesse con il grano buono.
La Chiesa è sancta
communio peccatorum. È santa perché è il corpo di Cristo, il Santo di Dio,
ma è una comunità di peccatori. La tentazione, fin dai primi secoli, è stata di
voler creare una comunità di eletti, di puri, da opporre a una comunità di peccatori.
Al termine delle persecuzioni, ad esempio, per non corrompere la purezza della
Chiesa non si sarebbero voluti reintrodurre nella comunione ecclesiale i lapsi, che si erano compromessi con i
culti idolatri.
È quello a cui siamo tentati anche nelle nostre comunità. Le
vorremmo perfette, senza scandali, vorremo espellere chi sbaglia. Se Gesù
avesse cacciato Giuda, e poi Pietro e poi gli altri… chi sarebbe rimasto?
Siamo chiamati ad accettare i limiti dell’altro, della
Chiesa, la povertà delle nostre comunità, con una misericordia che tutto spera,
tutto crede, tutto sopporta.
Gesù ha pregato per la sua comunità: «Simone,
Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho
pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22, 31); «Padre…
custodiscili dal Maligno» (Gv 17, 15).
E invita anche noi a pregare: «State
svegli e pregate per non entrare in tentazione» (Mc 14, 38).
Nessun commento:
Posta un commento