«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Egli
parlava del tempio del suo corpo. (Gv 2, 13-25)
Quando ho visitato la Terra Santa sono stato al tempio di Gerusalemme.
Non è rimasta pietra su pietra, come Gesù aveva predetto. C’è soltanto
l’imponente basamento costruito con grandi blocchi di pietra bianca sul quale
Erode il Grande aveva edificato il tempio. Assieme con i fratelli ebrei
anch’io, al tramonto, ho poggiato la mano su quelle pietre del Muro occidentale
ancora calde dei raggi del sole. Con i rabbini ho pregato lo stesso Dio dei
nostri Padri e delle nostre Madri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
di Sara, di Rebecca e di Rachele, ma anche il Dio di Maria, il Dio di Gesù.
Ho provato la gioia che per secoli ha animato gli ebrei quando
salivano al tempio cantando: «Il Signore abita in Gerusalemme»; «È in
Gerusalemme la sua dimora»; «Quale gioia quando mi hanno detto: Andiamo alla
dimora del Signore, ed ecco i nostri piedi sono giunti alle tue porte,
Gerusalemme! Gerusalemme è città ben costruita, in cui tutto è unità, è là che
salgono le moltitudini, le moltitudini del Signore». Ho visto le rondini che
volavano nell’ultima luce della sera; il loro garrire mi ricordava il salmo nel
quale l’ebreo venuto al tempio sentiva il dolore di doverlo lasciare: «Anche il
passero ha trovato qui la sua casa e la rondine una fessura nella quale ha
posto il suo nido».
Ora il tempio non c’è più. Era il segno della presenza di Dio
tra gli uomini. Ormai esso ha lasciato il posto a una nuova realtà. È Gesù la
presenza di Dio tra noi, il tempio vivo. Dopo la risurrezione i discepoli si
ricordarono delle sue parole, perché lo sperimentarono presente in modi e
luoghi diversi: appariva in mezzo a loro quando si trovavano insieme, lo
sapevano vivo nel pane che spezzavano, lo riconoscevano nei fratelli… Gesù ha
dilatato il tempio sull’estensione della terra intera, moltiplicando la sua
presenza e portando Dio dovunque.
La Gerusalemme terrena, che conteneva il tempio, era segno di
un’altra città non più costruita con pietre, di una nuova Gerusalemme nella
quale non vi sarà alcun tempio «perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e
l’Agnello sono il suo tempio», come ci insegna l’Apocalisse. La Gerusalemme
celeste «non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la
gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello».
Possiamo essere profezia e anticipazione di questa città futura?
Possiamo già fin da ora avere la sua presenza piena di luce che tutto illumina
e riscalda? Sì, Gesù stesso ce ne hai indicato la via quando ci ha donato il
comandamento dell’amore reciproco, quell’amore circolare che va e torna, nel
quale si ama e si è amati.
È così che si crea la città nuova, la nuova Gerusalemme.
Gesù ci chiama a essere pietre vive, che già da adesso
costituiscono il tempio vivo, il luogo santo nel quale il Santo vuole abitare e
tutti illuminare.
Nessun commento:
Posta un commento