venerdì 30 marzo 2018

Il cenacolo: Il comandamento nuovo / 3



Roma, visita alle Sette chiese
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). È il distintivo, il segno di riconoscimento, la caratteristica tipica dei cristiani, perché così Gesù ha pensato la sua comunità. È il segno distintivo dei cristiani, perché così Gesù ha pensato la sua comunità. Ciò che caratterizza i suoi discepoli non è la preghiera, il servizio ai poveri, l’ascesi, aspetti fondamentali della loro vita che condividono con i seguaci di ogni religione. È la reciprocità dell’amore che, come appare fin dagli inizi, quando la comunità nascente di Gerusalemme era ammirata per la comunione dei beni che ci si viveva loro, per l’unità che vi regnava, per la «letizia e semplicità di cuore» che la caratterizzava (cf. Atti 2,46). «Il popolo li esaltava», leggiamo sempre negli Atti degli Apostoli (cf. 4, 33), con la conseguenza che ogni giorno «andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore» (5,13-14). La testimonianza di vita della comunità aveva una forte capacità attrattiva.

Un affascinante scritto dei primi secoli del cristianesimo, la Lettera a Diogneto, prende atto che «i cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere». Sono persone normali, come tutte le altre. Eppure possiedono un segreto che consente loro di incidere profondamente nella società, diventandone come l’anima (cf. cap. 5-6).
  
I discepoli di Gesù sono riconosciuti per il loro reciproco amore? «La storia della Chiesa è una storia di santità» ha scritto Giovanni Paolo II. Essa tuttavia «registra anche non poche vicende che costituiscono una contro-testimonianza nei confronti del cristianesimo» (Incarnationis Mysterium, 11). In nome di Gesù per secoli i cristiani si sono combattuti in guerre interminabili e continuano ad essere divisi tra di loro. Ci sono persone che ancora oggi associano i cristiani con le Crociate, con i tribunali dell’Inquisizione, oppure li vedono i difensori ad oltranza di una morale antiquata, che si oppongono al progresso della scienza.
La testimonianza che Gesù richiede è quella di una comunità che mostri la verità del Vangelo. Essa deve far vedere che la vita da lui portata può realmente generare una società nuova, nella quale si vivono rapporti di autentica fraternità, di aiuto e servizio vicendevole, di attenzione corale alle persone più fragili e bisognose.

Senza estraniarci dai luoghi che abitiamo e dalle persone che frequentiamo, se viviamo tra noi quell’unità per la quale Gesù ha dato la vita, potremo creare un modo di vivere alternativo e seminare attorno a noi germi di speranza e di vita nuova. Una famiglia che rinnova ogni giorno la volontà di vivere con concretezza nell’amore reciproco può diventare un raggio di luce nell’indifferenza reciproca del condominio o del vicinato. Una “cellula d’ambiente”, ossia due o più persone che si accordano per attuare con radicalità le esigenze del Vangelo nel proprio campo di lavoro, nella scuola, nella sede del sindacato, negli uffici amministrativi, in un carcere, potrà spezzare la logica della lotta per il potere e creare un clima di collaborazione e favorire il nascere di una insperata fraternità.
Non facevano così i primi cristiani al tempo dell’impero romano? Non è in questo modo che hanno diffuso la novità trasformante del cristianesimo? Siamo noi oggi “i primi cristiani”, chiamati, come loro, a perdonarci, a vederci sempre nuovi, ad aiutarci; in una parola, ad amarci con l’intensità con cui Gesù ha amato, nella certezza che la sua presenza in mezzo a noi ha la forza di coinvolgere anche altri nella logica divina dell’amore.


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