Il centurione, che
si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse:
«Davvero quest’uomo era Figlio
di Dio!» (Mc 15, 1-39).
Quante volte, davanti a una situazione difficile, a un dramma
personale e familiare, a un qualsiasi male sociale, ci aspettiamo una soluzione
positiva, che invece non viene. Si prega, si spera in un miracolo, e non accade
niente. La malvagità e l’ingiustizia sembrano avere il sopravvento. Ai cattivi
va sempre tutto bene, mentre i buoni rimangono nella sofferenza.
Anche con Gesù è capitato così. Fino all’ultimo qualcuno ha atteso
un intervento divino, un gesto straordinario, qualcosa che avrebbe risolto
positivamente il dramma così assurdo che si stava consumando sul Calvario.
Invece niente: lo hanno inchiodato, ha gridato, nessuno è venuto in suo aiuto,
nessun miracolo, è morto. E di quale atroce morte è morto. E quanto straziante
quel grido senza risposta alcuna.
«Non scendi dalla croce? – gli dicono uomini crudeli – Allora non
ti crediamo». Ciò che per essi è causa di incredulità, per il centurione
diventa motivo di fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». È
l’ambivalenza davanti alla morte di Gesù. Può essere letta come un fallimento,
una maledizione, un’ingiustizia, l’assenza di Dio che lascia andare le cose
per il loro verso, senza intervenire. Oppure come il più alto atto d’amore: del
Padre, che ama al punto da sacrificare il Figlio per noi; di Gesù, che si è immolato
per noi; dello Spirito che, Amore, ha reso possibile l’atto d’amore di
entrambi.
Anche a noi il dolore e le contrarietà possono apparire ambivalenti.
Quante volte si arriva a perdere la fiducia in Dio, a non credere, perché lascia
che le cose vadano come non vorremmo. Anche noi, nei modi più vari, chiediamo a
Gesù di scendere dalla croce, di appianare quella contesa, di recuperare quella
persona cara che si sta perdendo, di porre termine a un’ingiustizia, di
guarire chi sta morendo… Perché non fa nulla, perché non interviene, egli che è l’Onnipotente? E forse perdiamo la fede.
Oppure possiamo reagire come il centurione: credere che egli è lì,
«il Figlio di Dio», misteriosamente ma realmente presente in quel dolore. Gesù che
è Dio, sulla croce si è fatto malattia, ingiustizia, sofferenza, tradimento,
peccato…, tutte realtà nostre che, in quanto Dio, non gli appartenevano e di
cui si è comunque appropriato, prendendole su di sé per toglierle a noi. È
stato il più alto gesto d’amore. Non si è visto nulla in quel momento, soltanto silenzio e morte,
ma quel gesto d’amore era già risurrezione.
Ogni realtà negativa, da quando Gesù l’ha presa su di sé, si
rivela sacramento di Dio: vi è entrato, l’ha assunta, si è identificato con
essa. Continua a rendersi presente in ogni nostra realtà negativa. Lo
crediamo, anche se egli rimane nascosto e non vediamo il miracolo. Sappiamo che
è lì presente e lo amiamo, così com’è. Non amiamo il dolore, ma Gesù che si è fatto
dolore, lui presente in ogni dolore. Ci associa a sé per vivere con lui ogni
tratto negativo, in noi e attorno a noi, con l’amore che tutto redime, primizia
di risurrezione.
Grazie, non bastano mai le parole per illuminare il mistero del dolore, tante volte ricadiamo nella domanda : ma com'è possibile che si debba passare da li perché Lui ha scelto questa strada e allora si ha bisogno di sentirtelo ripetere e si sente la consolazione.
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