sabato 24 marzo 2018

Il più alto gesto d’amore



Il centu­rione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15, 1-39).

Quante volte, davanti a una situazione difficile, a un dramma personale e familiare, a un qualsiasi male sociale, ci aspettiamo una soluzione positiva, che invece non viene. Si prega, si spera in un miracolo, e non accade niente. La malvagità e l’ingiustizia sembrano avere il sopravvento. Ai cattivi va sempre tutto bene, mentre i buoni rimangono nella sofferenza.

Anche con Gesù è capitato così. Fino all’ultimo qualcuno ha atte­so un intervento divino, un gesto straordinario, qualcosa che avrebbe risolto positivamente il dramma così assurdo che si sta­va consumando sul Calvario. Invece niente: lo hanno inchioda­to, ha gridato, nessuno è venuto in suo aiuto, nessun miracolo, è morto. E di quale atroce morte è morto. E quanto strazian­te quel grido senza risposta alcuna.

«Non scendi dalla croce? – gli dicono uomini crudeli – Allora non ti crediamo». Ciò che per essi è causa di incredulità, per il centurione diventa motivo di fede: «Davvero quest’uo­mo era Figlio di Dio!». È l’ambivalenza davanti alla morte di Gesù. Può essere letta come un fallimento, una maledizione, un’ingiu­stizia, l’assenza di Dio che lascia andare le cose per il loro verso, senza intervenire. Oppure come il più alto atto d’amore: del Padre, che ama al punto da sacrificare il Figlio per noi; di Gesù, che si è immolato per noi; dello Spirito che, Amore, ha reso possibi­le l’atto d’amore di entrambi.

Anche a noi il dolore e le contrarietà possono apparire ambiva­lenti. Quante volte si arriva a perdere la fiducia in Dio, a non credere, perché lascia che le cose vadano come non vorremmo. Anche noi, nei modi più vari, chiediamo a Gesù di scendere dalla croce, di appianare quella contesa, di recuperare quella perso­na cara che si sta perdendo, di porre termine a un’ingiustizia, di guarire chi sta morendo… Perché non fa nulla, perché non interviene, egli che è l’Onnipotente? E forse perdiamo la fede.

Oppure possiamo reagire come il centurione: credere che egli è lì, «il Figlio di Dio», misteriosamente ma realmente presente in quel dolore. Gesù che è Dio, sulla croce si è fatto malattia, ingiustizia, sofferenza, tradimento, peccato…, tutte realtà no­stre che, in quanto Dio, non gli appartenevano e di cui si è co­munque appropriato, prendendole su di sé per toglierle a noi. È stato il più alto gesto d’amore. Non si è visto nulla in quel momento, soltanto silenzio e morte, ma quel gesto d’amore era già risurrezione.

Ogni realtà negativa, da quando Gesù l’ha presa su di sé, si rivela sacramento di Dio: vi è entrato, l’ha assunta, si è identificato con essa. Continua a rendersi presente in ogni nostra realtà ne­gativa. Lo crediamo, anche se egli rimane nascosto e non vediamo il miracolo. Sappiamo che è lì presente e lo amiamo, così com’è. Non amiamo il dolore, ma Gesù che si è fatto dolore, lui pre­sente in ogni dolore. Ci associa a sé per vivere con lui ogni tratto negativo, in noi e attorno a noi, con l’amore che tutto redime, primizia di risurrezione.


1 commento:

  1. Grazie, non bastano mai le parole per illuminare il mistero del dolore, tante volte ricadiamo nella domanda : ma com'è possibile che si debba passare da li perché Lui ha scelto questa strada e allora si ha bisogno di sentirtelo ripetere e si sente la consolazione.

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