giovedì 22 marzo 2018

Il cenacolo: La lavanda dei piedi / 1



La lavanda dei piedi è il gesto con cui Gesù, secondo il vangelo di Giovanni, apre la cena e le dà il senso.
È la continuazione dell’abbassamento dell’incarnazione che già appare nell’inno della lettera ai Filippesi: Gesù, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, facendosi obbediente fino alla morte (cf. Fil 2, 6-8).
Lava i piedi. Un gesto corposo, concreto, lontano da quello che si ripete ritualmente il Giovedì santo quando le persone deputate al rito in precedenza già hanno lavato e profumato accuratamente i piedi. Nutriamo grande rispetto per il gesto del sacerdote, perché vi riconosciamo quello di Gesù. Ma nel gesto di Gesù non v’è nessuna retorica, gli apostoli avevano i piedi sporchi del cammino. Nel suo gesto vediamo soltanto quello di un servo, egli compie un’azione vera, non fa del teatro, al punto di scandalizzare Pietro.
Eppure per introdurre questo gesto così povero e feriale, Giovanni dà un’intonazione solennissima: «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava...». Quel gesto è rivelatore del grande evento a cui Gesù, in obbedienza al Padre, sta dando compimento: con la sua morte e risurrezione lava i peccati del mondo. Non è un servo, è lo Sposo, che ama la Chiesa e dona se stesso per lei, «per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola», per presentarla a se stesso «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 26-27).

La lavanda dei piedi non è stato un atto isolato di amore e di umiltà, è il simbolo dell’intera vita di Gesù. Egli non è venuto per essere servito ma per servire.
I Sinottici non raccontano della lavanda dei piedi, ma riportano le parole che la interpretano: «io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). Raccontato che anche in quell’ultima sera, tra i discepoli si levò la disputa su chi fosse il più grande, e ancora una volta Gesù deve ricordare con fatti e parole, che nella sua comunità non è come nella società comune dove si ambisce al primo posto: «Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più piccolo, e chi governa sua come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 24-27).

Il gesto di Gesù non è soltanto un esempio, è anche un comando: ««Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 14, 14-15).
Rifare quel suo gesto di lavare i piedi gli uni gli altri – traduzione concreta del comando dell’amore reciproco – domanda di condividere vita e morte di Gesù, di spogliarsi (= donare) per rivestirsi della vita e portare con sé e in sé l’umanità intera. Lavare i piedi agli ospiti, lo si sa, era un gesto umile, riservato ai servi. Gesù fa assurgere questo servizio a espressione di ogni tipo di servizio e di attenzione all’altro. Se egli ha dato la vita per noi – e l’amore consiste proprio in questo - «anche noi – conclude Giovanni – dobbiamo dare la vita per i fratelli… non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 16.18)


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