La biblioteca |
I bibliotecari, compreso un Oblato |
Lasciamo Kandy, che visiterò un’altra
volta. Per circa due ore continuiamo a viaggiare tra montagne irregolari, ricoperte
da una folta giungla. In quella attorno al seminario che ho appena lasciato, si
contano 200 specie di piante. Oltre gli alberi giganteschi e alle liane, ho iniziato
a riconoscere quelli delle spezie: chiodo di garofano, cinnamomo, il rampicate
del pepe… Il verde è intenso sotto un cielo particolarmente azzurro. Gradatamente
le montagne declinano, fino a lasciare il posto ai campi di riso. La giungla si
dirada, appaiono piccoli laghi.
Gli Oblati (seduti), con i collaboratori, nel centro di avvio al lavoro |
Un saluto veloce alla comunità degli
Oblati di Vavuniya, nove padri che si dedicano alla predicazione delle missione
parrocchiali in tutta l’isola.
È ormai fine mattinata quando
giungiamo a quello che era considerato il confine tra il governo del sud, singalese,
e i ribelli del nord, tamil. La guerra è terminata da tre anni, ma i controlli
rimangono, come a una frontiera: passaporto, formalità…
Intanto il paesaggio è cambiato, si
è fatto più arido, anche se è ancora verde. La giungla è completamente sparita
lasciando il posto a piante sono più piccole e più rade. Appaiono templi buddisti
e statue di Buddha, in una regione dove non ci sono buddisti; un modo per
affermare l’identità singalese in territorio tamil.
Ci inoltriamo nel terreno dove si sono
combattute le ultime sanguinose battaglie e l’esercito tamil ha dovuto
arrendersi e successivamente trucidato (come si fa a fare una guerra senza che
ci siano i crimini di guerra?). 30 anni di guerra non si cancellano facilmente.
La strada è stata completamente rifatta (sempre a una corsia di marcia), la
ferrovia, che corre parallela alla strada, è in via di rifacimento (sempre a un
binario e non elettrificata). Dopo le distruzioni stanno risorgendo minuscole
casette e altri edifici. Sulla strada non si vedono però macchine, perché non
ce ne sono, ma soltanto camion, autobus, pulmini, i soliti tricicli.
Ci fermiamo in un centro che gli
Oblati hanno appena costruito, in risposta alle necessità di questo dopo guerra
che ha massacrato 150.000 dei due milioni di Tamil e ha lasciato il 40 per cento
dei ragazzi senza genitori o senza un genitore. Il primo edificio è una
biblioteca per aiutare gli studenti sprovvisti di tutto. Vi si tengono anche
corsi di computer, di inglese, di avvio allo studio, programmi di aiuto
psicologico per le ferite delle guerra tuttora aperte…
Un altro edificio è per gli aiuti
sociali, in favore delle ragazze madri, delle numerosissime vedove, di gente
sbandata che deve rifarsi una vita. Ci sono anche ambienti di accoglienza per
chi non ha più un alloggio.
Continuiamo il viaggio fino ad un’altra
opera oblata, sempre nata in conseguenza della guerra. Qui si avviano i giovani
al lavoro, se ne accolgono altri che vivendo in paesini sperduti non potrebbero
frequentare le scuole, si seguono gli studi di un altro gruppo di ragazzi e
giovani che hanno bisogno di particolare aiuto anche economico.
Avevo letto di queste iniziative, ma
vedere i luoghi e le costruzioni, vedere lo stile di vita semplice di questi
Oblati che vivono in mezzo alla gente e si confondono con essa, la
collaborazione data da un personale giovanissimo che vive con loro, è tutta un’altra
cosa. Quante conseguenze negative lascia una guerra! E quanto coraggio in
questi Oblati.
Nel pomeriggio, dopo aver attraversato
il Passo degli elefanti, strettissima lingua di terra che introduce nella
penisola di Jaffna, giungiamo in città. Siamo nella punta estrema a nord dell’isola,
a 40 chilometri dall’India. Qui è cominciata l’avventura degli Oblati a metà
del 1800.
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