Il Vescovo Semeria con i suoi compagni |
Proprio in questi giorni, il 10 e 11 agosto 1847, il vescovo Bettacchini
passava da Marsiglia e domandò al vescovo della città, mons. De Mazenod, di
mandare con lui in Ceylon alcuni dei suoi missionari. Aveva girato in vano per
l’Europa alla ricerca di preti per la sua isola. Il vescovo di Tulle che gli
aveva detto: “Vada a Marsiglia. Lì troverà il fondatore di una recente e
piccola congregazione missionaria. C’è un solo modo per ottenere da lui i
missionari, bisogna dirgli che si tratta di salvare le povere anime, le più
povere”.
Eugenio de Mazenod obiettò che aveva da poco aperto le missioni nelle Isole
britanniche e in Canada e non aveva più personale. Allora Bettacchini ricordò il
consiglio ricevuto: “Ma si tratta delle anime più abbandonate, ve l’assicuro,
le più maledette della terra…”. De Mazenod fu colto sul vivo. Fu così che il 21 ottobre 1847 i primi quattro Oblati si
imbarcano per il Ceylon insieme con mons. Bettacchini. Alla testa del gruppo
c’era P. Stefano Semeria, un ligure che aveva sostituito padre Albini prima a
Marsiglia nel lavoro con gli immigrati italiani, poi nelle missioni in Corsica,
dove aveva operato conversioni, “riconciliazioni spettacolari”; “I banditi
stessi – si raccontava – venivano a gettarsi ai suoi piedi”.
Viaggio lungo, una volta. Si imbarcavano a Marsiglia, sbarcavano al Cairo,
dove ancora non c’era il canale di Suez, risalivano in barca il Nilo,
proseguivano sui cammelli fino a Suez, e da lì si imbarcavano di nuovo verso
Colombo, dove arrivarono il 28 novembre: 5 settimana di viaggio.
Arrivando nell’isola mons. Bettacchini seppe che non avrebbe continuato ad
essere vescovo ausiliare di Colombo, ma sarebbe dovuto andare nel nord, a
Jaffna, dove era stato appena istituto un nuovo vicariato apostolico. Gli
Oblati lo seguirono. Padre Semeria fu nominato vescovo nel 1856 e nel 1957, alla
morte di Bettacchini, divenne vicario apostolico.
Un missionario davanti a una delle sue cappelle |
“In questi paesi così diversi dal nostro – scriveva a
sant’Eugenio – la prima virtù del missionario è la pazienza, la seconda la
pazienza, la terza la pazienza”. L’organizzare dell’attività apostolica si riduceva
ad una sola direttiva, quella di sempre, valida qui come in tutte le altre
missioni: farsi tutto a tutti: “Dobbiamo aver la santa pazienza di accettare
le persone così come sono e di lavorare per farle diventare, a poco a poco,
come vogliamo”, cioè come vuole il Vangelo.
Era convinto che occorreva puntare sulle nuove
generazioni, perché capaci di accogliere e vivere il vangelo in maniera
genuina, senza sovrastrutture inficiate di superstizione: “La rigenerazione
radicale dei nostri cristiani deve cominciare dall’educazione”, diceva. Per
questo aprì scuole e seminario.
Sant’Eugenio seguiva da Marsiglia i primi passi della
nuova missione con particolare attenzione. A tutti gli Oblati del Ceylon scriveva:
“Mons. Semeria vi avrà senz’altro detto quanto vi amo, come partecipo alle
vostre consolazioni e alle vostre pene, quale sia la preoccupazione costante
del mio spirito nei vostri riguardi. Però questo non mi basta. Ora voglio
dirvelo io stesso”.
La missione del Ceylon, pur in mezzo alle difficoltà,
alle divisioni e alle contrarietà di ogni genere ha dato frutti meravigliosi.
È nata una chiesa locale ormai autonoma. Non ci son più Oblati stranieri che
vengono nello Sri Lanka. Anzi, gli Oblati di qui – oggi 220 – sono diventati a
loro volta missionari e sono partiti per la Malesia, l’India, il Pakistan, il
Giappone, la Corea… perfino per l’Italia, a Palermo! Ricordo quanto scrisse in
proposito anni fa il Provinciale: “Noi, in quanto missionari, non abbiamo una
dimora stabile. Siamo come uccelli migratori. Dobbiamo essere là dove la
Chiesa ha maggior bisogno di noi”.
<> sono parole che valgono per tutti ,nella vita. in queste parole c'è tutta la carica di accoglienza, di dedizione ,di generosità che il nostro prossimo ci chiede in ogni momento .
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