Sul palco divani orientali
impreziositi da cuscini marocchini, due alberi, una palma e un ulivo, ciuffi di
fiori. Il primo annuncio è di prammatica: “Si prega di spostare la tal macchina
che intralcia l’uscita…”, solo che questa volta è diramato in italiano e in
arabo. Al PalaBrescia stanno prendendo posto un mille e cinquecento persone. Le
fogge musulmane sono predominanti. Il Movimento dei focolari insieme agli amici
musulmani del nord Italia ha organizzato un incontro cristiano-musulmano. Non
si tratta del solito incontro di dialogo interreligioso. La mutua conoscenza e
il cammino percorso insieme in questi anni sono arrivati a un punto tale che
ormai possiamo entrate nel vivo dei problemi e affrontarli insieme. Questa
volta la tematica è quella della famiglia. Perché proprio a Brescia? Forse
perché è la città italiana con la più alta percentuale di immigrati di tutta
Italia.
La giornata è stata una festa. I
musulmani si sono sentiti accolti con un amore infinito, a proprio agio, senza
quella paura e diffidenza che vivono abitualmente. Non stranieri, ma “a casa”.
Ha contribuito la massiccia presenza di imam provenienti da tutte le regioni del
Nord, l’ampio spazio dedicato alle loro musiche e canzoni, il ruolo
preponderante giocato dai loro presentatori. Insomma è come fossero loro ad
accogliere noi cristiani in casa loro. Ma non è proprio questa l’arte di amare?
Far sentire l’altro protagonista.
Le esperienze mi hanno toccato in
maniera particolare. Quelle delle loro giovani coppie testimoniavano una
presenza fortissima di Dio nella vita coniugale e di famiglia, una fede
straordinaria, un abbandono incondizionato alla provvidenza. Quelle riguardanti
il comune impegno sociale e di mutuo aiuto, di una concretezza impressionante,
di grande rilevanza, frutto di un lavoro di intesa, di rispetto, di amicizia,
di amore sincero maturato negli anni.
Uno dei momenti più alti della
giornata è stato quando, alla ripresa dei lavori dopo la pausa pranzo, si è presentato sul palco il nutrito gruppo di bambini, che durante la mattinata
avevano avuto un programma tutto per loro. Ci hanno donato il frutto di tre
momenti di lavoro: una grande scritta, in italiano e in arabo: "Siamo sempre una famiglia", una danza
che esprimeva il rapporto con i genitori, un canto in italiano, arabo e
inglese. Vedere bambini di tanti paesi diversi, cristiani e musulmani, che si
intendono così bene e che vanno tranquillamente la di là di ogni barriera è una
speranza infinita di futuro, di un’unità possibile.
Un mondo - quello musulmano e delle
molte culture in cui si esprime - per certi aspetti lontanissimo dal nostro.
Eppure è stata una gioia per noi cristiani vedere come tutti loro erano presi
dalle proprie musiche, come le donne le accompagnavano con i caratteristici
gridi di giubilo, come ondeggiassero con passi di danza, e come erano capaci di
coinvolgere anche noi nel ritmo del battito delle mani. E chissà come anche a loro
noi sembriamo diversi. Ma una diversità che in questa grande sala è apparsa
come ricchezza, come dono di un Dio che per esprimere il suo amore ha bisogno
di tutti i popoli, di tutte le culture, di tutte le lingue.
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