La presentazione del catalogo si tiene in un ambiente
prestigioso, nientemeno che nella grande sala della Pinacoteca dei Musei
Vaticani, proprio dove è esposta la Trasfigurazione di Raffaello, assieme ad
altre delle sue opere. Valeva la pena venire anche solo per sedersi davanti al
capolavoro di Raffaello e ammirarlo con calma, quasi a lasciarsi trasfigurare con
il Signore stesso.
La
raccolta che costituisce il museo iniziò con i primi sei doni d'epoca precolombiana,
offerti al papa bel 1692, proveniente dal nuovo mondo. Da allora la collezione
si è arricchita con sempre nuovi apporti. Tutti i continenti vi sono rappresentati
e di tutte le culture: buddiste e indu, degli aborigeni australiani, dell’Africa…
Alla
presentazione mi pare di essere l’unico prete. Per il resto sono ambasciatori e
studiosi, richiamati dall’evento: la pubblicazione del primo catalogo del Museo Etnologico dei Musei Vaticani, che presenta 3000
delle 80.000 opere ivi conservate.
Apre
l’incontro il card Lajola, quindi la parola passa al direttore dei musei
Vaticani, quindi al card. Ravasi e infine al direttore del Museo etnologico.
Ravasi
parla naturalmente della cultura, attraversando i veri termini, dall’humanitas dei latini alla paideia dei greci, fino alla parola cultura dei tedeschi del 1500, gradualmente
trasformata in concetto antropologico. Il passaggio dell’impiego di questa
parola al plurale, le culture, indica
il passaggio dalla convinzione radicata dell’esistenza di una sola cultura, fondamentalmente
quella europea, greco romana, alla scoperta dell’esistenza di una pluralità di
culture, a cominciare da quella ebraica, fino a quella persiana del vicino
oriente, poi a quelle del lontano oriente, dilatandosi sempre più su tutta
intera l’umanità.
Ravasi
non poteva poi non parlare di come la Bibbia, lungo la sua storia millenaria,
abbia assunto la varie culture dei popoli attorno. Con l’Incarnazione infine la
Chiesa si è aperta su tutti i popoli: “Cristo è il Logos – diceva Giustino – e tutti
quelli che vivono il Logos, come Socrate, Eraclito e tanti altri, sono
cristiani”.
Quando nacque il Museo, in pieno periodo colonialista,
Pio XI volle che assieme a Raffaello e Michelangelo ci fossero anche gli
aborigeni dell'Australia; forse perché papa Ratti, prima d’essere papa, era
stato prefetto dell'Ambrosiana di Milano
(come Ravasi), dove sono raccolte esotica e mirabilia: era insomma un persona
dai grandi orizzonti e interessi; anche per questo forse divenne il “papa delle
Missioni”, il granxde ammiratore degli Oblati, che definì “Gli specialisti
delle missioni difficili”.
Il Papa fondò il Museo Missionario Etnologico il 12 novembre
1926, alla chiusura dell'Esposizione Universale Missionaria, che lo stesso
Pontefice aveva voluto in occasione dell'Anno Santo del 1925. A quella
esposizione contribuirono tutte le società missionarie. Gli Oblati portarono a Roma
da tutto il mondo centinaia e centinaia di casse con i più vari oggetti, che
poi entrarono a far parte del museo. La sezione dell’esposizione riguardanti
libri e documenti fu affidata a un Oblato, Padre Roberto Streit. Arrivarono a migliaia tavole geografiche, grammatiche e vocabolari delle
lingue indigene, catechismi, storie sacre, commenti teologici, e libri
riguardanti la storia della religione, la topografia, l’etnografia dei paesi di
attività missionaria; tutto fu donato al papa e costituì l’attuale Pontificia
Biblioteca Missionaria; p. Streit divenne il primo bibliotecario.
La prima sede del Museo su nel Palazzo del Laterano dove è
rimasto sino al 1963. Nel 1973, sotto il pontificato di Paolo VI, il Museo fu
allestito nell'attuale sede in Vaticano.
L’attuale direttore, p. Mapelli del PIME, ci illustra il
catalogo e ci parla della nuova ristrutturazione del Museo, del collegamento con
tanti altri musei nelle più varie parti della terra, dei viaggi compiuti da lui
e dai suoi collaboratori per trovare la documentazione, del battaglione di donne
studiose che lavorano nei vari lavoratori, e che per l’occasione sono lì
presenti, tutte giovani.
Infine ecco finalmente l’inaugurazione delle nuova
sede del Museo, sempre all’interno dei Musei Vaticani. Camminiamo insieme per
le diverse stanze dove tutto è arredato con gusto e in maniera modernissima. I reperti
sono spesso i più antichi al mondo e certamente i meglio conservati. Sì dà voce
ai popoli, si raccontano le loro esperienze, si celebrano le persone che stanno
dietro gli oggetti. Il reperto più antico, una pietra lavorata milioni di anni
fa, proveniente dal Sud Africa. 20.000 gli oggetti preistorici. 3.000 le foto.
Il Museo è la testimonianza dell’interesse, dell’amore,
del rispetto della Chiesa per tutte le culture, ossia per l’umanità! “La Chiesa
è esperta in umanità” diceva Paolo VI.
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