lunedì 12 novembre 2012

Il Concilio, gli Oblati e l’apprezzamento per le culture / 5

Il superiore generale Lèo Dechâtelets
al tempo del Concilio

Continuiamo a leggere quello che scriveva 50 anni fa l’agenzia: AROMI
Novembre 1962, Casa generalizia: Visite episcopali
“Non v’è dubbio che il Concilio ci abbia valso già di numerose visiti di Padre Conciliari. Pensiamo che i nostri lettori amino conoscere i nomi di quanti hanno onorato la nostra tavola della loro presenza. Possiamo dare soltanto un’arida lista di nomi e subito ci scusiamo delle omissioni che possiamo fare.
(Segue una lista di 32 nomi di vescovi, nunzi, superiori generali provenienti da tutto il mondo)
Inoltre il Rev.mo Padre generatale ha ricevuto la visita di numerosi altri vescovi venuti a implorare missionari per la loro diocesi o vicariato apostolico”.

Forse, anche grazie a questi molteplici contatti, gli Oblati hanno potuto infondere nel Concilio il loro tipico atteggiamento di apertura e di dialogo, frutto della loro presenza missionaria in tutto il mondo.
Basti pensare all’apprezzamento delle molte culture, affermato già nel primo documento emanato dal Concilio, la Costituzione sulla liturgia: l’adattamento all’indole e alle tradizione dei vari popoli è possibile perché se ne riconosce il loro valore; la Chiesa “rispetta e favorisce le qualità e le doti d’animo delle varie razze e dei vari popoli”, ed è pronta a “prendere in considerazione” i valori positivi ivi presenti (Sacrosanctum Concilium, 37).
Dalle culture alle fedi, che delle culture sono espressioni: “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra aetate, 2, EV, I, 857; cf. Ad gentes, 22, EV, I, 1168-1169).
Spesso si è rivelato una certa ingenuità, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, nel valutare in maniera troppo positiva la bontà della cultura e della società contemporanea. L’ottimismo degli anni Sessanta sarebbe stato presto entrato in crisi. Nondimeno il Concilio aveva ben presente le antinomie della società contemporanea e non ne taceva gli aspetti negativi o problematici (cf. Gaudium et spes, 56). Quello che rimane comunque fondamentale è l’atteggiamento di apertura e di dialogo espressamente perseguito dai Padri Conciliari. 

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