Passò tre gradi di
giudizio. Il primo davanti al Sinedrio, il secondo davanti al re Erode e la sua
corte, il terzo davanti a Pilato. Tutte e tre le volte condannato a morte. Non
c’era nessuno dalla sua parte a difenderlo. I suoi amici scomparsi, Pietro non solo
non lo riconosce ma non si degna neppure di chiamalo per nome: “Quell’uomo lì
non lo conosco”. Il Padre c’è ma rimane in silenzio. All’inizio Gesù iniziò a
tremare, provò terrore e angoscia. Alla fine gridò: “Perché mi ha abbandonato?”.
La tragedia continua
in tanti, che compiono in loro quello che manca ai patimenti di Cristo, ossia
che vivono nell’oggi e nelle proprie carni quello che egli ha vissuto. O
meglio, lasciano che Gesù riviva in loro la sua passione. È così che il mondo
si salva.
La seconda lettura
della II domenica di Avvento, davanti alle tragedie immani di cui siamo
testimoni, sembra allora un’utopia: “Fratelli, siate sempre lieti”. È possibile?
Paolo ci dice come:
un’unità costante con Dio (“pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete
grazie”), senza rispondere al male col male (“astenetevi da ogni specie di male”),
lasciandosi avvolgere interamente e integralmente (“spirito, anima e corpo”) da
Dio.
Ce la faremo? No,
troppo difficile.
Ed ecco ancora Paolo
a rassicurarci che sarà il Dio della pace a santificarci e che penserà lui a
fare tutto questo... Ancora una volta è un invito a mettersi con fiducia nelle
mani di Dio, quel Dio che ha fatto il cielo e la terra, che è venuto in terra
per noi, che ha dato la vita per ognuno di noi.
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