Fu fondata dalla regina Ranavalona prima nel 1830, come
seconda capitale. In effetti, con i suoi 170 mila abitanti è la seconda città
del Madagascar. Leggo che ha la ferrovia, ma è senza treni, e un aeroporto, ma
senza aerei… Non ha industrie e vive dell’agricoltura e del piccolo commercio. Il
traffico è molto limitato ed costituito principalmente dai taxi e dai minubus. Il
trasporto minuto avviene su carrette. Gli uomini sono curvi e spingono fin con
la testa carichi di mattoni, cemento, lungo strade con forti pendii. La città infatti
sale e scendi su colline circondate da un ampio raggio di montagne. Siamo sui
2000 metri. Gli alberi di mele convivono con i banani e con la vite; i pini con
il “rivanala”, l’albero simbolo del Madagascar.
La città alta, con le antiche case in mattoni rossi del 1800,
sembra un villaggio rimasto fermo nel tempo passato. I venditori di carbone
salgono le strade e le gradinate con i sacchi sulle spalle, fissati a un asse
di bambù. Incontro ben due turisti, credo gli unici in tutta la città, eppure
il piccolo borgo invita a percorrerlo con calma e a goderne gli angoli
romantici.
La cattedrale di Ambozontany, che domina la città, ricorda
che Fianarantsoa è ancora oggi il più importante centro cattolico, con numerosissimi
istituti religiosi. Do un saluto al noviziato intercongregazionale femminile
che raccoglie una ottantina di novizie di vari istituti, visito il monastero
trappista circondato da un grande bosco, il centro di teologia dove studiano
seminaristi di varie diocesi e di una decina di congregazioni, lo studentato degli
Oblati, la loro parrocchia in una delle zone più povere della città... Mi pare
che il nome della città, Fianarantsoa, sia adatto; esso significa scuola dove
si apprende il bene o la sapienza.
Per gli studi che riguardano la scienza (compresa quella
teologica) la situazione è forse più complicata, a cominciare dall’università statale
in crisi endemica. Visitando librerie e biblioteche scopro un altro tipo di
povertà, quella culturale, di cui la scarsità di libri e di riviste è un
segno evidente. Potrà mai questa gioventù essere competitiva e entrare nel circuito
internazionale? Ma chissà che non sia vero il proverbio malgascio: “Gli uomini
sono come il riso che si prende dalla pentola per versarlo nel piatto: che è
sotto passa sopra”.
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