giovedì 5 agosto 2021

Trasfigurazione = contemplazione


La festa della Trasfigurazione ricorda la dimensione contemplativa dell’Oblato, richiamata anche da questo testo della Regola di sant’Eugenio:

Art. 1. Tutta la vita dei membri della Società deve essere un continuo raccoglimento. Art. 2. Per raggiungere questo obiettivo, avranno a cuore, in primo luogo, l’esercizio della presenza di Dio, con brevi ma ferventi giaculatorie. Art. 3. Ameranno infinitamente anche il ritiro e non usciranno dalla stanza senza motivo. Art. 4. Il silenzio prescritto che in tutti gli istituti offre preziosi vantaggi per portare alla perfezione, sarà da noi sempre privilegiato [...].

Come al solito sant’Eugenio a questo punto si ferma e scrive un “Nota bene”:

N.B. Chi fosse tentato di considerare queste Regole e quelle che seguono come troppo esigenti per la natura, lo scongiuriamo di ricordare: 1. Che il nostro ministero sarebbe definitivamente vano se non tendessimo alla perfezione; 2. Che essendo chiamati alla perfezione, non potremmo mai avvicinarci ad essa senza l’aiuto di questa santa regolarità considerata essenziale da tutti i Padri della vita spirituale e soprattutto dai santi fondatori; 3. Che le missioni e i ritiri che le seguono, ci lanciano necessariamente per tre quarti dell’anno nel mondo, ci impegnano principalmente e quasi esclusivamente nella conversione dei peccatori, e così corriamo il rischio di dimenticare i nostri propri bisogni, se non ci sottoponiamo alle Regole di una rigida disciplina, almeno nei brevi intervalli di questo rischioso ministero [per il grande successo delle missioni, i missionari correvano il rischio di attribuire a sé stessi il frutto della grazia; vedere la Parte I, capitolo III, § 1, punto 5]. Quindi, se ci è cara la salvezza, se non vogliamo rischiare di predicare agli altri ed essere noi stessi riprovati, ben lungi dal provare la benché minima riluttanza a osservare questa regolarità, custode della virtù nell’anima, ci deve dispiacere sinceramente che i doveri imposti dalla carità ci costringano a una lunga e frequente separazione dalle comunità in cui essa regna e ci privino nostro malgrado, per gran parte della vita, del beneficio della sua benefica influenza. (La Règle de saint Eugène de Mazenod, ed. Woestmann, p. 55-57)

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