“Ciò
che solo pienamente ci soddisfa è sempre rivederci là dove Dio ad
aeterno ci ha sognati”.
A
fine settembre dovrò tenere un breve corso sulla spiritualità e la teologia
spirituale. Questa mattina, leggendo il brevissimo testo “Passeranno i cieli e
la terra” nel libro Meditazioni di Chiara Lubich, di cui quella che ho
appena riportato e che tanto mi ha colpito è la seconda di appena tre frasi, ho
pensato che inizierò il corso proprio da qui: “Ciò che solo pienamente
ci soddisfa è sempre rivederci là dove Dio ad aeterno ci ha sognati”.
La
spiritualità nasce infatti da un anelito alla pienezza di vita, al pieno
compimento del proprio essere. È questo che accomuna tutte le spiritualità, sia
religiose che atee. La spiritualità cristiana ha, in particolare, la caratteristica
di rispecchiare la propria persona nel Verbo – che poi è il Gesù fatto uomo,
nel quale siamo stati “sognati” da Dio, per poter diventare, in lui, quello che
siamo e che siamo chiamati ad essere.
Spesso
spiego che ognuno di noi è stato pensato da Dio da sempre, nel momento stesso
in cui egli pensa il Figlio suo: “dice” la nostra parola, il nostro verbo, in
nostro essere, nell’atto di pronunciare la Parola, il Verbo, il Figlio suo e in
lui siamo suoi figli, chiamati all’esistenza con la vocazione ad essere in lui
dio come lui è Dio. E spesso avverto una reazione da parte di chi mi ascolta,
urtato dal fatto che Dio, agendo così, avrebbe così già fatto tutto,
condizionandoci, privandoci della libertà di diventare quello che vogliamo. Questo
mi meraviglia, perché a me sembra così bello – oltre che così vero – sapere che
Dio mi ha da sempre pensato e amato, come un bambino che, prima ancora di nascere,
è già pensato e amato dalla mamma la quale, così facendo, non lo condiziona, o
meglio, lo pone in maniera più adeguata nella condizione di diventare veramente
se stesso.
Oggi
il testo mi è venuto incontro e mi aiuterà a spiegarmi meglio, perché non dice
che “Dio ad aeterno ci ha pensati”, ma che “ci ha sognati”.
Leggendo
l’edizione critica del libro Meditazioni, che riporta il testo, Maria
Caterina Atzori, la curatrice, fa notare che si tratta di una lettera scritta a
Igino Giordani, che nello scritto viene chiamato familiarmente “Focherello”,
parola omessa, per cui adesso si legge: «Ed io […] m’accorgo sempre più che “passeranno
i Cieli e la terra…” ma il disegno di Dio non passa», dove quel […] sta per la
parola “Focherello”. Che rapporto amichevole e dolce traspare da questo
vezzeggiativo! Eppure, nonostante o proprio grazia a questa intimità, Chiara
guarda a Igino Giordani nella sua realtà più vera, in quel disegno che Dio ha
su di lui e che non passerà mai, perché lo costituisce in tutta la sua dignità
e, se egli è fedele nell’attualo, lo soddisferà, lo appagherà pienamente; è ed la
“sola cosa” che può appagarlo, mentre tutto il resto lascia dei vuoti, non porta
alla pienezza.
Ciò
che più mi ha sorpreso, nell’apparato critico, è vedere come in tutte le
edizioni a stampa del testo, a cominciare dalla prima volta che appare nel
ciclostilato “48 ore di Unità”, sempre è stato scritto che “Dio ad aeterno
ci ha pensati”, mentre l’originale – ora riportato nella nuova versione critica
– è “Dio ad aeterno ci ha sognati”. A me sembra una grande bella
differenza! D’ora in poi, ogni volta che parlerò del disegno di Dio su di noi
non dirò più che è stato “pensato” da lui, ma che è stato “sognato”: sono
oggetto di un desiderio piuttosto che di una determinazione inappellabile. Sono
il sogno di Dio! Allora la spiritualità sarà esaudire il sogno di Dio…
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