È la
prima delle due parole latine che Mons. Bergoglio scrisse sullo stemma vescovile,
mantenuto anche da papa: “miserando atque
eligendo”. Si riferisce alla chiamata di Levi, come è interpretata da uno
scrittore del primo millennio, Beda il Venerabile, il cui testo potrebbe essere
tradotto: “Gesù vide un pubblicano e
siccome lo guardò con sentimento di amore (miserando) e lo scelse (eligendo),
gli disse: Seguimi”. Sono parole che fanno parte della storia del giovane Jorge
Bergoglio quando, nel 1953, proprio nella festa di san Matteo (il Levi del
Vangelo), a 17 anni entrò in chiesa e, dopo
essersi confessato, si
sentì avvolto dalla misericordia di Dio che lo chiamava… Da allora la parola
“misericordia” è entrata nel suo vocabolario.
Fu oggetto
già del primo Angelus, il 17 marzo 2013, quando affermò che essa “cambia il mondo”.
Sì, perché la misericordia fa vedere le persone con lo sguardo con cui Gesù
guardò Levi-Matteo: non vide un collaborazionista dei Romani, un pubblico
peccatore; lo guardò con “un sentimento di amore”, capace di far emergere da lui
il meglio, generandolo un uomo nuovo.
È
sguardo di “benevolenza”, che invece di criticare, giudicare, mettere in luce
il negativo, “vuole il bene” dell’altro, perdona, porta pazienza, incoraggia… fino a trasformare
gli ambienti in “isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!” (Messaggio per la
Quaresima 2015).
È possibile? A condizione di avere sperimentato l’amore misericordioso di Dio, il suo perdono, la sua fiducia. Soltanto così – ed è la conclusione di quel primo Angelus di papa Francesco – “anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti”.
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